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Nickname: MANonTHEmoonMilano
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Messaggi di Gennaio 2019
Toh, chi si rivede, la manovra del cambiamento. Sono passati quasi quattro mesi dal giorno in cui Di Maio e i ministri Cinque Stelle si affacciarono dal balcone di Palazzo Chigi per festeggiare il 2,4% di deficit, i 9 miliardi per il reddito di cittadinanza, i 7 miliardi per Quota 100, una crescita stimata all’1,5% e il consenso siderale di un Paese che sembrava aver di fronte gente che manteneva le promesse, pure quelle che sembravano quasi irrealizzabili. A distanza di quattro mesi quelle immagini sembrano lontane anni luce. Il deficit, dopo un tira e molla infinito, è sceso dal 2,4% al 2%, di fronte alla minaccia di procedure d’infrazione europee. Le prospettive di crescita si sono infrante sul muro dei dati, che parlano di un Paese fermo, sull’orlo della recessione. Lo spread, come aveva ahilui promesso il ministro-martire Giovanni Tria si è mangiato buona parte dell’extra deficit del governo. Del reddito e di Quota 100 invece si sono perse le tracce, erose giorno dopo giorno dai passi indietro del governo, dai dubbi della ragioneria di Stato, dalla necessità di ritardarne la partenza, per risparmiare qualche euro sul bilancio 2019. E invece no, rieccole: oggi, al più tardi domani dovrebbe essere il gran giorno dell’approvazione in Consiglio dei Ministri delle due misure bandiera di Lega e Cinque Stelle,l’abbattimento della Legge Fornero e il sussidio universale al reddito che avrebbe abolito la povertà. Ecco: se quattro mesi fa eravate rimasti a queste definizioni, forse vi conviene sedervi. Perché quel che oggi sarà approvato dal Conte e colleghi di quegli annunci mantiene giusto il nome, per una questione di marketing. Il contenuto, invece, è piuttosto diverso. Partiamo da Quota 100, che alla Legge Fornero fa il solletico, e nemmeno troppo. Primo: è una finestra di tre anni, e nulla più: dal 2019 e fino al 2021. Dal 2022, a quanto si dice, l’obiettivo sarà Quota 41 (anni di contributi). Ma sono solo voci. Secondo: costa 4,7 miliardi - compreso il rinnovo dell’Ape sociale opzione donna - anziché i 7 previsti nelle prime bozze di manovra, che dovevano essere 13 il primo anno (e 20 a regime) se si fossero seguiti alla lettera i programmi elettorali. Terzo: Quota 100 vuol dire 62 anni di età e 38 di contributi e non è, come si pensava nei giorni del voto, una somma componibile a piacimento. Quarto: se si va in pensione con Quota 100 ci sono penalizzazioni, anche piuttosto pesanti. È logica, del resto: se vai in pensione prima, paghi meno contributi e ricevi meno stipendi. Strano che in campagna elettorale non l’abbia ricordato nessuno. Anche sul reddito di cittadinanza, la china è quella: doveva essere la bomba atomica dei conti pubblici italiani, il sussidio per gli sdraiati sul divano, il grande furto dei lavoratori del Nord in favore dei disoccupati del Sud. Si è rivelato il classico brodino all’italiana, con le clausole scritte in piccolo, in fondo al contratto, come quanto si compra una vacanza a rate. Anche in questo caso, partiamo dalle cifre: dovevano essere 11 miliardi di euro, sono scesi a 9 e sono arrivati a poco meno di 5, nei quali rientra anche il miliardo da spendere per rivitalizzare i centri per l’impiego che avrebbero dovuto costituire l’architrave delle politiche attive per il lavoro. Meno soldi può voler dire tante cose: una platea più ristretta, inizialmente era stimata in 6,5 milioni di persone, un assegno più misero rispetto ai 780 euro promessi, criteri più stringenti per accedere al programma. Nel caso del reddito di cittadinanza di Di Maio - che nemmeno è un reddito di cittadinanza, ma un reddito minimo garantito: battaglia persa, ci arrendiamo - vuol dire tutte e tre le cose. Ed è questo, soprattutto, il motivo dei continui rinvii. La cosa buffa, da domani, sarà vedere le reazioni