QUESTO da Il Giornale, Filippo Facci 16.01.2009
TRATTAMENTO DI FAVORE
di Filippo Facci
L’uomo che è stato interrogato dalla Procura di Napoli, ieri pomeriggio, non era un cittadino qualsiasi: era il perpetuo amico delle toghe, l’ex magistrato a vita, il difensore di ogni pubblico ministero dello Stivale, il politico giustizialista secondo il quale l’inquirente più squilibrato deve comunque «andare avanti» e ovviamente «senza guardare in faccia a nessuno».
Non era un uomo: era un testimonial di categoria e, anche alla luce di passate vicende, senz’altro il cittadino più protetto del Paese. Altrimenti non gli avrebbero riservato un’accoglienza così sontuosa: giornalisti e fotografi, ieri, sono stati allontanati dall’ingresso della procura grazie a una disposizione ad horas del procuratore generale, provvedimento personalizzato e senza precedenti che ha sollevato ovvie proteste da parte di taccuini e telecamere.
Sono stati i cronisti a far notare che l’altro giorno, in occasione dell'interrogatorio di Italo Bocchino, che è solamente vice-capogruppo del Pdl, le cose erano state ben diverse: era mancato solo che i giornalisti fossero fatti entrare direttamente nella stanza dell'interrogatorio. Mentre ora, a protezione, mancavano solo i dobermann: e Di Pietro sembrava lui, quello dei bei tempi; parliamo dell’uomo che aveva «annusato» l'inchiesta napoletana un anno e mezzo prima che fosse resa nota; è l’uomo che a Brescia evitò ogni processo a suo danno (prestiti, Mercedes, case eccetera) incassando una serie di «non luoghi a procedere» che per qualsiasi altro cittadino, statistiche alla mano, si sarebbero tradotti in automatici rinvii a giudizio; è l’uomo che in Tribunale, ambiente suo, vince ogni querela anche se scritta in molisano; è l’uomo che nel periodo di Mani pulite entrava nei negozi preceduto dai mitra spianati della scorta, l’uomo il cui figlio Cristiano, da 22enne, ottenne di fare l’esame di maturità completamente da solo, per «motivi di sicurezza».
Il cittadino più protetto d’Italia, ufficialmente, è stato ascoltato a proposito di quella che in precedenza aveva definito «una grandissima puttanata»: la fuga di notizie, cioè, che a partire dal 29 luglio 2007 l’aveva già messo al corrente che il provveditore delle Opere pubbliche della Campania, Mario Mautone, uomo suo, era indagato a Napoli. Chi era stata la talpa? Querelato e snobbato, il Giornale gliel’aveva chiesto per settimane. Una faccenda «ambigua», scrissero gli investigatori. Ripetiamola per la centesima volta, anche per tutti quei giornali che non l’hanno scritta mai: la Dia ha scritto di circostanza «inquietante» perché Di Pietro e suo figlio, e un po’ tutta l’Italia dei Valori, improvvisamente, smisero di parlare a Mautone come se fosse appestato, cioè indagato; Di Pietro disse che aveva trasferito Mautone a Roma «perché sapevo dell’indagine», poi ha corretto e ha specificato che dell’indagine aveva appreso da agenzie di stampa: e non era vero neanche questo. Poi più nulla, zero, silenzio: sino a una non-spiegazione fornita sulle colonne di Libero per una questione appunto definita «una puttanata mostruosa». Ora chissà se l’arcano sarà stato svelato: non è detto che i magistrati già non sapessero come certe notizie siano uscite dal loro ufficio.
