Il mio amore, respinto, è caduto
trascinato dietro certa arte del sentire
con un flop comico e un po’ angosciante.
Mentre io, l’angelo afflitto,
chiudevo con un inchino lento
la scena ultima dell’atto finale, allorchè
il silenzio
veniva turbato da un applauso
che faceva tremar l’aria
(gli occhi miei terra di sterpi)
pietosamente afflitto
sono rimasto per tutto
il tempo
che ci è voluto.
Cos’altro avrei dovuto fare?
Erigere la mia poesia a arginare (invano, è chiaro!)
le intrusioni, le tentazioni, gli spregi, i tradimenti
dell’eterno e squallido umano divenire?
O piuttosto rinchiudermi
in una torre senza porta né finestre
a meditare di Tempo e Spazio
e di come Tempo e Spazio non sono mai
il mio Tempo e il mio Spazio?
Ritrovarmi a puntellare il mio niente
con i deboli puntelli della conoscenza
e alla fine, è inevitabile, capire
(ma lo sai già sin d’ora!)
che il gioco non vale la candela?
O essere un buon uomo, discreto e fidato,
uno sul quale poter sempre contare,
semper fidelis,
con il quale è piacevole far due chiacchiere davanti a un caffè,
quello che si dice uno pacato e perbene?
La domenica con l’orecchio alla partita di calcio,
gli altri giorni un’esistenza misurata
al ritmo di sospiri morenti?
(e se invece
prendessi lama o schioppo
o con le mani nude, anche così!
e uscissi per le vie trafficate
e li facessi cagare addosso tutti,
loro,
così
simili
a me?)