degli italiani. Di fronte hanno due provvedimenti che degli originali mantengono solo il nome. E che, nei fatti, non cambieranno la vita né dei disoccupati, né dei pensionati, non più di quanto farà (in negativo) il rallentamento dell’economia. Andrà tutto bene così, ai nostri? Basterà loro sapere che nella forma i patti sono stati rispettati? Si accontenteranno di sapere che gli sbarchi si sono fermati e che Morales e Bolsonaro ci hanno regalato un Cesare Battisti nuovo di zecca su cui sfogare i nostri cinque minuti d’odio quotidiani? Oppure apriranno gli occhi? Si accettano scommesse. |
Cialtroni. Senza nessun affetto, PS: Il testo è un po’ lungo forse vi siete fermati alla prima riga. Beh, per voi è sufficiente. |
Questa lettera è di Giovanni Armando Costa, Milano “Ho iniziato ad occuparmi per caso di disposofobia. Come tecnico della prevenzione (servizio igiene pubblica, Ats, città metropolitana di Milano) ho approfondito l’argomento sul campo accertando esposti e ricevendo segnalazioni, ispezionando abitazioni e raccogliendo informazioni da cittadini ed enti. Ho parlato con persone che soffrono di una patologia psichiatrica che li costringe a trattenere in casa ogni sorta di oggetti, senza possibilità di buttare via niente, perché tutto serve. "Soggetti in grado di riempire completamente la casa di vestiti e scarpe, scatole e sacchetti fino a che diventa difficile aprire porte e finestre. Ho conosciuto accumulatori seriali abituati a conservare in casa residui di cibo che attirano insetti e ne agevolano la moltiplicazione. Gente sepolta viva. Case che non ricevono più i raggi del sole perché ostacolati da tapparelle che non vengono mai sollevate. Uomini e donne rimasti soli anche perché parenti e amici sono stati allontanati da un comportamento pazzesco e da una casa inabitabile". "Osservando come nella città dalle tante occasioni c’è gente che si rinchiude in una casa da incubo, il mio stupore si è trasformato in desiderio di comprendere. Ho imparato a vedere, dietro questa patologia, esseri umani straordinari. Come Sergio, ingegnere in pensione, senza moglie né figli, con un solido reddito, che vive nel suo appartamento magazzino da quando è morta la mamma, unica donna che lo amava e di cui si prendeva cura". "Casa disastro quella di Anna, professoressa in pensione dopo anni passati a insegnare nei licei; un cuore grande, al servizio degli studenti, naufragato nello stesso momento in cui l’unico figlio ha perso la vita per un malore in piscina durante l’attività sportiva. Come Rosa e Maria entrambe separate e divorziate e prima bastonate dai mariti e poi abbandonate dai figli che in casa non avevano più nemmeno un letto per dormire perché tutto era invaso da oggetti che impedivano la normale vita quotidiana". "Custodisco e porto a casa con me frasi che ascolto durante i sopralluoghi nelle loro case. ‘I miei genitori sono mancati a distanza di poco tempo l’uno dall’altra ed io mi sono ritrovata sola e disperata in questa casa. Casa… una volta era una casa, adesso è un magazzino’. ‘Ha figli lei? Insegni loro a prendersi cura della casa, a me non l’hanno insegnato, il mio compito era quello di studiare’. ‘Mio marito mi trattava come una serva, poi è andato a vivere con un’altra’. ‘Mia figlia non vuole più stare con me, si trova meglio in comunità’. ‘Io lavoro, io faccio, io mi stanco per mettere a posto’". "A favore di queste persone cerco di rendere più efficaci gli interventi sul territorio attraverso il dialogo tra enti, associazioni e cittadini e cercando il supporto quando possibile. Tutto con amore. Un amore per il prossimo, per i più deboli, per gli invisibili. Un amore forse non troppo moderno ma che ha orecchie per ascoltare". |
Inviato da: cassetta2
il 27/07/2019 alle 11:53
Inviato da: aldogiorno
il 28/04/2018 alle 17:24
Inviato da: vita1954c
il 07/04/2018 alle 03:12
Inviato da: aldogiorno
il 25/12/2017 alle 10:03
Inviato da: lab79
il 19/11/2017 alle 01:41