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« è così strano sentirsi a casati ascolto »

ho aperto questa casa e l'ho rasata

Post n°133 pubblicato il 04 Novembre 2013 da andrea_firenze
 

ho aperto questa casa e l'ho rasata come una fica, ne ho fatto un deserto. Ho fatto chiasso, come al solito, per coprirne il silenzio. La ghiaia per la lettiera del gatto è sparsa ovunque sulla scacchiera, ai piedi dell'orcio torre e dell'attaccapanni con le lance in resta. Il caminetto nitrisce freddo, con lo sguardo torvo e le taglienti sopracciglia verdi di felce, e io me ne sto là incastrato, con le gambe e le braccia divaricate, mentre il pavimento gira e abbaglia come la giostra coi cavalli e sgroppa libero e selvaggio come un puledro nella pampa. Sono un mucchio di sassi con le mutande, su cui sbatte la rapida di un fiume inquieto. La forma è l'unica distinzione, conseguenza di cosa ti nutra e di chi ti abbia mangiato. Le pietre mi spuntano sulla schiena, lungo la spina dorsale, contorcendosi intrinseche, puntando gomiti e ginocchia sulla pelle, in un movimento sotterraneo, come qualcosa che ti cresca dentro. I quadri hanno grandi bocche dove proliferano strane figure, milioni di agenti batterici, ombre incappucciate, piranha con i denti aguzzi. E questo è un sottomarino, un pallone aerostatico senza scale, un cervello senza corpo dove la coscienza sono io. Le bottiglie vuote della birra sono lunghe e sinuose e luccicano sfocate come candelabri, instabili e scivolose come liane. Non mi sono lavato per settimane. Ho pensato che avrei dovuto pulire anche tutto il resto affinché avesse importanza. Non ho disinfettato perché le cose sono piene di difetti ed è congenito alla carne il difettare. Ho dilatato le mie convinzioni, come il pollice di un bambino con una gomma da masticare, cazzeggiando, ma seguendo alla perfezione la regola dei commessi viaggiatori: non tornare mai indietro, per paura che qualcuno possa ritirare un ordine mai eseguito. Ne ho aggiunte altre di regole durante il tragitto, farfugliando con la testa per aria: fare sempre il peggio possibile e rovinare qualunque cosa; non parlare con me stesso di ciò che è stato; non pagare niente a chi si senta in credito. E spesso ho fallito nelle mie convinzioni. Per consolarmi apro un rubinetto, lo giro finché non si blocchi alla fine del rosso: ché l'acqua sia bollente sulla pelle. L'importante è far finta che sia stato e che ti abbia segnato, chi se ne frega cosa. Così mi sono esfoliato il cazzo, interpretando la parte fino alle estreme conseguenze, sperando che di notte venissi tu a farlo. Potresti suonare a qualunque ora del mercoledì e del giovedì quando sono fuori dalla vita e potrei scopare la montagna del tuo culo sulle cosce di tufo a gambe unite come radici e prolungamenti che abbocchino dalla terra come pesci fra le rose del divano, e affondare le mie ditate color latte sulla tua pelle color caffé senza il timore e l'esitazione che ho avuto le sette volte che ho scommesso gettando sul tavolo del poker quanto ancora avessi da giocare, mentre adesso sarebbe solo un darsi a titolo gratuito fra persone che non si toccano più se non senza guanti e sarebbe un imbroglio minore chiamarlo sesso e amore. Sali pure e non parlare. Sbottonami la cerniera dei pantaloni e prendimelo in bocca; puoi gemere forte adesso. Ho fatto un deserto di questa casa, e non c'è nessuno da svegliare. È come un intestino vuoto dopo la purga. Le sedie e i tavoli sono alberi ramati dai rami intricati e per terra crescono enormi funghi. Mi sento tragico ed ubriaco quanto Bunny Monroe, fumetto umano con un razzo nelle mutande e la cravatta cosparsa di conigli, e, come lui, trionfalmente ridicolo. È un segno del destino che possegga la mia stessa Punto gialla, su