Creato da: andrea_firenze il 15/06/2013
...

Area personale

 

Ultime visite al Blog

daunfiorediletta.castellianonimo.sabinoCuore.Nudoarturo.saittaBacio_Notturnozucchima1958Nues.sninolove2lesaminatorelumil_0lunadargent0DifettoDiReciprocitaandrea_firenze
 

Ultimi commenti

Citazioni nei Blog Amici: 15
 

Chi puņ scrivere sul blog

Solo l'autore puņ pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

 
« non c'è niente di più bellolasciano sempre impronte... »

questa pagina pubblicizza un libro sulla sofferenza

Post n°114 pubblicato il 07 Ottobre 2013 da andrea_firenze
 

questa pagina pubblicizza un libro sulla sofferenza, dove si spiega come liberarsi dalla solitudine e dal dolore; mi propone di incontrare dei gay a Firenze cosicché mi possa divertire a conoscere ragazzi unici della mia città via SMS e web. Questa pagina mi aspetta. Io intanto faccio penitenza come fossi uno dei membri della confraternita di San Lorenzino, un po' sbronzo, fra sorrisi, prosecco e condiscendenza per le conversazioni di lavoro. Sotto le volte affrescate la gente banchetta addensandosi e spingendosi come formiche su una mollica di pane, tirando a gara da ogni parte. Mi ricordano i girini sotto l'erba lunga delle sponde del lago, quando uscivo di pomeriggio insieme a papà e passeggiavamo per ore. Qualche anno fa si pescava ancora in quel piccolo lago. Adesso è abbandonato. Ricordo che mi sporgevo, entusiasta, dalla balaustra di protezione di legno come per guardare dentro le loro bocche, fin quasi a cadere. Era liscia al tatto. Era rassicurante. Allora correvo spensierato, ed ogni cosa che vedevo era precisamente quella cosa, non un'altra. Le rare volte che mi capita di ripensare a quei pomeriggi, immagino che sia sempre autunno lassù, e che a sera, quando si vedono in giro poche persone, ci volino sopra, a folate, mucchi di foglie secche di castagno. Adesso non passeggio più con papà; faccio passi brevi, incerti, come in un campo d'ortica, con gli arti raggelati, timoroso che dietro ad ogni giacca si stia orchestrando un'imboscata. Infondo, in un certo senso, si pesca anche qui ed in ogni luogo. Sui tavoli, coperti da tovaglie immacolate, sottili, appuntiti bastoncini di legno trafiggono le olive ed i pomodori; i gamberi sono usciti dal loro guscio e forse le loro anime, tutte uguali, sentono freddo. Sono belli però, nel loro rosa pallido che spicca sui verdi dei vassoi pieni di fagioli, sui piatti decorati con spezie. È facile da accettare la morte quando anche di essa si è fatta una questione di estetica. Dopo il parto la presentazione non è importante allo stesso modo perché si possono illudere altrimenti i genitori che quella sia davvero una nascita: i vagiti sono più graditi se in mezzo al sangue e alla merda. E poi c'è quel piccolo tubo che ci salva, quel piccolo tubo che, quando faremo pulizia, recideremo. Per ora è tutto pulito, intoccato. Quando avremo finito lo sarà un po' meno. Ma qualcuno domani provvederà, porteranno via tutto. E allora forse per stasera possiamo divertirci. Forse già ci stiamo divertendo. Certo, non più di tanto; ma ci divertiamo. La compensazione del fatto che abbiamo reso moderati i nostri piaceri dovrebbe consistere nella loro disponibilità alla totalità delle persone; in realtà, nell'edificazione della società umana, ne abbiamo solo ridotto l'intervallo d'intensità e lasciate invariate le proporzioni. Ma l'importante è che ci siano i miei amici vicino: sorridono con le guance arrossate, un po' eccitati ed annoiati. Li guardo rassicurato, posseduto dalla fascinazione degli ubriachi quando le cose e le parole sono tanto empatiche quanto poco definite, come i fantasmi che vedo, sfocati e luccicanti, determinati nella carne quanto indeterminati nei pensieri, che tentano di sfuggire al pungiglione della morte. Se ci si fa caso le persone, agli eventi, ai convegni, alle inaugurazioni, alle feste, tendono a raggrupparsi fra conoscenti, come i partecipanti un po' svagati di una seduta spiritica, cui non necessita una particolare complicità se non quella del momento. Bisogna far finta di star cercando una soluzione o un finale perchè è una regola che è valida sempre, come accendere un fuoco per i primitivi. E anche nelle pause di disinteresse stiamo sviscerando qualcosa di comune pensando ad altro, ascoltando ciascuno il pompare etilico del miocardio. Stiamo aspettando di mandare in frantumi l'uovo pasquale, che il fantoccio di carnevale venga issato sulla graticola e bruciato dopo aver gozzovigliato con salsicce e vino. Ne raccoglieremo il sangue in una piccola ampolla. Ogni anno ci incontreremo ancora per assistere al miracolo della liquefazione, come vecchi compagni di scuola che non hanno più molto da spartire. Cercherò di non dire una parola e di non cambiare posto perché la fregatura è il desiderio inconscio di non tornare alla stessa carne che invecchia, alla mia, alla tua, e che invecchia comunque; e l'impazienza di voler fare tante cose, vedere tante persone e alla fine avere la sensazione di non aver fatto niente. L'importante non si può trattenere in quanto non è definibile, e questa vita è solo una ramificazione da un tutto a cui non torneremo mai. La nostra metà è la