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Post N° 23

Post n°23 pubblicato il 28 Settembre 2005 da Zafuf

La lista dei nomi è lunga.
Una ventina, di cui più della metà determinati a vincere.
Comincia la giornata, con tensione e curiosità, con sguardi lanciati di traverso a chi sorride e non ha voglia di sentirsi tra nemici giurati.
Alla fine ci si ritrova, in pochi a fumare sigarette nel cortile interno, scambiando chiacchiere e cercando di ammorbidire la tensione.

Il meraviglioso mondo delle audizioni non è poi così meraviglioso.
Ognuno metabolizza a modo proprio l'ansia da prestazione e lo zoo diviene vario e bizzarro.
Pierpaolo, catanese, suda come un disperato persino guardando il cielo.
Martina, torinese, chiacchiera anche con i muri. (Sospetto una certa patologia nevrotica in lei, anche se mi è molto simpatica!).
Patrizio, romano, pensa a domani che andrà in Giappone per assistere al matrimonio con rito buddista del fratello.
Ninni, palermitano, confabula con il padre che è venuto a sostenerlo.
Antonio, cuneese, osserva silenzioso il mondo circostante, con un sorriso traverso che lascia immaginare che a lui di star qui proprio non gliene freghi nulla. Vuole solo assaggiare la cassata quando avremo finito questa tortura.
Raffaella, comasca, si sbaciucchia con Nicola. Tra dieci giorni si sposeranno e lei vorrebbe poter lavorare nella stessa orchestra del suo futuro maritino.
Sara, d'origine non particolarmente definita, canticchia canzoni di Dulce Pontes e si chiede se ormai non sia il caso di smetterla di fare audizioni, chè si sente un po' vecchiotta per tutto questo sbattimento.

Poi si comincia.
Sono la seconda.
Sento il mio cognome nell'aria, prendo un bel respiro, cerco tutti i muscoli da rilassare, penso che o la va o la spacca, acchiappo per capelli la mia Musica e mi dico che tra dieci minuti, quando uscirò, dovrò essere soddisfatta di me.
Le Birkenstock ai piedi, poco formali ma di gran comodità, evitano il tacchettìo sul parquet nel tragitto che mi separa dal retropalco alla mia sedia rossa.
Seduta.
Respira, Sara, respira.
Concentrati e vai.
Preludio della seconda suite di Bach per violoncello solo: uno dei miei pezzi forti.
Con un po' di autocompiacimento lo attraverso e lo suono, occhi chiusi e il mondo fuori.
Che vi piaccia o meno, io lo voglio suonare così.
Poi la giga della stessa suite.
Infine un antipatico capriccio di Piatti, una specie di gatto aggrappato ai coglioni, da dover rendere persino piacevole e musicale.
Un paio di Madonne lungo il percorso, ma riesco a venir fuori dai miei 9 minuti di gloria senza eccessivi danni.
Saluto con un "grazie e arrivederci", sussurro dentro di me "Speriamo di rivederci!".
Appena fuori, la folla dei candidati che chiede come sia andata. Alcuni te lo chiedono sinceramente, altri te la tirano cordialmente e sperano che ti sia andata maluccio, così che la competizione non sia poi così tesa.
Sorrido e dico un laconico "vedremo...".
Martina mi corre incontro sorridente e mi dice che ho suonato bene e che il Bach le ha fatto uno strano effetto nello stomaco. Spero non si tratti di un conato di vomito!
Poi è il turno di tutti gli altri.
Attesa. Una sigaretta fumata con una soddisfazione unica. L'ultima l'avevo consumata tre ore prima, dato che la nicotina associata all'adrenalina può essere un modo come un altro per percepire una specie di attacco di tremolio parkinsoniano!
Il primo turno è compiuto, l'eliminatoria ha falcidiato: eravamo in 20, ora siamo solo 5 superstiti.
Si ricomincia.
Torno sul palco, suono il primo tempo del concerto di Schumann con un pianista accompagnatore che, se gli avessero levato i tappi dalle orecchie alla nascita, forse non avrei dovuto rincorrerlo perchè non mi buttasse nel baratro del panico.
Finito.
Questa prova lascia 5 idonei.
Io ho vinto.
Contenta e stanca, assaporo ancora un'altra sigaretta prima di riprendere il treno verso la pasta alla carbonara.
Tutti sorridenti e complimentosi, forse non se l'aspettavano da una così. Mi fanno domande, per loro sono un'emerita ignota.

Tocco il letto del treno e mi lascio cullare dal vagone notturno. La stanchezza mi coglie all'improvviso.
Mi piacerebbe solo andare al mare.

