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è così strano sentirsi a casa

Post n°132 pubblicato il 03 Novembre 2013 da andrea_firenze
 

è così strano sentirsi a casa solo quando te ne vai in giro come un vagabondo. Sono sempre stato a mio agio nel disordine, nella sgargiante e caotica manifestazione della varietà e della casualità che acuisce la consapevolezza di se stessi attraverso stimoli e sollecitazioni sempre diverse. Ti sono necessarie perché a qualunque sensazione si fa l'abitudine, sia di dolore che di piacere. Certe persone amano la comodità, preferiscono vedere cose che abbiano sempre la stessa faccia, di cui ci si possa fidare, indipendentemente perfino dalla soggettività del loro valore. Non è che non lo capisca o che non succeda anche a me: siamo tutti dei codardi, tutti dei vanitosi. È solo che confidare nella persistenza e nell'uguaglianza a se stesse delle cose che solo per incidenza influiscano sulla tua vita conduce a perdere di vista questa e stimarla in quelle. Così è facile identificarsi nel luogo dove si eserciti una professione, nella moglie che saluti al mattino, in queste mura su cui si profila la mia ombra, nell'ora consueta all'angolo di una strada, nei rami dell'ulivo al vento. Ma, in ciascuna di queste cose, tu non ci sei. Sono solo loro ad essere presenti in te, ad averti occupato, come inquilini abusivi che abbiano sfondato la porta della tua anima un giorno in cui tu sia stato assente. E già ti eri abituato all'evenienza, adeguato come una brocca alla possibilità del vino. In definitiva è per essere la cornice di qualcos'altro che sei stato creato, un ricettacolo d'astrazione per cui è indifferente la momentanea incarnazione; che importa se il vitigno del cui nettare adesso ti inebri sia stato un Cabernet-Sauvignon, un Merlot o un Montepulciano; questo doveva essere il tuo percorso. Al contrario ciò su cui non è possibile esercitare un controllo è irreparabile; esiste senza che tu lo possa trasformare, senza credere di poterlo riparare. Infondo appartiene a tutti l'inclinazione a raddrizzare, il desiderio di correggere ciò che non possediamo o ammaliare chi ci disprezza; di appianare o evitare ogni ostacolo che si trovi sulla nostra strada. E qualche volta ciò che non puoi cambiare o assimilare ti spinge, per un breve attimo, a pensare che ci sia dell'altro fuori di te, per quanto tu non possa veramente comprendere quell’alterità se non verso l'interno. Certi recipienti, per una incrinatura o una caduta, oppure per un piccolo difetto di fabbricazione, non diventano mai bottiglie e, non essendo fatti per qualcosa, restano loro stessi. E dunque è una fortuna che la confusione sia ovunque, perché là in mezzo è facile che si vada rotti o perduti. Basta saper osservare per riuscire a trovare qualcosa di assolutamente irrecuperabile. Per gli uomini è sufficiente guardare in modo non convenzionale, non solo fuori ma, soprattutto, dentro. La vita è piena di oggetti gettati a caso, alla rinfusa, come il contenuto disordinato di un cassetto; è disseminata di confezioni scadute. Potrei inciampare su una qualsiasi di queste cose. Potrei farlo senza aver provato la diffidenza che di norma provo verso tutto ciò che ho plasmato sulla verosimiglianza di me stesso, la distinzione che con incertezza credo di avere ma che è necessario sostenere. Oppure potrei cadere. Grattare le ginocchia sull'asfalto. Forse sarebbe più bello essere incongruenti. Le persone camminano serene verso un dio impaziente. Ogni volta ne rimango stupito. Mentre procediamo precisi come le file di un esercito cerco di riconoscere alcune delle facce che si sono sciolte e deformate nel tutto. Sono tutti giovani. Posso vederle perché è come se avessi le articolazioni al contrario e camminassi all'indietro. Dietro c'è tutto ciò che non è approdato. È come un calderone che si alimenti in continuazione di coloro che ad un certo punto vengano a conoscenza di non avercela fatta; non hanno fatto scoperte né avuto sorprese se non nel ricordo di quanto hanno sperato; capiscono che aspetteranno per sempre in un limbo; sanno finalmente che nessuno arriva mai davvero in alcun luogo. Io e tutti voi, siamo stati semplicemente un posto dove qualcun'altro ha camminato, dove qualche volta siamo passati senza vederci, perché distratti da altro. Tutti si ingannano; cercano qualcosa, misurano le distanze da percorrere per lo più verso oggetti concreti e rassicurazioni, verso altre persone. La vita è solo un viaggio di allontanamento dall'ignoto personale presente ad un ignoto impersonale futuro. E quanta stupidità, quante banalità su quella strada. Per fortuna non so più guardare avanti. Vedo solo i miei ricordi e i sogni come un Enrico IV che tenga tra le dita la ciocca bionda dei capelli bruni della marchesa; è come se sia questi che quelli siano un tentativo di plagio e rassomiglianza, un segreto taciuto di ciò che forse una volta, per poco, sono stato e che avrei voluto essere per sempre. Qua, qua e per sempre è dove voglio stare, fra i fumi dell'assenzio e l'intricata melodia di Satie; ad osservare il viso di Cristo risorto che mi parla, e non capirne le parole; e poi vederlo ascendere in cielo; muto. Come possedessi un segreto e non l'avessi capito. Come ascoltassi una breve e vaga cadenza che avverti indebolire e che sai finirà per cessare. È così che mi sono sempre sentito. Restare qua, dove la noia e l'incertezza mi provocano degli orgasmi. Fra coloro che sentono, impauriti dall'inerzia e dal silenzio, ad aspettare di essere sopraffatto dal tutto da cui infondo mi sono preso solo una breve pausa. Sorrido a chi mi dice che sono ancora un bambino. Credo che non vivendo io viva più di voi perché ancora ho la capacità di sognare sopra alle persone e alle cose; ci faccio tempesta e guerra, magari affrontando le onde su una tavola di legno e spago, o avanzando impavido con una barchetta di carta per elmo ed una spada di cartone, ma esaminando con consapevolezza ogni colpo, cercando di svolgere una vela che forse non c'è, ma provando a ricordare di conservare un po' di tempo per soffrire. La sofferenza è l'unico mezzo che ci è concesso di partecipazione alla vita, a quella pienezza che per spiegarla potresti nominare tutto senza davvero attirare la sua attenzione; a ciò che sta sotto e ti consuma e che puoi capire solo quando ti senti finito e non hai fatto niente ed il tempo è passato, e ti sei lacerato. Sì, è proprio vero, sorrido con superiorità a chi mi dice che sono un bambino, perchè per un bimbo un nuovo gioco è sempre l'ultimo, e l'ultima sofferenza la prima; perché i bambini hanno poca memoria e vivono di presente, proprio come voi; perchè corrono con entusiasmo sulla spiaggia, inconsapevoli dell'abisso sul cui confine limitano le loro esistenze, e vogliono costruire castelli di sabbia ogni volta più grandi, esattamente come voi. Sorrido perché a me basta sognare castelli che sono ormai caduti. Ed erano più belli, piccoli e perfetti, quei castelli.

 
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