cui cacano i piccioni. Non so artigliare la vita, solo strabuzzare gli occhi come un rettile senza denti. Non per paura. Ci vuole del tempo per curarsi le unghie, e mi annoia. Attraverso vie cave come un etrusco poco convinto, con una tunica bianca ed un sacco di buio al posto del volto, come camminassi nelle mie stesse vene, sordo, schiacciato in una bolla costretta a rotolare, fra poggio cane e le madonna delle grazie. Poi di nuovo qui su questa sedia, con un cazzo da masturbare, stretto come un crocifisso, come un pezzo di carne che non mi appartenesse, una pala per il carbone in questa stanza locomotiva, cabina della teleferica, osso nel ventre di una balena; e gli uccelli in cielo spersi e sottili come carta igienica bagnata, depravati come pisciate del signore sul paese degli idioti, il villaggio di Stepancikovo ed i suoi abitanti. E starsene comodi in una fica scarafaggio, con i dorsi delle dita nelle creste iliache aperte e rosse come una ferita nel costato, uno sbrego nei pantaloni. E leccarne il sangue salato durante la sacra rappresentazione, lingua dentro bocca e fica ed ano, come non fanno gli animali perché non hanno tempo per le stronzate simboliche ed i gesti rituali da taumaturghi, mentre per noi è guarigione da malattia, cibo senza materia, tampone su ciò che cola. Guardo il mio volto itterico nello specchio, subordinato a ciò che lo fa apparire, e barrisco come un elefante perché non fa differenza in che lingua parli visto che non parlo; le orecchie mi fumano e sono dure come radica di noce, e mi ricordo di quando, bambino, i ragazzi più grandi mi premevano i lobi con tutta la forza che avevano senza che mi facesse male, ed ero dolce e con gli occhi grandi e con le ciglia lunghe, mentre adesso le parole più belle che mi escono dalla bocca somigliano a nani e froci, ermafroditi e pagliacci. E me ne lascio ammaliare perfino sul water, rilasciando la materia fecale, emanando rutti e virus, mentre guardo le luci, morbide e liquide, sfarfallare; ed il mio corpo oscilla come una tenda senza che ci sia un vento intruso al di là di quella che sembra essere una interruzione ma è invece l'incongruenza dall'essere ogni giorno presenti. E persisto a scorticare un cazzo esacerbato come un fico d'india come cercassi maldestramente di gonfiare un pneumatico pieno d'alcool. I pensieri si espandono e vaporizzano come nubi in attesa della magica figlia dell'incubo con le mani nere da orco, calamitati da una inevitabile contrattura. Il sangue affluisce all'indietro ed il seme, ti volti, ed è già secco. E mi rifugio nel letto, biascicando spropositi come preghiere; come mi appartassi fra le foglie nel bosco, in deliquio, come l'ultimo degli esemplari di una specie estinta; e la consapevolezza della scollatura si allunga in uno strano sopore, nell'abituale impercettibile pizzicore che si prova nell'essere risucchiati dal sonno.

 
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Commenti al Post:
rosapallida5
rosapallida5 il 04/11/13 alle 19:39 via WEB
Che dire..nulla..l importante è leggerti
(Rispondi)
 
 
andrea_firenze
andrea_firenze il 05/11/13 alle 11:30 via WEB
:)
(Rispondi)
 
gufonotturno01
gufonotturno01 il 05/11/13 alle 21:20 via WEB
Credo che in questi 3 anni le cose siano cambiate per te....certo è che non rinneghi quanto hai provato in quei giorni, quel masochismo che è un grido di non accettazione a ciò che siamo. Mi piace molto la frase "Non ho disinfettato perché le cose sono piene di difetti ed è congenito alla carne il difettare."
(Rispondi)
 
 
andrea_firenze
andrea_firenze il 06/11/13 alle 11:22 via WEB
è vero... sono cambiate tante cose, ma infondo si resta sempre se stessi, grazie per la tua attenzione :)
(Rispondi)
 
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