Di Pietro, comunque, è stato interrogato per quasi quattro ore, verbalizzazione compresa: ed è uscito con l’aria pur sfatta di chi l’indagine la stava conducendo, più che subendo. È mestiere. Aveva raccontato che si era recato spontaneamente in procura per rendere delle dichiarazioni (mascheratura del fatto che i magistrati avevano convocato lui) e alla fine dell'interrogatorio si è offerto ai giornalisti con lo stile inceppato e burocratico che è tipico dei suoi momenti difficili: «Ho messo in condizione la procura di ricostruire le ragioni per cui Mautone è stato trasferito insieme a decine di funzionari». Traduzione: ha risposto alle domande. Poi: «Non solo io, ma anche altri ministri abbiamo ritenuto di trasferire questi funzionari». E qui è come ai tempi delle inchieste bresciane: ha chiamato in corresponsabiltà più gente possibile (come fece col Pool di Milano, ai tempi) così da relativizzare il proprio ruolo.
Poi i giornalisti gli hanno ripetutamente chiesto di Cristiano, il figliolo, il consigliere provinciale che raccomandava i suoi amici al provveditore Mautone. E c’è da tradurre anche qui: «Non vogliamo ci sia alcuna riserva per parenti, figli compresi, e esponenti di partito», ha detto Di Pietro.
Significa, se vi fidate, che Cristiano è indagato. «I magistrati non mi hanno detto null’altro, di quello che lo riguarda». Significa: è indagato, ma non sarò io a dirvelo. Provvediamo noi. Povero ragazzo.
Da quanto è stato scritto si evince che il signor mani pulite ha giocato in casa. Del resto, se la Procura di Napoli fosse stata tale, Bassolino sarebbe stato indagato e inquisito da un bel pezzo. Ci scordiamo la munnezza e tutto il resto?
Quanto CI (= a noi tutti, Egregi Signori ) è costata quella mondezza?
Tutti i nodi vengono al pettine, diceva mia nonna. Calma e gesso.
Intanto noi lo abbiamo pubblicato e letto ( noi sta per io e Voi ).
I finanziamenti dell’Idv: Tonino e i soldi della contessa
Questo da PANORAMA, oggi 17.01.2009
Correva l’anno 1995 quando la contessa che viveva a Londra proclamò: “Soltanto quei due possono cambiare l’Italia”. I tempi erano difficili, la Prima repubblica finiva in macerie, il nuovo avanzava ma a stento. Romano Prodi girava in pullman l’Italia e Antonio Di Pietro, appena dismessa la toga, ancora meditava se buttarsi in politica. Fu allora che Maria Virginia Borletti, detta Malvina, la milanesissima erede delle macchine per cucire “Borletti, punti perfetti”, decise che era venuta l’ora di dare il suo personale contributo al cambiamento.
Il 22 maggio, davanti all’avvocato londinese Claudio Del Giudice, in Great Eastern street, firmò l’atto di donazione più straordinario nella storia della Repubblica: il 20 per cento dell’eredità del padre Mario sarebbe andato a Romano Prodi e ad Antonio Di Pietro, “le persone che più hanno da dire al nostro Paese e che riflettono la miglior parte degli italiani”. Sette miliardi di lire in due, fu la stima dell’epoca: 3,5 miliardi a testa che avrebbero potuto, calcolarono preoccupati figli e fratelli, diventare ancora di più.
E infatti chiusero i cordoni della borsa appena possibile. Ma di soldi ne erano già usciti tanti: 1,5 miliardi che i beneficiari giurarono di avere accortamente investito in attività politica. Fino al colpo di scena del 9 gennaio scorso, quando su Libero Antonio Di Pietro ha illustrato la destinazione di 300 dei 954 milioni da lui incassati dalla contessa: acquisto di case. Possibile?
Da Londra arriva un “no comment”. Non parla la contessa che voleva “cambiare l’Italia”, né i fratelli che le contestarono la donazione, e neppure i figli Federico e Francesca, quelli che protestarono: “Sprechi i soldi”. Alessandro Manusardi, il commercialista milanese che all’epoca seguiva gli affari italiani di Malvina, si sente però di “escludere in maniera assoluta che l’obiettivo della signora fosse il finanziamento di qualsivoglia acquisto immobiliare altrui”.
