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IL MATTATTORE

Post n°3842 pubblicato il 29 Giugno 2010 da artfactory

  Una delle ultime immagini di Vittorio Gassman mentra saluta, in un gesto a lui abituale, i propri fan

GASSMAN

ANNIVERSARI. Dieci anni fa moriva un protagonista dello spettacolo
MATTATORE L'ATTORE

  • 29/06/2010

    Nel 1981 Vittorio Gassman scrisse un'autobiografia dal titolo amaramente ironico, [FIRMA]Un grande avvenire dietro le spalle. A dieci anni dalla morte, avvenuta il 29 giugno 2000, in quell'ossimoro, in quel nodo di contraddizioni, si può leggere il segno della sua ultracinquantennale carriera di attore, intravisto con rara lucidità da colui che, rubando il titolo della sua prima trasmissione televisiva e poi di uno dei suoi film più celebri, fu ribattezzato il «mattatore».
    E «mattatore» (o forse, meglio, «mattattore») Gassman lo fu davvero. Ma non magari nel senso da lui desiderato. In quel «grande avvenire» lasciato «alle spalle» si coglie il segno di una insoddisfazione di fondo rispetto alle ambizioni di un personaggio che aveva una grande considerazione di sé, sempre protagonista - sulla scena e fuori - dalla fine degli anni Quaranta all'alba del nuovo millennio. Un senso di incompiutezza che non a caso lo trascinò spesso oltre la soglia del male oscuro che divora l'anima e le certezze.
    ARTISTA TRAVAGLIATO. Di questa inquietudine sono traccia le sue continue ricerche di una forma artistica che esprimesse, al di là del mestiere di attore, la ricchezza che sentiva dentro di sé: le regie teatrali e cinematografiche, i libri di memorie e quelli di poesie, gli interventi pubblici. Persino, in un certo senso, l'esibizione della propria vita privata con gli scandali che le sue scelte provocavano nella bigotta Italia degli anni pre '68.
    E la sua irrequietezza traspariva nel volto, che chi ebbe modo di incontrarlo vis-à-vis, come noi in una lontana Mostra del cinema a Venezia, ricorda incredibilmente pieno di tic. Incontrollabili nella dimensione quotidiana di vita, miracolosamente cancellati sulle tavole del palcoscenico o davanti alla macchina da presa. Come se l'attore prevalesse sull'uomo, un po' come oggi succede con Filippo Timi, balbuziente a tu per tu, fine dicitore senza alcun intoppo quando recita.
    IL TEATRO. Il suo primo (e forse unico e definitivo) amore fu il teatro. Vi interpretò tutti i grandi ruoli classici, dai tragici greci e latini a Shakespeare, giù giù fino agli oggi quasi improponibili Alfieri e Manzoni. A parte qualche parentesi brillante, dove dava libero sfogo al suo fregolismo, erano tutte parti drammatiche, come se solo in esse trovasse compimento la grandezza che cercava. Lavorò con Visconti e con Squarzina, rompendo alla fine con entrambi. Si lanciò in avventure ciclopiche, come nei primissimi anni '60 il Teatro Popolare Italiano, con una «balena», un tendone da circo con una struttura montabile e smontabile capace di tremila posti a prezzi popolari e un programma altamente elitario (partì con in manzoniano Adelchi e continuò con l'Orestiade di Eschilo tradotta da Per Paolo Pasolini).
    IL CINEMA. E per mantenere le proprie compagnie, cominciò a lavorare anche nel cinema, per quelle che alternativamente chiamò «fetenzie» o «sciocchezze» cinematografiche, accettando anche ruoli di cui «si vergognava», come quelli di latin-lover nella breve stagione hollywoodiana a metà anni Cinquanta.
    Invece, per tornare all'ossimoro iniziale, mentre il teatro, di tutto il suo lavoro, è quello che sta «dietro alle spalle», proprio il cinema è quello che l'ha consegnato a «un grande avvenire». Soprattutto quei ruoli comici, spesso al limite del macchiettismo, ma che hanno creato personaggi indimenticabili: il pugile rintronato Peppe dei Soliti ignoti, il Giovanni Busacca soldato della Grande guerra che da disertore diventa eroe suo malgrado, lo smargiasso Bruno Cortona del Sorpasso, il grottesco Brancaleone da Norcia dell'Armata Brancaleone e tanti altri. Anche qui attese una vita il grande ruolo tragico che lo consacrasse come sublime interprete drammatico. Dovette attendere il 1974. Nel capitano Fausto Consolo di Profumo di donna, cieco aspirante suicida, andò a pescare in fondo all'anima quanto di più dolente aveva e lo riversò in un personaggio che, unico, gli fece vincere un grande premio internazionale: la Palma d'oro a Cannes.
    E mentre il teatro sbiadisce, affidato solo alle carte, è l'eterno riproporsi del cinema sotto nuove forme a consegnare Gassman all'eternità.
    Giancarlo Beltrame

    Giancarlo Beltrame

MADRI (PASOLINI)

 
 
 
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SENZA FRETTA

LA VITA E' COSI' PICCOLI ISTANTI CHE DANNO ANCORA UN SENSO A QUESTA NOSTRA  FRAGILE  REALTA'LA VITA E' COSI' VIVILA SENPRE E PRIMA O POI  ALL'IMPROVVISO ANCORA TI SORPRENDERA'

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