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Cronaca (zona 3 e 4, Milano e altro ancora) raccontata da un giornalista e scrittore Democratica Mente MOLTO di Sinistra

 

 

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BERTANTE AL RIFORMISTA: OFFICINA MILANO EUROPA

Post n°344 pubblicato il 06 Settembre 2011 da marcozio1
 

 Non è un mistero che a Milano siano in corso grandi manovre. L’affermazione di Giuliano Pisapia e della sinistra è il sintomo di un radicale cambiamento che si iscrive in un mutamento a carattere nazionale. Non c’è ambito che non propenda a evolvere il paradigma. Dal welfare alla cultura, dall’economia alla composizione sociale, a Milano si sta cambiando l’assetto. Inserendosi in un dibattito aperto su Repubblica da Stefano Mauri e ripreso sul Corriere della Sera da Luca Formenton, Alessandro Bertante – scrittore, ma anche organizzatore di una delle rassegne letterarie più importanti di Milano, insieme ad Antonio Scurati – è già intervenuto (come anche ha fatto il sottoscritto) a segnalare la possibilità di trarre bilanci e rilanciare prospettive in questo ring, il quale è soltanto in apparenza stracittadino e soltanto in apparenza editoriale. Lo scrittore Andrea Di Consoli ha ripreso questi spunti in un’intervista a Bertante pubblicata oggi sul Riformista. Ritengo utile riprenderla, perché sono descritte linee di sviluppo che interessano chiunque si interessi di produzione di senso e di collettività.

Quali sono le difficoltà che Officina Italia ha dovuto affrontare quest’anno?

Abbiamo dovuto rimandare Officina Italia dalla sua naturale collocazione primaverile a quella autunnale (dal 2l al 22 ottobre) per mancanza di fondi. La nuova giunta di sinistra ha promesso che ci sosterrà ma continuano a latitare gli sponsor privati e le fondazioni. Questo disimpegno nella progettualità culturale di una città come Milano mi sembra francamente senza senso, specie in previsione dell’EXPO. In tutto il mondo esistono professionalità specifiche legate alla cultura, in Italia è ancora considerata un fardello.

Crede anche lei che il cambio amministrativo-politico a Milano possa imprimere una svolta positiva alla Milano culturale?

Prima di questa primavera, io non ho mai vinto un’elezione amministrativa a Milano che per più di vent’anni è stata amministrata dal centrodestra, ed è stata amministrata male, senza nessuna sensibilità verso il mondo culturale della città che pure è vasto e vanta una storia di cui andare fieri. La città era come un pentola a pressione che teneva schiacciate potenzialità, risorse e immaginario. Ora queste avranno la possibilità  d’emergere con forza e un ruolo attivo e partecipe dovrà averlo anche la nuova giunta comunale. I milanesi non si aspettano nulla di meno dai nuovi amministratori.

In che modo potrà avvenire questa svolta?

L’aria è cambiata, si sente. Il declino del berlusconismo potrebbe portare con se una luminosa stagione culturale. E potrebbe farlo qui, nel ventre della bestia, dove negli ultimi due decenni si è formata la macchina del consenso della nuova destra italiana, quella aggressiva e orizzontale standardizzazione verso il basso che di fatto nasceva come negazione di ogni forma di approfondimento artistico ma anche della condivisione degli spazi sociali. Adesso non ci sono prospettive facilmente identificabili, se non quelle dettate dal buon senso: ovvero ricambio generazionale, meritocrazia, grande attenzione alle seconde generazioni di emigrati e alla forza della loro esperienza e, mi auguro, anche il ridimensionamento di certa borghesia cittadina che non ha più sguardo e non ha più orizzonti.

Milano è ancora una capitale culturale internazionale? E se sì, perché?

Milano è un centro importante a livello mondiale per quanto riguarda la moda e il design, ma questa eccellenza oramai è diventata un peso per la città, l’ha resa superficiale e prevedibile, a una sola dimensione. Adesso è venuto il tempo di essere partecipi e testimoni di qualcosa di altro. Certo l’atteggiamento non deve essere conflittuale ma di apertura a nuove esperienze. Anche per posizione geografica, Milano ha sempre guardato all’Europa, dobbiamo pensare con la stessa prospettiva: quest’anno sarà a quinta e ultima edizione di Officina Italia, Scurati  e io stiamo giù lavorando a Officina Europa, una scommessa affascinante.

