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« immagino di restare chiusoluce che rimbomba »

la storia è una signora che caca eventi

Post n°144 pubblicato il 21 Novembre 2013 da andrea_firenze
 

la storia è una signora che caca eventi e non ripete mai se stessa, anche se, alla fine dei conti, comunque la giri, sempre di merda si tratta. Non è diverso dai semi di una stessa pianta che cresceranno in fusti diversi, dalle esalazioni del tubo di scarico di un auto nell'aria che assumano forme imprevedibili. Per di più ognuno di noi ha a che fare con la propria di storia perché anch'essa tiene a servizio numerosi dei minori che ce la fanno in piccolo. Capita che questi signori qualche volta siano stitici, altre diarroici, più o meno dolorosi. Fatto sta che ciascuno deve affrontare anche la propria, di merda, come una marea che monta; e che nessun pesce si salva. Non restano buche, né passaggi: alle brutte li occupano la noia e l'indifferenza o, più spesso, la merda altrui. La mia storia oggi è un clisma opaco a doppio contrasto, la festa dei genitori, la simultaneità provocante di gambe nude primaverili, erette nelle piazze; la sala dei ricevimenti del castello di Fosdinovo, un calcolo alla vescica, la statua di Francesco di Marco Datini, alta e severa sulla piazza del Comune di Prato; l'intreccio di avambracci amici, tatuati di rocce rosse in mezzo al deserto; la chiesa ed il cimitero di san Martino a Gangalandi; e poi alcuni riflessi accecanti sul fiume ghiacciato di Brema, lo Weser, sotto al mulino; qualche tulipano del porto di Amsterdam, prima del mare, dietro la stazione; ed un ricordo del ventre rosso del drago di Mirabilandia, quando la balena ci ha inghiottiti insieme al papà che mi raccontava le storie da bambino, come nel libro di Pinocchio. Non sono che lessemi rotti d'altro stretti assieme in vite di vetri. Intorno c'è l'orrore rifratto di ciò che abbiamo creduto essere ma era solo diverso, ombra d'avorio di parole da una bocca grigia, piega fra i capelli, non ritrosa né divisa; e la gente che se ne va per strada, lacerti e frattaglie provviste d'occhi e bocca, varani dai sorrisi selvaggi, a sbando come pesci slamati, topi in una topaia, tubi digerenti, grasso che cola sulle strade, lacrime sull'ovale della faccia, galline nella trappola, pantagruelica rooster coop umana dove, per fare spazio, l'unica arte che abbiamo affinato è quella di sotterrare. Le ossa scrocchiano come mani nei pacchetti di patate fritte sotto il teatro dove si rappresentano l'arte, l'amore, il sesso, con tutto quel fallimento e quel fuoco e quel delirio. Dietro non è che carne ciò che conta, altrimenti niente conta qualcosa. Burattini, caricati a molla. Se solo avessi un posto abbastanza isolato dai rumori, lontano dalle grida sboccate dei trimalcioni e dagli sguardi delle civette strigiformi, potrei sentire il vero suono della vita. Ma forse neppure la rivelazione della sofferenza conduce alla virtù; e anch'essa distrae, fa troppa confusione. E allora scendo e me ne vado per strada; non incantato, ma staccato. Cerco di fuggire. I piedi sono come una coppia di cavalli di una biga da corsa, la testa un neon al fluoro. È un caos di vie, di piste per biglie sulla spiaggia e non puoi restarne fuori, ma devi scivolarci dentro, vagine di sabbia e pelle con cui risolvere i problemi irrisolti e la delusione più grande: la vita, quella che non ho costruito, ma su cui sono caduto per caso e che ho finto di prendere, improvvisa, come una città di neve. Che banale sconfitta non essere stato più intelligente degli altri. In fondo l'unico vero desiderio che ho è che mi capitasse di andarmene. Vorrei non avere un pensiero poiché qualsiasi risoluzione è comunque ingannevole, come tutte le soluzioni. Vorrei stare chiuso dentro un metrocubo d'infinito, nel vuoto, fuori dalla ripetizione. Poi ad un tratto ti vedo, fra la folla, reale, nata vecchia come ogni cosa nata, con gli artigli affondati nella carne come impronte di gabbiani sulla sabbia. Non porti più capelli lunghi da vergine, come Agnese; d'altra parte non lo sei più come quando lo eri solo di me. Somigli ad una puttana, Belladonna nella sua arte di androgino travestimento. Sei Sodoma e Gomorra ed una cattedrale. Sei come rinascere e non conoscere nulla. E ti guardo così, di sfuggita, come la morte stesa soffice ai lati della strada. So che, comunque, ti incontrerò ogni sera, la ragazza dei giacinti, nei sogni, oltre i miagolii della fame, i calci al pallone, la prostata da asportare di papà e le croste di pane per gli uccelli, irrancidite, nel piazzale. So che questo mi salverà. Ogni volta sembrerà vita affacciarsi sulla tua vita, a patto che somigli ad un vangelo innocuo che non parli di sacrificio. Quando comincerai ad invecchiare terrò fra le dita i tuoi capelli bianchi da strappare, draghi di carta e lanterne di fragilità. Saranno come bimbi di corsa nei viali che schiaccino l'erba dei prati. Saranno lucciole di strada che dividano il cielo dal cielo e la luce dall'anima.

 
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