meta che c'è in noi stessi cui non apparteniamo più perchè ci siamo persi su un binario morto. È casuale, e la ricerca sarà vana e fine a se stessa, proprio come in questo simposio. La nostra lacerata immortalità non si può ammettere ma solo punire. E quindi mangeremo, danzeremo e celebreremo la vita. Ci sentiremo parte di qualcosa che domani non sarà più. Con Dioniso canteremo che lo facciamo per dimenticare i dolori, ma, in realtà, riempiremo i bicchieri di speranza. E allora magari vivremo da qualche parte, insieme, in un piccola casa, vicino alla rocca antica; una casetta con la facciata rosa su una stradina tortuosa, a strapiompo sul fianco della collina, puntinata della luce di deboli lampioni. E proverò a cantare in modo dimesso, senza voce, affinché tutto sia un interminabile interludio. Bisogna aver fegato per credere nella recita, quanto nel guardare in faccia la disperazione, questo è l'insegnamento dei ragazzi di via della Rivoluzione. E non ci credo ancora, ma sono convinto che la vita che si mette da parte senza accorgersi, si ritiri fuori solo in punto di morte come una vecchia lettera in cui ci esprimiamo come non ricordiamo di essere stati. A quel punto è già il momento di andarsene e raccogliere le proprio cose, proprio come adesso. Io raccolgo le parole, il giubbotto e il blocco di fogli che ho lasciato sulla sedia. Li porto con me, ciascuno al proprio posto, sistemati come un collezionista sistema i francobolli. Intorpidito fronteggio la strada e perdo tempo nei silenzi, nelle parole non dette, negli atti mancati. So che, se non perdo tempo, perderò i silenzi e gli atti e le parole. Queste vie che ho percorso tante volte durante la mia breve esistenza non sono più le stesse. Tante delle facciate sono diverse, sono cambiate, alcune ridipinte. Ed io sono ciò che vedo. L'unica cosa che con piacere scopro in me essere rimasta invariata è la strana ed acuta sensazione di compassione che mi scaturisce dentro alla visione fugace dei titolari in piedi nei negozi vuoti, negozi d'arte, con la giacca verde ed arruffati capelli bianchi; persone che probabilmente sono felicissime ma che mi preoccupano più dei malati sui letti degli ospedali, come se a quelli, piuttosto che a questi, avrei potuto fornire un appiglio dove non ci sono più appigli, come fossero bambini nati senza spina dorsale. Ma non l'ho fatto, e non lo farò, perché non ne ho voglia e mancano le occasioni per rendere tutto più facile; perché certe cose vanno come vanno: i giapponesi camminano con le punte dei piedi rivolte all'interno come la punta di una freccia, sorridono sempre e non hanno mai dubbi; gli occidentali invece perdono spesso la bussola per niente, mancano di lucidità e provano una certa insofferenza per le matrici, anche se poi le usano e le subiscono. L'olivo di via dei Georgofili ha poca terra e non potrà crescere molto; per di più non c'è una stanza per gli ospiti nella casa alla fine del mondo. Così, come tutti, torno alla mia, da cui ancora non me ne vado perché ho paura che quando andrò io, lasceranno andare anche loro. Passo di nuovo dalla stazione dove hanno messo dei cestini nuovi, colorati, verdi, gialli e bianchi: per la carta, la plastica ed i rifiuti indifferenziati; i sacchi sono di nylon, trasparenti. Ci si può guardare dentro come a cavallucci marini, per riuscire ad essere più introspettivi mentre si cammina. E cammino e penso a quella sera sui Navigli deserti, lisci e grigi come le aste di una fionda. Penso a chi ho conosciuto, a Tiziano che passa ore al bagno: immagini che magari faccia tutto con meticolosità ed accuratezza, ed invece finisce per pisciarsi sui pantaloni. Penso a Tiziano che esce aprendo lentamente la porta, abbassando piano la maniglia come una vecchia zitella con i capelli radi e il fiato corto. Penso alla psoriasi che gli morde il collo, dietro la nuca; al suo viso che è uno scoglio pieno di mucillaggine dopo la risacca. Penso a Tiziano che ti guarda con lo sguardo pieno di fiducia, umile e un po' spaesato, lo sguardo di chi confida che gli altri possano per una volta passare sotto silenzio la visione della sua debolezza. Ed infine torno a questa pagina che promette di farmi sorridere con dei semplici allineatori trasparenti per i denti, per adulti e bambini; o con degli smalti l'Oréal Paris, per unghie sempre perfette; e forse queste cose possono costituire davvero una soluzione quando sei sopraffatto dall'apatia e dallo stordimento; quando l'unica cosa che pensi di aver scoperto è il fallimento. Forse solo nella frenesia della trasfigurazione si può dimenticare un momento la morte e credere nell'amore, solo in ciò che è per definizione permeato d'inconsistenza si può aprire una faglia ed arrivare ad una sintesi. Stasera limerò accuratamente le unghie, mi vestirò bene; e forse domani, quando mi sveglierò, fra le lenzuola, con la testa alzata, incredulo, come una foca monaca, potrò rivedere attraverso la finestra quel mattino rosso sotto un ponte coperto della Madison County, prima che tutto avesse inizio, prima di iniziare a perdersi, prima che questo periplo mi costringesse a non guardare nel fondo buio della forra.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963