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Acca Larenzia

Post n°82 pubblicato il 08 Gennaio 2008 da pierreevacances
 

08 gennaio
Acca Larenzia
 
7 gennaio 2008: 30 anni senza giustizia

E’ difficile parlare di chi non c’è più, di chi ha dato la vita per quell’ideale in cui tutti noi crediamo, di chi è stato capace di sacrificare la propria giovinezza in nome di qualcosa di più alto, di più luminoso, di più vero. E’ difficile perché qualunque parola sembra inappropriata se usata per descrivere il gesto di ragazzi come noi, che per il solo fatto di aver scelto quella che molti hanno chiamato e continuano a chiamare la “strada sbagliata”, quella più difficile, sono morti a vent’anni. E’ difficile perché di fronte al sacrificio estremo spesso ci si sente estremamente piccoli e inadeguati e qualunque cosa si dica o si faccia sembra sciocca. E’ difficile, ma noi vogliamo provarci lo stesso, seguendo quel filo rosso che ci lega a chi ha percorso prima di noi la strada sulla quale stiamo camminando. Quello che vogliamo dire a Franco, Francesco, Stefano, Alberto e a tutti quelli che sono con loro nella verde valle lontana e senza tempo dalla quale ci stanno guardando, è che noi ci siamo. Con tutte le nostre debolezze, con la stanchezza e lo scoraggiamento che a volte si fanno davvero pesanti, con piccoli sacrifici quotidiani, che non sono niente se paragonati al loro. Ci siamo, e continuiamo, nel nostro mondo e nel nostro tempo, a percorrere la strada che prima di noi ha visto i loro passi svelti attraversare la vita, consapevoli del fatto che abbiamo scelto di vivere un ideale che va oltre il tempo e oltre la storia, un ideale che ha vissuto in loro e che ora vive in noi. Ci siamo, e sappiamo che in ogni semplicissimo atto della militanza di ogni giorno, come un’affissione, un volantinaggio, una riunione, un’assemblea, ci sono con noi anche loro. C’è chi il sangue è chiamato a versarlo tutto insieme e chi goccia a goccia: quando ci sentiamo stanchi e scoraggiati, quando ci assalgono i dubbi sulla scelta della militanza, sarà sufficiente pensare a chi, ragazzo di vent’anni come noi, ha versato il suo sangue tutto insieme e ci ha lasciato il dono più prezioso che si possa mai ricevere: un esempio da seguire.
- 7 gennaio 1978 -
Come spesso accadeva in quegli anni, la giornata stava trascorrendo in un clima abbastanza teso. Alle 18.20 circa, un gruppo di militanti del Fronte della Gioventù esce dalla sezione di Acca Larenzia per andare a fare un volantinaggio. Immediatamente un commando di 5 o 6 persone (l’attentato sarà in seguito rivendicato dai Nuclei Armati per il contropotere territoriale) apre il fuoco contro i ragazzi del Fronte. Franco Bigonzetti è il primo ad essere colpito. Un altro ragazzo, ferito ad un braccio, riesce a rientrare in sezione e si chiude dentro. Gli altri si gettano a terra, ma il commando spara di nuovo e colpisce Francesco Ciavatta, che stava tentando di salire sulle scalinate a fianco del portone della sezione. Cade a terra. Morirà poco dopo in ambulanza. Alla notizia dell’agguato, costato la vita a due ragazzi, a due militanti poco più che ventenni, davanti alla sezione di Acca Larenzia si raduna una gran folla: forze dell’ordine, membri del partito, giornalisti, ma soprattutto giovani, i camerati dei ragazzi uccisi, forse quelli colpiti più da vicino da quel gesto folle. La tensione è altissima. Un giornalista ed un cameraman, dopo aver ripercorso le tappe dell’agguato, si fermano accanto ad una macchia di sangue e uno dei due vi getta distrattamente sopra un mozzicone di sigaretta. I ragazzi presenti reagiscono in malo modo: i due vengono malmenati e ne nascono tafferugli e scontri. I carabinieri lanciano lacrimogeni. Il capitano Sivori, impugnata la sua pistola, cerca di sparare nel mucchio dei manifestanti, ma l’arma si inceppa. Si fa dare allora la pistola di un suo sottoposto, si inginocchia e prende la mira: questa volta i proiettili partono, e viene colpito Stefano Recchioni, che morirà dopo 48 ore di agonia (9 gennaio). “(…) Mentre siamo in riunione arriva la notizia che nella sede di Acca Larenzia i compagni hanno sparato di nuovo (…). Quella sera del 7 gennaio, presi dalla rabbia per la morte di Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti, i ragazzi iniziano gli slogan di protesta contro carabinieri e celere, che sono lì davanti alla sezione per prevenire incidenti. Quella loro presenza di controllo è inaccettabile (…). Il tono delle grida aumenta e dalla parte dei carabinieri iniziano a sparare lacrimogeni. La distanza tra noi missini e i carabinieri è minima e non si capisce perché ci sparino addosso. Indietreggio. Mi giro e vedo a terra quel ragazzo biondo con cui stavo parlando poco prima. E’ Stefano Recchioni e torno indietro per aiutarlo a rialzarsi. Gli metto una mano dietro la testa per sollevargliela e gli occhi azzurri gli roteano all’indietro. Sulla mano ho una strana sensazione di caldo: provo a tirarlo su, ma quando la macchia di sangue si allarga sui miei jeans, capisco che non è stato colpito da un lacrimogeno, ma da un proiettile alla nuca. Da una parte i carabinieri, dall’altra chi ha cercato riparo verso la sezione e si aspetta un’altra carica. Sulla strada è rimasto il corpo di Stefano, che continuo a tenere tra le braccia. Non darà più segni di vita e il mio grido di aiuto non basterà a fermare quel sangue e a salvargli la vita. Non verso nessuna lacrima, ma niente da quel momento sarà più come prima”.
da NEL CERCHIO DELLA PRIGIONE - Francesca Mambro
 
 
 
"Un ricordo doveroso per fatti avvenuti in anni cronologicamente lontani, ma vicinissimi nella memoria di chi li ha vissuti: anni all'insegna dell'odio ideologico e ancora oggi della totale assenza di giustizia". Cosi' il presidente Gianfranco Fini, in occasione del trentennale dei fatti di Acca Larenzia, ha ricordato gli avvenimenti del 7 gennaio 1978. "Quegli anni - la sottolineato il leader di An - non devono ripetersi in alcun modo e perchè questo accada è giusto ricordare chi è stato ucciso ed è giusto sempre e comunque ricordare che la passione politica non deve mai tracimare nell'odio. Fare polemica vuol dire perdere una buona occasione per meditare e riflettere. Per chi commise l'omicidio si trattava di una sorta di esame di ammissione alle Brigate Rosse. Chi uccideva lo faceva per dimostrare la sua determinazione per intraprendere la strada della lotta armata. Nel caso dei due ragazzi uccisi davanti alla sezione - ha concluso Fini- non si è mai individuato il responsabile e questa è una storia che purtroppo si è ripetuta in tanti altri casi".
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