 
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Post N° 22

Post n°22 pubblicato il 25 Settembre 2005 da Zafuf

Ancora una volta domenica.
Impossibile sorpassarla senza finire in cocci.
Il mondo si ferma e riposa.
Io fatico a respirare.
Un po' a causa del malanno in corso, molto a causa dell'immobilità di questa giornata, capace invece di mobilitare tutti i miei pensieri.
"L'angelo e la pazienza" di Ivano nell'aria della casa.
Il sole fuori ed il cielo azzurro.

Il treno stasera mi porterà lontano, giù ai margini dell'isola, oltre i confini della penisola.
Tra arancini e cassate.
Tra note ed ambizioni.

E' autunno da quattro giorni e non vorrei.

 
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Post N° 21

Post n°21 pubblicato il 20 Settembre 2005 da Zafuf

Ma è così triste quel che scrivo?

 
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Post N° 20

Post n°20 pubblicato il 19 Settembre 2005 da Zafuf

Chissà perchè questa canzone del leone che dorme nella giungla mi si è letteralmente appiccicata al neurone stanco. Appena smetto di produrre suoni, ecco che mi appare nel cervello con il suo "auimmauè auimmauè", n'importe quoi je fasse.

Rimedio cercando di mettere "Viaggiatori d'occidente" di Ivano al massimo volume.

E dove sono i pensieri? Dove li ho lasciati? Tutti i miei pensieri stasera non si fanno vedere, nella testa solo note, tutte quelle che non ho lasciato sul pavimento a languire.
E' strano come una cosa ovvia come lo studio riesca a sgominare la forza del vortice mentale. Accade spesso, spesso è un'ottima medicina, anche se nelle giornate piovose e domenicali c'è ben poco da fare.
E' incredibile come l'onanismo mentale su di una nota perfetta possa rendere tutto quel che guardo trasparente.
E ti prende e ti porta via la Musica, ti trascina dove tu non arriveresti con le parole, ti ricorda chi sei, ti ricorda di chi sei.
Sono fortunata, lo so.
Il mio salvagente personale è rosso e si trasforma in destriero sensuale che non mi lascia andare verso Nessunluogo.
Si chiama Arturo Fracassi ed è datato 1958.
Non dirà molto il suo nome, ma per me è stato una conquista enorme.
Mi era stato costruito  un violoncello su misura nel 1990, la mano piccola (per fortuna elastica) non consentiva le normali misure per gli strumenti da "adulti".
Per anni mi sono accompagnata a lui, un 7/8, misure ridotte - per una mente ridotta?-.
Poi un bel giorno una telefonata da Washington
:- Sara, ho trovato il violoncello per te.-
Solo Lui avrebbe saputo trovarlo, tra mille nomi, tra milioni di euro, tra crepe di centenni.
Quando  Arturo Fracassi ed io ci siamo incontrati, ricordo di aver sentito un lungo brivido che attraversava la schiena.
Rosso fuoco, con venature affascinanti, un suono caldo eppur possente, la forma perfetta ed assolutamente compatibile con il mio scombinato corpo.

Un banale colpo di fulmine?
Qualcosa di diverso. Lui è la parola che cercavo, la voce che mi mancava, la possibilità d'esser me stessa dentro.



 
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Nostalgia

Post n°19 pubblicato il 18 Settembre 2005 da Zafuf
Foto di Zafuf

Esistono giorni bagnati di pioggia.

In quei giorni non esiste alcuna Musica in grado di portar lontano, nessuna scala, maggiore o minore che sia, che possa automatizzare la concentrazione, nessuna pagina che possa raccontare di altre storie, se non della propria.

Sono malata.
Era accaduto nel momento in cui correvo verso la cervice di mia madre. Con la testa grossa che si rifiutava di agilitare il varco.
Volevo restar lì, calda e nutrita, al massimo dando qualche calcio deformando il tondo ventre materno, senza assolutamente modificare il mio status.
Ed invece, mentre mio padre era allo stadio, la mia condizione vitale mutava, mia madre si rendeva conto di essersi fregata con le sue stesse mani mettendo al mondo un ragnetto con mille capelli, mia nonna si chiedeva con quale avvocato mi sarei mai potuta sposare.
Poi la vita ti insegna a parlare, a mangiare con le posate, a camminare, a fischiare, a suonare, a guardare, a leggere, ad amare.
Probabilmente a causa della mia storia familiare, ho dovuto presto fare i conti anche con altri aspetti.
Il distacco e la nostalgia sono i miei veri nemici giurati.
Le stazioni e gli aeroporti i luoghi in cui sento le mie budella torcersi drammaticamente.
Un abbraccio, un bacio, un saluto, un sorriso e poi solo spalle che si allontanano.
Voltarsi e trovare una mano che si agita flebilmente.
I contorni già vaghi.
Nel cuore il terrore che non ci sia poi un ritorno.
Eppure è una vita che parto.
Ed è sempre da una vita che, appena il treno abbandona la stazione o l'aereo decolla, sento un dolore straziante solcarmi l'anima.

