Cheta
acqua sei.
Io:
ponte
crollato.
Scosso: vortici impetuosi
mi scuotono ancora.
Ti guardo.
Sei essenza che muta: da acqua ferma
a pietra immota, poi
un uccello nel cielo d’inverno,
un’Idea, un Atto,
e l’innominabile pulsione…
Nella boscaglia di rovi e ortiche
sterco di ratto, penne di corvo…
fruscii fra gli arbusti secchi.
Non ho pregiudizi su di te, bambina,
né mi spaventano le tue demonizioni; di te
so tutto, puttana vudù: conosco bene
l’odore svelto del predatore che passa.
Vivi nel nero, o regina straniera:
vesti di nero, nero tulle, pizzo nera
e la tua pelle è pallida e perlacea
e il tuo respiro
è quello d’una tomba sbarrata.
Quando mi baci
sento il fetore di dimore abbandonate
e di sudici sottoscala, e di cantine
murate, dove
s’ammassa quel silenzio oscuro e viscoso
che solo certi luoghi dimenticati
hanno.
Quando mi parli, amore,
sento il richiamo afflitto della civetta
e il gemito del vento di febbraio
quando spira tra i rami nudi dei pioppi.