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STORIA DEL DECIMO FIGLIO figlio sesto

Post n°75 pubblicato il 06 Febbraio 2012 da alex.canu

Figlio sesto

Miràha Chnua

 

 

     Quello che Anzichu provava per questa bambina è molto oltre quello che un genitore dovrebbe provare per un figlio. Si potrebbe parlare di vero e proprio innamoramento. Anzichu, forse per i genitori persi quando era ancora giovane, o per la solitudine a cui il suo lavoro lo costringeva, vuoi per la ferinità del suo carattere, era un uomo duro e scontroso. Allenato a lunghi silenzi e a sorvegliare attentamente i suoi sentimenti, non esprimeva mai, in modo netto e chiaro, quello che gli passava per la mente. I figli che Aisentha gli aveva dato erano stati per lui solamente braccia da lavoro e come tali li aveva sempre trattati. Non era mai intervenuto nelle liti tra i due fratelli maggiori, al contrario, usava quella incompatibilità caratteriale per ottenere certe prestazioni che se fossero stati uniti non avrebbe potuto mai avere. Mihlusa era troppo vanitosa ai suoi occhi e la sua aria da bambolina lo irritava e Benìah era preso nella trappola della sorella. Epihnea era distante e smagrita dalla sua eccessiva ascesi adolescenziale. Non gli restava che Miràha alla quale riservava tutte le sue attenzioni. Era l'unica a cui leggesse le poesie che in segreto trascriveva su un grosso quadernone verde da ragioniere. Miràha poteva esprimere liberamente il suo giudizio su qualsiasi cosa e Anzichu la ascoltava e ne teneva conto. A lei solamente confessava i suoi progetti futuri, l'acquisto di nuove piante, o di nuove sementi.  Fu la prima a sapere della sua intenzione di comprare un vitigno di Cagnulari grigio messo in vendita da un loro confinante. Aisentha gli disse di non fare il passo più lungo della gamba, Miràha invece lo consigliò bene e il vitigno si rivelò una risorsa in tempi in cui il raccolto non era buono.

   Miràha nacque in un momento infausto per tutto il genere umano. Era un caldo sabato d'agosto e quel giorno l'imperatore del Giappone accettò le condizioni degli americani che, due giorni prima, avevano sganciato la seconda bomba atomica. Morirono circa  ventiquattromila persone  e oltre quarantamila furono i feriti. Ma il bilancio totale fu di circa duecentomila persone morte, anche in seguito, per gli effetti della radiazioni. Miràha allora non poteva leggere i giornali e nacque ignara di tutto ciò. Tia Lehana la aiutò a venire al mondo, ma lei stessa contribuì dando una mano alla levatrice che non fece nessuna fatica a trarla dal ventre di Aisentha. Viste le notizie che provenivano dal resto del mondo, lontano da Issòghene, babai Esòhle la volle battezzare il giorno stesso della nascita e si trovarono in fretta e furia due padrini per la cerimonia. La bambina cresceva bene e robusta, con un carattere così dolce e aperto che conquistava tutti. Ubbidiva ad Aisentha senza opporre scuse o lagnarsi di niente, aiutandola nei lavori del telaio che seppe padroneggiare subito. Aisentha le affidava dei compiti che richiedevano attenzione e molta pazienza, virtù che non possedevano nè Mihlusa, nè Epihnea. Miràha era invece in grado di seguire la madre anche nelle operazioni più complesse della colorazione della lana. Era diventata esperta nella tessitura a ranu e a illittonzu, di forma quadrata o rettangolare, di cotone o lana, con vari colori e decorazioni, che potevano essere i tipici motivi fitomorfi, zoomorfi, o il più particolare motivo geometrico esteso su tutta la superficie, chiamato a ispola, dal nome di  uno dei pezzi del telaio. Miràha conosceva bene come trattare gli alberi di ulivo, come si raccolgono velocemente le olive che cadono a terra, sapeva arrampiccarsi sugli alberi per guardare i pulcini dentro i nidi o per prendere i fichi più maturi e succosi, sapeva trovare i punti più adatti dove raccogliere le lumache e saltare in groppa all’asina con un solo balzo, senza salire sul muretto. Anzichu impazziva per lei e la voleva accanto a sè quando aveva degli ospiti. A undici anni Miràha diventò perfino madre di un bambino. Madre, perchè fu lei ad allevare il decimo figlio quando Aisentha, troppo grande, non riusciva più a stare dietro agli ultimi nati. L'ultimo figlio venne affidato a Miràha e lo curò con amore. Fu sua madre, ai suoi occhi e anche per lei. Ma Miràha cresceva e doveva necessariamente dare un dolore forte ai suoi genitori e glielo diede con la stessa  determinazione con la quale faceva tutto, nel bene e nel male. A quindici anni si innamorò di Sihlue, un ragazzo di tre anni più grande. Un bellissimo ragazzo, una coppia perfetta, lei castana e con un sorriso da morirle dietro e lui con i capelli e gli occhi scurissimi e intelligenti. Due giovani da cartolina, si sarebbe potuto dire, ma nè i genitori di lei, nè i genitori di lui vedevano di buon occhio questo amore. Rancori, vecchie faide, roba di tanti anni prima, quando il padre del ragazzo aveva ricoperto una carica pubblica durante il fascismo e aveva impedito ad Anzichu di ottenere un posto di lavoro presso l'ufficio anagrafe del comune, che gli spettava di diritto, per il semplice fatto che si era rifiutato di fare la tessera fascista. Vecchie storie, ma Anzichu non l'aveva mandata giù e gli aveva sgozzato un paio di agnelli che pascolavano nel terreno vicino al suo, senza lasciare tracce, ma la vendetta venne recepita in modo chiaro. Anzichu venne trovato di li a qualche giorno con la testa rotta ai piedi di un grosso albero, ma lui sostenne sempre di esserne caduto giù.  