Pare che partire sia un po' morire, ma io non muoio.
Stipo giorno dopo giorno nella mia Valigia ogni granello che trovo sotto le unghie, sulle scarpe, tra i ricci ribelli, tra i fiori secchi della lavanda o tra i petali di una bouganville.

La porto con me quella valigia rossa, senza dimenticare nulla, talvolta crogiolandomi nella memoria, lasciando che la nostalgia mi accarezzi dolcemente.



 


 
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Post N° 18

Post n°18 pubblicato il 16 Settembre 2005 da Zafuf
Foto di Zafuf

La città riposa, già stanca dopo appena due settimane di lavoro.
Io non dormo, i sogni mi sfuggono, il sonno non mi accoglie, i pensieri sono come farfalle sotto vetro. Flap flap bum bum crock. Mi si è rotta un'ala, forse, o semplicemente stanotte i miei colori sono meno brillanti.
Magari domani con un raggio di sole tutto sarà un po' più luminoso.
O forse ancora, non sono mai stata farfalla e non ho mai avuto colori, non crisalide, ma bruco verde e peloso.
Sgranocchio la mia foglia e sono l'orrore del contadino, il terrore degli alberi da frutto, il disastro che si accompagna alla grandine sull'uva.
Dal bozzolo di un bruco parassita delle piante è possibile ottenere una membrana antivento hi-tech da utilizzare per produrre tessuti leggeri che permettono una buona traspirazione, capaci di proteggere il corpo contro gli elementi atmosferici.

Da piccola avevo un libro che si chiamava "il bruco e la mela". Un cartonato che aveva in copertina una mela rossa, che, man mano che si scorrevano le pagine, si rimpiccioliva fino a divenire seme.
Mia madre me lo leggeva perennemente ed io lo recitavo a memoria.
L'ho rivisto qualche giorno fa in libreria e sono stata colta da nostalgia.

Il bruco mi è sempre piaciuto.

 
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Post N° 17

Post n°17 pubblicato il 13 Settembre 2005 da Zafuf

"Buontempo"

E' la canzone che da molto tempo riesce a farmi danzare a piedi nudi per casa, nonostante tutto, nonostante me. La batteria porta il ritmo incalzante della speranza, le armonie si mischiano lievi e maggiori, la testa si scioglie con le parole di Ivano Fossati.
Era il 27 febbraio (!) del 2004, ero a Genova e l'odore del mare si riappropriava delle mie narici.
Era il 27 febbraio 2004 ed io me ne ricordo come se fosse ieri.
Ivano in concerto nella sua terra natale, accolto da un pubblico che incrociava generazioni, che univa i cuori, che scalpitava tra le poltrone di velluto rosso tanto seriose e tanto strette per chi aveva il fuoco nell'anima e nei piedi, ancora imprigionati nelle scarpe invernali.
Si arrivava da Milano, la previsione era di neve in andata ed in ritorno. Ma c'erano le catene e la Musica ci chiamava forte.
Genova bella, diversa dall'ultima volta che c'ero stata dolorosamente nel luglio 2001.
Eravamo leggeri sui nostri piedi, in cerca di salsedine e di pasta con il pesto, mangiata alla buona in un'osteria piuttosto "lurida", ma nel perfetto stile che adoro, quello verace e sincero. Senza alcuna pretesa o velleità.

La notte, dopo aver cantato a squarciagola durante il concerto, le Cinque Terre ci hanno regalato l'atmosfera unica del mare di notte.
E chi se ne frega se poi l'indomani ci si sarebbe alzati alle 5, perchè dovevo correre a Bologna a lavorare.
E chi se ne frega se le poche ore di sonno sarebbero state scomode ed umide.
E chi se ne frega ancora se lungo la strada del ritorno saremmo stati rincorsi dalla bufera di neve.

Resta nell'anima una giornata speciale, durante la quale ho visto un uomo sorridere profondamente, felice e libero.
Non avrei potuto desiderare altro.


 
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Post N° 16

Post n°16 pubblicato il 11 Settembre 2005 da Zafuf

Quando posso la vado a trovare.
E' sempre stesa sul suo letto e fuma. Ne consuma una e ne accende un'altra.
Ha nello sguardo un momento di lucidità e mi saluta con un bacio lieve, poi torna lì nel suo mondo distante fatto di cristalli.
Mi dice :- Ho ragionato e non credo che tu sia mia figlia.-
Io le sorrido e scuoto la testa per non turbare troppo quel pensiero, per non destare troppi dubbi.
Poi mi guarda intensamente e mi chiede:- Ma tu non sei un po' figlia mia, vero?-
La rincuoro e le dico quasi sussurrando di no.
Ogni volta che vado da lei, va a finire che si canta.
E' il suo modo per dimostrarmi che è contenta che io sia andata a trovarla.
"La banda suona per noi, la banda suona per voi, lallaralaralala..."
Me la cantava sempre quando ero piccola, prima che il delirio divenisse cronico, e ballavamo strette strette, mi faceva volteggiare e poi mi diceva in un orecchio :- Prima o poi ci andiamo in Argentina a ballare il tango.-

