Creato da: andrea_firenze il 15/06/2013
...

Area personale

 

Ultime visite al Blog

daunfiorediletta.castellianonimo.sabinoCuore.Nudoarturo.saittaBacio_Notturnozucchima1958Nues.sninolove2lesaminatorelumil_0lunadargent0DifettoDiReciprocitaandrea_firenze
 

Ultimi commenti

Citazioni nei Blog Amici: 15
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

 
« vene che affioranodi nuovo il mattino sbar... »

è stato in un pomeriggio di qualche anno fa

Post n°140 pubblicato il 15 Novembre 2013 da andrea_firenze
 

è stato in un pomeriggio di qualche anno fa, vicino a Natale; è stato proprio quel giorno che ha avuto inizio. Anche le strade sono cambiate da allora nel quartiere, per far posto a nuove costruzioni, per interrare altre strade. Ruote su ruote hanno cancellato le tracce, ma tornare qua ormai è un vizio, anzi una necessità. Era quell'ora del pomeriggio in cui il giorno si stanca, diventa pallido in faccia e vibra, impaziente di andarsene a dormire. Si faceva sera insomma. Spirava un vento freddo e mi sentivo più vecchio dei miei ventinove anni; avanzavo attraverso la via alberata, nei pressi della rotonda trafficata, proteso in avanti, con i gomiti in fuori e il viso incollato all'asfalto al punto da distinguere la forma di ogni sasso. Ero diretto in quella galleria che frequentano anche Fantasio e Gio, per un regalo da fare a papà; un regalo più importante del solito, di maggior valore. Fantasio l'avevo già conosciuto all'inaugurazione di una mostra di pittura stringendogli la mano. Era un signore anziano, avrà avuto una settantina d'anni; papà mi aveva detto che era stato malato, un tumore credo, ed io tenni la mano sudata nella sua e lo guardai come si guarda qualcuno che sai non avrai l'opportunità di reincontrare; credo di non aver spiccicato parola. Lui prese il libro che tenevo nell'altra mano, l'aprì e disegnò sulla copertina, solo per me, fra l'invidia dei visitatori di passaggio. È un posto magico quella piccola galleria come lo è la strada per arrivarci. Mentre mi avvicinavo ho percepito che avrei ripercorso quel tragitto tante volte ancora negli anni a venire ma non ne capii immediatamente il perché; avvenne invece durante la notte della vigilia, quando abbiamo scartato i regali, quando papà ha allargato maldestramente le braccia pelose e ha mosso impacciato le dita sulla carta finché non l'ha strappata e mamma ha detto con indifferenza che quello era, in verità, un regalo che avevo comprato per me. Sorpreso provai la sensazione di aver cercato e perso senza aver trovato, l'impressione che ci fosse qualcosa che avessi scambiato e che sarebbe somigliato a te, ed ebbi all'improvviso la certezza che certe cose si conficcano così profondamente nella memoria e con una violenza tale che risultano allo stesso tempo vicine, presenti ed irrecuperabili per sempre, come una gamba amputata in un malato di cancrena. Era già scritto che poi ci sarebbero stati i segni dell'intreccio della canapa dura sul mio e sul tuo viso e gli scherzi e ruzzolare giù col culo per terra e i calcagni all'aria, ed oltre le chiome degli alberi che scivolavano via come l'acqua e tutto quel vento che avremmo potuto portare via a sacchettate e che invece abbiamo perso e lui non si è fermato. Adesso tu cerchi di non mangiare e sogni; sogni i profiterol, le sculture rifinite in glassa ed ostia, gli sposi di zucchero sotto i baldacchini di marzapane, cose che non invecchiano mai perché finiscono mangiate. In un certo senso, confusamente, è ciò che ci aspettiamo per ciascuno di noi: addentare, mordere come fa la poesia, o essere morsi; sentire il batti e ribatti, il fiato e l'epiglottide che sussulta come una giostra, lo scalpitare dei tori nell'arena, la sabbia che buca la guancia dei