   Miràha vedeva Sihlue nelle rare volte che Aisentha le permetteva di uscire sola per andare a fare la spesa, o per andare alla fontana, appena fuori del paese, per prendere l'acqua da bere. Quando tardava a rientrare a casa erano sgridate e minacce. Miràha si chiuse e mutò il suo atteggiamento, eseguiva i lavori al telaio con rabbia e rispondeva a tono alla madre che la sgridava. Anzichu piuttosto che darla a Sihlue si sarebbe fatto uccidere e non perdeva occasione per parlare male della famiglia del ragazzo davanti a lei. Miràha era esasperata e stanca di doversi inventare ogni volta un modo per incontrarlo, i tentativi di mettere pace fra le due famiglie non avevano funzionato e ora il padre manifestava una gelosia nei confronti della figlia che complicava ancora di più la situazione. 

   Miràha incontrava il suo ragazzo nei luoghi più remoti di Issòghene, dove nessuno poteva vederli, ma ogni volta rientrava a casa sempre più tardi e le scuse che inventava erano sempre più fantasiose. Anzichu un giorno, non appena rientrò, le richiuse la porta dietro le spalle, e le chiese minaccioso dove fosse stata fino a quell’ora. Miràha lo affrontò come una tigre, guardandolo negli occhi e gli disse che era stata fuori del paese, in un posto dove solitamente si appartavano le coppiette e che il suo fidanzato l'aveva baciata e toccata dappertutto e che lei stessa lo aveva tenuto dentro il suo grembo... gli pareva che bastasse o ancora non ne aveva abbastanza? Il suo tono di voce era aperto e volgare, mai si era vista Miràha parlare in quella maniera al padre. Anzichu alzò la mano e la colpì forte al volto, la strattonò e la fece cadere a terra, si inginocchiò su di lei e la colpì con i pugni e le urlò tutto quello che dalle viscere gli saliva in bocca. Lei lo morse sul braccio e lo chiamò padre-demonio, dopodichè si arrese. Anzichu si abbandonò sopra la figlia biascicando il suo nome, chiedendole perdono e piangendo come un bambino. Miràha lo accarezzo sui capelli e  con un calcio se lo levò di dosso mandandolo sul pavimento. Nessuno in casa volle vedere niente, nella stanza delle femmine misero la radio a tutto volume, Mihlusa si strinse forte al seno Benìah e Epihnea giunse forte le mani in preghiera. Ghelanu era da poco emigrato in Germania, dove lavorava come operaio in una casa automobilistica, mentre Nughavi non abitava più con loro, si faceva ospitare dalla nonna, pur di non stare più in quella famiglia. Miràha era sola, neppure Aisentha poteva aiutarla.

   Un mese dopo il fidanzato se ne andò a fare il carabiniere nel nord dell'Italia da dove le spediva delle lettere in cui la invitava a raggiungerlo, le diceva che li si sarebbero sposati e che tutto si sarebbe aggiustato. Poi le lettere divennero sempre più rare, si trasformarono in saluti, in cartoline di auguri di buon natale,  poi più niente. Miràha non rispose mai, ma conservò quelle lettere e le apriva in continuazione per leggerne decine di volte il contenuto. Visse il resto della sua vita costruendo il suo tempo su quelle lettere. Il carabiniere diventò maresciallo e si sposò con una donna del continente, mandò persino una foto del matrimonio a Miràha. Quindici anni dopo il maresciallo chiese il trasferimento e ritornò a Issòghene con la famiglia. La Domenica passeggiavano per la via principale, salutavano tutti, Miràha li guardava dalla finestra del secondo piano, nascosta dagli scuri accostati. Non si sposò e quando, a quarantanove anni, morì per un tumore, Mihlusa sostenne che era ancora vergine.

 
 
 
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