Immobile. D’immobilità
fossile.
Occhi di trilobite,
ghigno da australopithecus boisei.
Scrivendo che
l’aria di questi pomeriggi d’ottobre
effonde con garbato riguardo
l’odore pungente dei cumuli
di foglie secche, arricciate a’ bordi,
che bruciano a bassa voce,
sospirando leggero fumo color
cenere.
Ricordando
come espira e inspira il mare,
oltre la pineta madida di guazza.
Se non fosse per l’immobilità che mi pietrifica,
proteso di sghimbescio sul letto,
i talloni puntati all’inferno,
il pene
- un mollusco morto, e
il cuore
che schioda e inchioda -
sì, se non fosse per tutto questo
sarei
in uno stato di grazia.
Se solo non stessi pisciando dall’anima mia
l’acida urina
del più futile poetare…