Quel leggero filo che la manteneva in contatto con il mondo reale è svanito poco più di un anno fa, rapito da una malattia che non lascia scampo neanche ai più coraggiosi.
Da allora il suo sforzo è di conservare l'incoscienza di quel che la circonda, non consentendo a nessuno di farle presente che nell'altra metà del letto non ci sia più nessuno a respirarle di fianco la notte.

Non ha mai avuto bambini, ma li ha sempre desiderati.
Ha sempre saputo di essere malata, ma non l'ha mai accettato.
In verità neanche la mentalità piccolo-borghese di sua madre l'ha aiutata a prenderne seriamente atto.

E' partita ormai per luoghi lontani la mia Renata.
Il suo sorriso sghembo talvolta mi si avvicina, talvolta mi consente di toccare con mano i suoi sogni di bambina adulta.
Il suo sorriso mi rammenta i tratti di famiglia, lo sguardo acuto di una mente geniale, la parte non salva di una storia che fa parte di me, l'instabilità drammatica figlia di un'epoca che non ha lasciato molto scampo alle debolezze ed alle fragilità umane.
Oltre il letto, una poltrona che ospita un'altra donna.
Distrutta dall'impotenza, prostrata spesso dal senso di colpa d'esser riuscita a non soccombere al disastro circostante.
Sono sorelle.

Di una di loro non sono figlia.

 
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Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 08 Settembre 2005 da Zafuf

Vorrei parlare di mille cose,
ma stasera lascio semplicemente che la Musica vada.
Miles Davis, "Kind of Blue".
Il velluto sulla pelle.

Un'altra giornata scorsa tra tante note e noti luoghi.
Al mercato ho ricevuto sorrisi e ne ho restituiti.
Ho guardato la pancia delle cicale di mare muoversi, seppur ormai rassegnate al rio destino della catena alimentare.
Da queste parti esiste ancora l'usanza popolare di urlare per attirare vetuste signore munite di carrello biruote, vestite di perle alle otto e mezzo del mattino.

Le mani solcate dalle corde questa sera.
Tornano le "canzoni" perdute nella salsedine estiva.
Torna la voglia di vincere.
Non l'ambizione, ma il desiderio grande di esprimere senza troppe cervellotiche interpretazioni.
La semplicità è la miglior medicina per ritrovarsi.

 
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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 04 Settembre 2005 da Zafuf

Gli occhi di tutto il mondo guardano all'America, alla Grande America, all'America piegata, all'America dei desperados, all'America che da giorni non corrisponde all'immagine delle sit-com, ambientate in meravigliosi e verdi cottages, con le quali veniamo bombardati ogni giorno.
Io per prima guardo con impotenza alla devastazione causata dall'impeto della Natura, attraverso le immagini strumentali di ogni telegiornale, attraverso le righe di qualsiasi quotidiano.
Il mondo tutto si dispiace e la piaga resterà aperta per anni, tornando tra qualche giorno nel silenzio dell'indifferenza.
D'altronde forse pensiamo che nei paesi asiatici distrutti dal recente tsunami sia accaduto il miracolo e tutto si sia magicamente ricostituito come prima?
Si tratta solo di quel fantastico meccanismo chiamato "Rimozione".

Mi fermo, tuttavia, a guardare un'altra notizia che invece dovrebbe destare molta più preoccupazione e per la quale invece scende il sipario nero dell'omertà.
Parigi brucia, dolosamente.
Era iniziata a Berlino poco più di un mese fa la missione di qualche medioevale crociato.
Ma Parigi, terra della libertà e dei diritti umani, patria dei grandi idealismi, si infuoca dimentica di ogni suo principio originale e di ogni tolleranza.
Solo stamattina, dopo quattro incendi, si comincia a sussurrare che si potrebbe trattare di dolo.
Ma, la domanda nasce spontanea, com'è che bruciano solo le case dei più disperati? Può essere che la fatale casualità divenga distruttiva causalità?
Sessant'anni di storia e di ricostruzione di una coscienza umana, sociale, culturale, in una città in cui alfine convivono decentemente (meglio che in tutto il resto dell'Europa!) le differenti provenienze, non bastano più per costituire un futuro di tolleranza? C'è davvero ancora bisogno dei corsi e dei ricorsi storici per riattivare la memoria?

Resto attonita e l'associazione più rapida resta sempre quella della cosiddetta "notte dei cristalli".

 
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