La luce cruda della lampada,
che pende sul tavolo, fissata ad un cavo nero,
getta un cerchio d’un giallo spento
sulla tovaglia,
dove s’aggregano
costellazioni
di briciole di pane
e posate unte
di grasso e olio.
L’aria é immobile
e sa di pioggia d’estate,
calda e leggera,
calda e leggera.
Ho sete, ma non di acqua,
di lei,
di lei.
L’altro, seduto dinnanzi a me, mi fissa
con uno sguardo affilato come un rasoio.
Io fingo interesse per il soffitto chiazzato di muffa
e sento i suoi occhi che mi frugano dentro.
L’altro
ha un volto al quale poco si addice la rabbia,
quasi ridicolo, un po’ stolido e assente,
almeno quanto il mio:
immobile e sereno.
Il mio amore cade tra i fondi di caffè e gusci d’uovo,
gocciola dentro una scatola di conserva ammaccata,
annerisce sul fondo bruciato di una pentola:
si perde, si perde.
Le desir: que demòn!
1995