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La favola atomica

Post n°71 pubblicato il 27 Maggio 2008 da joemitraglia73
 

Gianni Mattioli
Massimo Scalia

Ministri, politici e Confindustria ripetono che dall'energia nucleare si può trarre energia abbondante, tanto da liberarci dalla schiavitù del petrolio e del gas, energia pulita, tanto da contrastare l'incubo del cambiamento climatico, energia a prezzi ben più limitati, tanto da ridar fiato alla nostra stanca economia.
Tutto ciò è una favola, non ha alcun fondamento scientifico razionale: non poco o tanto discutibile, semplicemente inesistente. Tanto che sorge una domanda ingenua: è possibile che ministri, politici e industriali possano proclamare tante assurdità senza che un tecnico amico gli suggerisca qualche dato?
Basterebbe guardare gli altri paesi nucleari: forniscono un quadro di crisi dell'energia nucleare, documentata dai rapporti dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (Aie) e, in particolare, dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) delle Nazioni Unite.
L'energia nucleare abbondante. Di che parliamo? Oggi essa copre il 6,4% del fabbisogno mondiale di energia, e di uranio fissile, a questo ritmo modesto di impiego, secondo il rapporto Aiea del 2001 ce n'era per 35 anni. Certo, si potrebbe ricorrere all'uranio 238, ben più abbondante in natura: si tratta di un tipo di uranio non fissile, ma attraverso il processo di cattura di un neutrone, si puo trasformare in plutonio, materiale fissile, anzi ingrediente principale per le bombe. Materiale dunque ad alto rischio di proliferazione militare e anche sanitario: un milionesimo di grammo è la dose che può essere letale per inalazione. La Francia, che aveva perseguito con decisione questa strada, l'ha abbandonata col venir meno dell'urgenza strategica della force de frappe.
La questione delle scorie radioattive provenienti dalla fabbricazione e dall'impiego del combustibile nucleare. Solo per l'Italia, con il suo modesto passato nucleare, si tratta di un centinaio di migliaia di metri cubi, da sistemare in modo che non vengano più a contatto - per «ere» intere - con l'ambiente, la falda idrica, tutti noi. Oggi non c'è soluzione. Si era fatto molto affidamento - anche per Scanzano - sulle strutture geologiche saline, fidando sul carattere idrorepellente: l'acqua è un temibile avversario per la sua capacità di fessurazione di qualsiasi contenitore e conseguente messa in circolazione dei materiali radioattivi. La fiducia è crollata qualche anno fa, quando, nel corso della messa a punto del deposito Wipp del New Mexico, l'acqua ha fatto irruzione là dove non ci si sarebbe aspettati di trovarla e, inoltre, si è anche ipotizzata la possibile circolazione d'acqua a causa dell'insediamento di materiali ad alta temperatura (a causa della loro radioattività) con conseguente alterazione delle condizioni di stabilità geologica. Oggi si spera nelle rocce argillose e la Francia indirizza a queste strutture geologiche la sua ricerca.
Ma allora quanto costa il kilowattora, in una situazione nella quale il ciclo del combustibile nucleare è tutt'ora materia di ricerca fondamentale?
E si torna alla complessità di una tecnologia che ripropone il problema della radioattività, l'insoluta sfida che conosciamo dal 1896, con la scoperta di Becquerel. E' questo in definitiva il fattore che ha fatto lievitare il costo dell'energia prodotta, man mano che le popolazioni (e i lavoratori) statunitensi chiedevano standard di protezione sempre più elevati.
Vorremmo ricordare a ministri, politici e Confindustria che tutt'ora il danno sanitario da riadioazioni non ammette soglia al di sotto della quale non c'è rischio: dosi comunque piccole - questa è la valutazione della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Ionizzanti - possono innescare i processi di mutagenesi che portano al danno somatico (tumori, leucemia) o genetico. Da qui la lievitazione dei costi per la riduzione di rilasci di radiazioni, si badi, in condizioni di funzionamento di routine, degli impianti. E, a maggior ragione, la questione della sicurezza da incidenti.
Nasce da tutto questo il progressivo abbandono del nucleare civile, che dal 1978 diviene totale per gli Usa e all'inizio degli anni '90 per tutti i paesi Ocse (con la sola eccezione del Giappone), Francia compresa. Di qui il consorzio di ricerca guidato dagli Stati Uniti, Generation IV, che proclama la messa a punto di un reattore che si vorrebbe più sicuro, che usi con maggior efficienza l'uranio, non proliferante e che dovrebbe costare di meno. Il prototipo non è atteso prima del 2025, ma il premio Nobel Carlo Rubbia giudica già insufficiente il programma.
In questo quadro è incredibile parlare di energia pulita e poco costosa: il Department of Energy situa a 0,06 euro il prevedibile costo del kWh al 2010 e vien da sorridere se si pensa al costo del vento e alla sua formidabile espansione, altro che nucleare, su scala mondiale.
Certo, le imprese elettromeccaniche devono pur lavorare e forniscono impianti per esempio a Cina e India, ma continuano a non piazzarli in casa: solo gli enormi incentivi del provvedimento di Bush fanno dire alla Exelon, una delle principali elettriche Usa, che, in virtù di quegli incentivi, partiranno un paio di impianti entro il decennio, ancora di terza generazione, come di terza generazione è quello che si annuncia in Francia in mancanza di meglio.
È questo che ci propongono Governo, politici e industriali? Attendiamo chiarimenti.
(fonte: il manifesto 24/05/08)

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