Come sta a suo avviso l’editoria milanese?

Milano è senza ombra di dubbio la capitale italiana dell’editoria, qua ci sono tutti i grandi gruppi e c’è il controllo assoluto della distribuzione che è altrettanto importante, sebbene non ne parli mai nessuno. Questi colossi però sembrano un po’ appannati e monolitici, gestiti con un’impostazione ministeriale che non consente una stimolante vivacità culturale. Approfittando di questo immobilismo, la piccola e media editoria romana negli ultimi cinque anni ha fatto dei notevoli passi in avanti, specie per quanto riguarda la formazione di nuove figure professionali.

Esiste a Milano il precariato culturale?

Oramai a Milano esiste solo il precariato culturale o perlomeno questo è il modello di lavoro maggioritario, in tutti gli ambiti: dalla ricerca, all’informazione, all’industria editoriale e alle realtà a essa collegate. E parallelamente a questo continua a esistere  una casta di intoccabili assunti negli anni Ottanta, una casta stanca e spesso incompetente che è diventata una vera e propria palla al piede della rinascita cittadina; ed è una casta trasversale agli schieramenti politici. Tutti gli altri navigano a vista.

Qual è l’aspetto più importante del suo rapporto con Milano?

Di amore senz’altro, non corrisposto. Milano è una città ostile che ti chiede molto e ti concede poco. E in questi anni è stata anche una città bloccata, ferma in un presente di rassegnazione e priva di un‘idea di futuro che potesse vivificarla.

Quali le differenze tra la Milano degli anni Ottanta (che tutti evocano) e la Milano degli anni 10 di questo nuovo secolo?

La Milano degli anni Ottanta vive nel mito di una menzogna. Quella menzogna era l’edonismo socialista e la garrula festosità degli ex rivoluzionari che furono scuola quadri di una classe dirigente cinica e priva di pietas, quanto di sensibilità sociale. Quella in realtà fu la stagione dell’eroina e delle morti silenziose nei bagni pubblici e nei parchetti di periferia – io sono cresciuto giocando fra le siringhe – non certo dell’amaro Ramazzotti e della crescita economica, che infatti si rivelò illusoria. In quegli anni si perfezionarono le nuove strategie del consenso e cominciò la dittatura del presente, della cronaca, della bassezza e dell’individualismo. Ora è giunto il tempo che questa menzogna venga svelata e soprattutto si smetta di rievocare miti decadenti che non servono più a nessuno.

Esiste una comunità di scrittori milanesi? E se sì, lei se ne sente parte?

Esiste eccome  e io ne faccio parte a pieno titolo. Manca un centro, un punto di riferimento per le diverse esperienze e per le diverse biografie. Ma ci stiamo lavorando. Qua non c’è la RAI, non c’è il cinema, non c’è il grande carrozzone statale, molti scrittori lavorano in altri campi, anche diversissimi, c’è dispersione, c’è conflittualità, ci sono iperboli e cadute rovinose, senza rete ci si può fare molto male. Chi si ferma è perduto e, di fatto, lo siamo tutti.

Esistono ancora – a suo avviso – differenze “culturali” tra Roma e Milano? E se sì, in cosa consistono?

Roma  e Milano sono città molto diverse. Ma questo, francamente, è un argomento che mi interessa poco e ancora meno mi interessa la presunta competizione fra le città. Posso solo dire che qua le occasioni di incontro sono molto più pubbliche – nei bar, nei ristoranti, alle presentazioni – si sta meno in casa, ci sono meno terrazze. Da questo punto di vista, il clima non ci aiuta.

E’ una città tollerante, Milano?

Lo è sempre stata, gli episodi di razzismo e di intolleranza sono ancora piuttosto rari. Ma certo gli ultimi decenni non ci hanno aiutato in questo senso, abbiamo fatto dolorosi passi indietro. Milano ha alla spalle una storia di grande accoglienza, già alla fine dell’Ottocento esisteva il termine di “milanes arius”, ovvero non nato in città ma che della città faceva proprio lo spirito e la volontà di appartenenza. Io sono figlio di immigrati dal Nord Italia e tutti i miei coetanei erano figli di immigrati da ogni regione.

In cosa consiste la felicità e l’infelicità di Milano in base alla sua esperienza?

A Milano si può essere molto soli, è una città difficile, dura, ma che nasconde dei segreti. Bisogna avere la forza e la pazienza di scoprirli.

 
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