perdenti. Era già tutto scritto, nella vita della carne, nella vita che è una cinghia intorno al braccio e ti basta stringere per sentirle il cuore; nella vita che è un barattolo legato con uno spago alla caviglia, che fa brevi, squillanti rumori, e quanto sono più piccoli, tanto ci fanno sentire meno uomini. Era il bisogno del male ciò che ho avvertito quel giorno, perché il male è più largo di questa esistenza cui siamo costretti ad addomesticarci per non provarne paura come fosse un elefante da legare per una zampa ad un albero. E come troviamo divertente e benaugurante intingere il dito nella schiuma sulla bocca dei poppanti come in un'acquasantiera; e riderne, quando non c'è proprio niente da ridere, e festeggiare, smaniare per la villeggiatura, fare l'elemosina, dimenarsi come bisce per rassicurarsi, sorridere, pretendere grandi gesti e sentimenti almeno quanto serva a coprirne l'oscenità. Ma aprirsi al male è soprattutto cedere, e cedere è la natura dell'esistenza, la provocazione che non viene ammessa. Ci vuole una certa inclinazione per lasciarsi andare ed il coraggio della stupidità per nuocere agli altri. Con l'età ho imparato che non c'è amore in uno slancio, ma nella perseveranza; che anzi amore non esiste ma è una parola più bella per dire resistenza, perché prima o poi siamo destinati comunque a mollare la presa. Adesso i girasoli secchi mi raccontano la storia di come si dimenticano le cose, mentre passo in silenzio fra il gracidio dei ranocchi e per le vie di Malastrana, e quando alzo gli occhi inumiditi sul volo di Ceccosanti. Ogni cosa è a termine, anche le nostre parole, ed è peggio di non proferirne e dell'indifferenza. Certe lettere non vanno aperte mai perché il fatto di esserlo è il massimo che possono dare. Ho fatto ciò che dovevo fare e lo farò ancora. Hai ragione quando mi dici che non riesco ad essere altro che la mia solitudine; in fin dei conti piscio ancora nei lavandini, non lavo né condisco l'insalata e non uso la tovaglia, ma magari hai conservato la voglia di farle un po' di compagnia. Il mio è semplice narcisimo della noncuranza e lo sai che la stanza che mi porto dentro è solo mia e non ci faccio entrare nessuno. Infondo ho cacciato i miei genitori da questa casa ed è come avergli dato la spinta verso il posto da cui sono venuti, verso la morte che è una polla d'acqua che si fa specchio in primavera e terra in autunno per poi tornare ad essere polla. Così era scritto. Forse non ci fossero stati cambiamenti, se niente si fosse mosso, se non ci fossimo tagliati i capelli, se non fosse piovuto; forse non saremmo mai morti. Ma così era scritto. Le costole sono una noce che si indurisce sul cuore e una volta sono stato inutilmente sensibile. Ora piango per essere stato bambino e vorrei riuscire a dimenticarmi del tutto. Il destino che conosco è stare incastrato qui ad abbrutirsi, come in un cesso intasato, fra la folla dell'Heineken Jammin' Festival, e provare a sprizzare emozioni, e non sentire un cazzo; e sudare come una capra fra gente dislessica, brutta, disarticolata, tizi dediti al dudeismo, turbolenti e scanzonati, con magliette ridicole e tatuaggi osceni, come me. Tutta qui la mia vita da barbone, acquistata per cento miseri euro, del valore di un soldo di cacio. Ma almeno adesso so fingere ed un po' ho imparato a resistere. Ed è per quei sassi che torno ogni volta, dove vuoi che siano finiti, i sassi non hanno le gambe, sarebbe stato così facile afferrarli. Torno ogni volta per quei sassi, per le tue parole gentili, per i tuoi gesti d'affetto; ci torno e li cerco; e qua, in questa strada, ancora li trovo; anche se, di sassi, in relatà, su questo asfalto, non ce ne sono più.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963