Il finanziamento era tutto politico e come tale è stato regolarmente denunciato alla Camera dei deputati sia da Prodi sia da Di Pietro. Prodi passa all’incasso il 19 ottobre 1998, 10 giorni dopo aver lasciato Palazzo Chigi: 198.479 sterline e 22 pence, che al cambio corrente facevano 545.817.855 lire, pagati a Ginevra da un conto Ubs. Esentasse, visto che Prodi aveva accettato la donazione solo per i fondi depositati oltreconfine e poteva dunque avvalersi della legge 346 del 1990 che esclude dalla tassazione le donazioni liquide fatte da residenti all’estero.
Non si hanno dettagli sulle trattative con Di Pietro, ma sono note le date e gli importi dei versamenti: 571 milioni il 15 giugno 1998; altri 83 milioni il 13 agosto; terza tranche di 300 milioni il 19 marzo 1999. Totale dichiarato alla tesoreria della Camera: 954.317.014 lire.
E qui cominciano le pene di Manusardi, alle prese con il 740 della contessa. In base alla legge può detrarre solo le donazioni ai partiti, non quelle ad personam; dunque si mette disperatamente in caccia di una ricevuta che attesti il passaggio delle somme dai due politici ai partiti di riferimento.
Da Prodi ne ottiene una: le 198 mila sterline sono state girate al Comitato Italia che vogliamo, che ne rilascia regolare quietanza. Ma Di Pietro? “Ho parlato più volte col suo tesoriere, Renato Cambursano” racconta il commercialista. “Non sono mai riuscito a ottenere nemmeno un pezzo di carta”.
Della vicenda Panorama si occupa già nel giugno 2000. Cambursano, intervistato all’epoca, è lapidario: “Né l’Italia dei valori prima, né i Democratici poi hanno avuto alcun contributo proveniente dalla donazione Borletti”.
A bilancio dunque non è mai stato iscritto alcunché. Anzi, “a quei tempi io ero sempre con Di Pietro, ma mai l’ho sentito dire che aveva incassato 1 miliardo dalla contessa” giura Elio Veltri, ex sodale e oggi avversario di Tonino.
Anche Di Pietro e Prodi, nel frattempo, non vanno più d’amore e d’accordo. Di Pietro nel 2000 esce dai Democratici minacciando addirittura un decreto ingiuntivo per ottenere parte dei rimborsi elettorali incassati dal partito; alla fine se ne andrà con i soli mobili dell’ufficio.
È la fine del sogno politico della contessa. C’è da stupirsi se il 13 giugno 2000 il figlio di Malvina, Federico Forcolini, per un’intera giornata si consulta con Manusardi e pochi giorni dopo blocca ogni ulteriore pagamento?
Né Prodi né Di Pietro dicono a. Anzi, qualcosa dicono: a Panorama, sempre nel giugno 2000, spiegano come hanno speso i soldi Borletti. Prodi ha utilizzato i suoi 545 milioni per “la campagna elettorale a Bologna”, e il suo commercialista Fabrizio Zoli fornisce addirittura il numero degli stipendi pagati grazie alla donazione.
Di Pietro elenca “attività politiche diversificate” (vedere il riquadro) e assicura di avere in cassa “un residuo di 62 milioni circa” che pensa di utilizzare per i suoi futuri impegni politici. Dell’acquisto di case non parla. Non ancora. Ma ci tiene a sottolineare che “la donazione non era, nel mio caso, finalizzata ad attività politiche, ma all’uso che ne avrei ritenuto più opportuno”.
Resta solo un dubbio, che forse oggi attanaglia anche la contessa Borletti: comprare casa grazie alla sua donazione era un uso opportuno? E con quali soldi, poi, visto che già nel 2000 Di Pietro affermava di aver speso tutto in attività politiche?
Inviato da: anchemolo
il 13/03/2010 alle 11:13
Inviato da: Alba_in_una_foto
il 07/03/2010 alle 10:08
Inviato da: anchemolo
il 01/02/2010 alle 19:14
Inviato da: guchippai
il 01/02/2010 alle 14:11
Inviato da: aumania_12
il 24/01/2010 alle 10:47