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rumino i gesti di vita

Post n°158 pubblicato il 10 Febbraio 2014 da andrea_firenze
 

rumino i gesti di vita, li suscito turgidi e li traduco a te in questa scrittura che posso guardare. I caratteri somigliano ad ombre di ringhiera sulle tue spalle bianche di carta, ad uno spiovente di tetto che ripara, ad una eco in una bocca liscia di conchiglia, ad un orecchio che separa. Ciascuno di essi ha il suo proprio, di carattere; alcuni si sporgono e flettono come a trattenere un respiro di poesie in punta, all'estremità di ogni grazia, come stessero in equilibrio un passo prima di ricadere nei versi traversi delle onde, di rientrare nelle schiere sui campi di battaglia. Certi sono incerti, altri più sicuri: hanno accenti duri e spade di guerrieri in cotte di maglia, si muovono come eserciti sulle colline delle pagine. Pochi, discontinuamente, s'affacciano ai palazzi con una speranza ed un desiderio da ciascuna delle mille finestre. E capita che magari apri un libro come un mare e ti perdi fra branchi di pesci luccicanti riga dopo riga, ruzzoli su pagine come su prati coperti di foglie d'autunno, con lo sguardo al cielo, e le lettere ti sferzano come grandinate o germogliano in campi seminati di speranza, ti guardano irraggiungibili come notti stellate oppure ti travolgono rumorose in città trafficate. Là in mezzo, poi, spesso, balenano i dorsi di delfino dei ricordi; e ogni schiena è un rifugio, uno scudo, se penso al tuo viso di adesso che è crepa, recipiente; e dona riposo. La vita consuma il vissuto, lo fa malamente, selvaggiamente, senza lasciare traccia; e forse ho delle difficoltà ad accettare che l'esaurimento sia la sola purificazione, che il peccato in esso sia ciò che davvero ci monda al mondo. Non c'è differenza fra ciò che aspetto e ciò che è stato; l'unico sbaglio è la realtà, questa irrevocabile presa di forma, la multidimensionalità che ci spinge prossimi al cerchio con un morso di tigre, come un'onda. Vedo adesso che ogni circostanza è la stanza dei caratteri, in un romanzo come in una vita; un insieme di caratteri casuali disposti secondo regole arbitrarie che tornano sempre in un disegno più ampio di progetti, anch'essi, ancora, casuali. Un atto è come un tratto, ogni lettera una vita e un varco, e se le metti assieme fanno una storia e i ricordi; e la vista con cui leggo o guardo non è altro invece che la distanza di calore di ciò che resta nel tempo. Il mondo è una aggregato di volontà, l'unica entità che può essere infinita poiché si concreta continuamente in ciò che deve essere generato e poi distrutto. É come la continua ripetuta penetrazione del contadino alla sua terra, del cannone alla guerra; la sensuale esplosione di te che accendi la luce e dai un volto alla notte con la forza delle mani di un vasaio sulla creta; è forma in vita di corpi enunciati e premuti prepotentemente dagli avambracci da una stella viscosa, paratesto spaesato e sciolto e assordato sotto una realtà d'urti fra chele tenaglie, pollice ed indice dell'orizzonte. Sono tutti segni, ed il segno è ciò che più amiamo; rappresenta allo stesso tempo ciò che esiste ed ogni fallimento, il confine e l'accesso, il gesto e la sua delusa concrezione: sfintere, albero o parto, un clitoride di suoni, di linguaggio; corde tese d'aria da polmoni, distanze e forze di vibrazione dagli accorciamenti, indebolimenti e tensioni nella quantità di materia, l'inverso del fuoco da una scheggia di legno. E ciò che ci rende uomini la puoi chiamare razionalità, ma è solo la casuale incertezza di chi, con un segno appunto, ha deviato per un momento dall'indifferenza nell'altezza e nella cresta che c'è in un'onda: per quanto sia bella non puoi dire chi l'abbia spinta ma sai per certo che sarà attenuata, e finita; dolcemente. Così le nostre vite e ogni singolo ricordo. Da questo il nostro amore per le staffe delle lettere e le grazie, e la grazia che troviamo in ogni curva che c'illuda di durare purché ci dia l'impressione di morire piano. É questa incertezza che perversamente amiamo e l'illusoria rimediabilità in essa e la sicumera della ripetibilità delle cose, nel prosaico e nell'astratto: tu che affondi e la bolla d'ossigeno di un feto che viene sù, i salti sempre più corti e dolorosi nelle zampe di un gatto, una scala piegata, la vecchiaia, l'incidente stradale col motorino del geometra Migliorini, le montagne russe sul Mib30, la mezza maratona di Barcellona, la palestrina usata per il bambino, il cosmo che si restringe o s'allarga, la vincita di un tablet Playbox BlackBerry, la casa di vecchie colonne che cerco di sorreggere il martedì invano, il carcinoma metastatico di mio fratello, e tutto ciò che si allarga e si stringe ancora. Come il mio cuore. E quando non sai oppure è faticoso lo sforzo di una correzione allora indulgi facilmente alla distrazione ed ai ricordi: vite vissute per sé, non con i propri cari, ma con un qualunque sconosciuto, a Londra o Parigi; uno stronzo qualunque, incontrato un giorno, per caso, e che, come gli altri stronzi, caca in una tazza; oppure dedicate, alla fine, quando non rimane altro, al tentativo di non lasciar morire le uniche storie che non finiscono, quelle fatte di visite e di testimonianze. Chi mi parlerebbe della morte di Giuliano se non ci fossi tu papà, chi porterebbe prova della sua vita semplice di contadino e del male che gli ha torto lo stomaco. Anch'io, come te, credo che per chiunque ci dovrebbe essere poesia, anche una sola poesia, e che fosse scritta. Sarebbe almeno il segno rimasto di uomini che si disfanno come piovre, e dei loro movimenti che sono i tentativi, i tentacoli di tutta una vita. Che ne saprei di come gli ulivi rivoltano le foglie quando si fa freddo e che la potatura è la parsimonia della forza nel frutto, e delle bozze d'acqua piovana dove si abbeverano gli uccelli e delle medaglie perfette del tuo Mario Moschi, se non me lo raccontassi tu. E lo so, ma non m'importa, che la storia, ogni storia è un placebo e la fuga una breve sospensione di quell'incertezza che è il soffio di vento di chi viene o va lontano, di chi non sai più niente; le linee sottili sul palmo girato della tua mano. Ma non m'importa; perché mentre giro, vago e ruoto l'ano, mi piace immaginare che a Fiesole ogni stella s'affolli ancora alle tue spalle, s'adagi amante su ogni scialle, si tenda, sporga dalla valle, e sbirci me, che continuo a leggere finché posso; e s'aguzzi fra chi fa silenzio e freme, e ascolti ogni sera la poesia struggente di un amore, morto; e la fine d'una gemma blu, sperduta, in un abisso rosso.

 
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