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LO SCOPO DI ANDARE IN BICI

Post n°45 pubblicato il 19 Ottobre 2006 da adbvigonovo

Cari amici,
Mi trovo a Torino. Sono qui per una visita di piacere, di riposo e per trovare una zia Suora, beh, insomma un sacco di motivi.
Per l'occasione ho voluto arricchirmi regalandomi una visita al Sermig: realtà fondata da Ernesto Oliviero ex banchiere e padre di tre figli. Penso che la cosa forse vi potrà interessare...
Il Sermig inizialmente nasce negli anni 60. Esso significa Servizio, Missionario, Giovani. Due ragazzi di nome Ernesto e Maria vivono i loro primi anni di matrimonio mettendosi a servizio dei poveri, dando così un prezioso contributo ai missionari. Negli anni 80 nasce la comunità giovanile che poi si trasformerà in comunità monastica. Ad Ernesto lo stato donerà il vecchio Arsenale di Torino, vecchia fabbrica dove vennerò prodotte la maggior parte delle armi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Piano piano Ernesto assieme ai giovani lo restaura e lo fa diventare nel suo progetto l'Arsenale della Pace. A tutt'oggi molti giovani vengono al Sermig per vivere diverse esperienze; esperienze di lavoro per le missioni, laboratori di formazione con temi sociali, artistici, qui si prega e si vive una vita impegnata per cercare la pace e lottare contro ogni forma di emarginazione. Mentre un monaco mi accompagnava a vedere l'Arsenale di Pace mi è venuta l'ispirazione di parlare di voi e di promettergli l'omaggio del mio libro che parla del nostro piccolo e grande sogno.
Ho visto che quel monaco si è dimostrato interessato, anche se quando parlo di bicicletta e solidarietà mi sembra di essere squadrato come ridicolo. Questo in modo particolare da chi vive nel mondo ecclesiale e nell'ottica religiosa.
Questa mattina pregando ho fatto una mia riflesssione: che senso ha correre in sella ad una bici? Qui a Torino ci sono migliaia di poveri, in Veneto altrettanto? Perchè divertirci, mentre c'è chi soffre o non può partecipare alla nostra gioia?
Io vorrei oggi dare una risposta a questo: non posso salire su una bici se non rendo gli altri partecipi di questo. Ovvero se il divertimento sportivo diventa fine a se stesso non è per me vero sport, ma diventa egoismo allo stato puro, perchè ciò che conta è lo sviluppo della persona nella relazione.
Mi piacerebbe proporvi questo stile, che sono convinto ha un futuro e darà un futuro all'Associazione Pedaliamo per la Vita. In tal senso la proposta della nostra associazione diverrebbe: la gioia condivisa.
Come possiamo andare in bici se un disabile non lo può fare? Come possiamo raggiungere una meta senza scopo di solidarietà? Come possiamo creare aggregazione sociale se le famiglie non vengono coinvolte, educate, spinte ad aiutarsi ed aiutare?
Come sarebbe bello per ogni uscita in bici si potesse donare qualcosa a qualcuno. Non sempre è necessario dare denaro;  in alcuni frangenti può essere il portarsi via un amico che ha dei problemi, accettando la responsabilità di assisterlo, rinunciando ad andare ai 30 all'ora e magari accontentarsi dei 20, stando con lui e parlando con lui. Oppure autotassarsi con libertà per dare qualcosa a qualcuno. E questa autotassazione potrebbe essere libera. Per esempio nelle uscite domenicali io con chi vuole do qualcosa: un euro o due e alla fine dell'anno devolviamo quello che abbiamo raccolto per uno scopo. Ecco allora che il divertimento ciclistico diventa condivisione e solidarietà.
Altro tema: lo sport come terapia.
Mi sto accorgendo da quando sono parroco che lo sport può diventare una terapia. In modo particolare verso quelle persone che sono ammalate psichicamente: depressione e altro. Queste quasi sempre sono dimenticate. Organizzare piccoli viaggi con loro sarebbe positivo. In primo luogo una persona del genere avrebbe un obiettivo, in secondo luogo acquisirebbe fiducia in se stessa e gratificazione grazie alla fatica e allo stare in compagnia. Per tali motivi l'associazione ha il dovere di avere mezzi ciclistici idonei ad accompagnare persone diversamente abili o problematiche. So che è stato offerto un Tandem, in futuro sarebbe auspicabile avere una bici per tetraplegici. La promozione sociale la si può fare in diversi modi: per farla bene occorrono idee, ma prima ancora delle idee occorre la formazione, intendendo quella capacità di mettersi in ascolto delle esigenze altrui e delle esperienze altrui. Alla base della "formazione - ascolto" sta il confronto che non deve essere imposizione delle idee del più forte, ma nel primo stadio deve essere accoglienza di un diverso punto di vista. Vi ricordo che avevamo preso l'impegno di riflettere sul doping e propongo anche un altro tema: lo sport inteso da chi è diversamente abile. In futuro si potrebbe lavorare su questi temi. Invitate comunque qualche sera li da voi in sede persone preparate a determinati temi per creare dibattito e confronto.
Buona strada a tutti vostro
d.Lorenzo

 
 
 
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