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non c'è niente di più bello

Post n°113 pubblicato il 06 Ottobre 2013 da andrea_firenze
 

non c'è niente di più bello della partita numero due per violino in re minore chaconne milleequattro di Johann Sebastian Bach; perchè c'è tutto il mondo e perchè c'è tutto me. È una di quelle espressioni che vanno oltre l'arte, a tal punto da negarla; tutti ci parlano dentro sulla falsariga di un onda instabile e nessuno ne può capire il brusio o riconoscerne la voce. La musica è una nascita interminabile, mutevole ed identica a se stessa come una cesta di ceraste; è un parto senza culla, ed è più resistente al di fuori di un supporto perchè quello non è mai proprio la sua forma. Ogni altra cosa invece pensi sia piena di possibilità, mentre è già conclusa, e lo sapresti se solo lo spazio di una vita bastasse a ricordare. La scoperta più vera è quella dell'ovvietà, come un neo che c'è sempre stato sotto la pianta di un piede, come un minerale sotto al fango in una miniera, una rana che sguazzi in una granocchiaia. Affrontare la banalità, essere uomini in mezzo agli uomini, approfittare della vita, è stupidità, volontà di rappresentazione, perchè uomini lo siamo comunque, senza possibilità di scelta; e gustare un caffè, invecchiare, cercare di relazionarsi con gli altri, guadagnare, giocare, sono l'unica abominevole e gradita verità. Niente mi è mai sembrato più pregno di significato di quel verso di Sylvia Plath che recita solo mamma mamma mamma e papà; di Alda Merini amo i farfugli da manicomio, quelli di cui non può scrivere ma che le si leggono negli occhi. È ciò che non si può fondere che cerco come un entomologo fra queste persone e questi oggetti, che ti vengono incontro uno dietro l'altro come file di barattoli. E se niente si distrugge, è vero anche che nulla resta, se non piccoli granelli d'oro passati con le mani fra i capelli sulla testa. E per un po' ancora lo so com'è andata, anche se non so per quanto; e già non ricordo con quanta consapevolezza ho vissuto distratto ed esacerbato dalle strisce bianche e nere delle zebre, fra tutte queste cose andate in velocità, taglienti e ferme, invadenti, maleducate nell'aria, aggrappate alla stessa caduta in un ammasso di superstringhe. Cerco un diversivo per la stretta della non entità, con la solita voglia di sorprendermi e la fatica, tutto mischiato insieme. Provo a sfuggire alla bocca che divora tutto senza sofferenza, come premesse un tasto per cambiare canale. Di quella bocca sono lo spazio, curvo di gravità, e vorrei esserne anche l'avanzo. Giuda partì dopo aver gettato l'argento a terra nel tempio ed andò ad impiccarsi ad un ramo. E non fu peccato. Giuda è l'unico eroe della mia vita costretta a raccontare le persone sui treni, consumata anonima fra i poliziotti sprofondati nei sedili a gambe larghe, cui cede la pancia a furia di controllare gli altri e trascurare se stessi; fra le adolescenti affette da mastodinia e le ragazze un po' più adulte con la carne deformata sotto al mento per il peso del cibo sulla parte inferiore della cavità orale. La conosco l'umanità, ma solo quando tira vento e la luce invernale scheggia la facciata di Santa Croce, appena sveglia, lavata col sapone. Negli altri momenti la dimentico facilmente. Siedo per decine di minuti sulle panchine di pietra, osservo i gruppi di handicappati con pochi denti, sempre sorridenti, scrivo qualche appunto sul frontespizio o sul retro della copertina dei libri che leggo. Mi piace quando li porto tanto a spasso e ci lascio l'impronta di sudore delle mani; sono come fidanzate gentili che non ti fanno vergognare di avere un corpo fragile, che fa acqua da tutte le parti. Spesso ho la testa vuota ed il culo freddo e faccio spazio solo all'eco come una pietra cava in fondo ad una cascata, come l'impronta del mughetto sulla porosità della tua lingua. La gente si affaccenda. Mi raggiungono gli odori di ogni volta che sono stato qui: il profumo forte dell'erba bruciata ed i sorrisi enormi e sconsiderati con le teste all'indietro, il profumo irresistibilmente tragico del venditore di lampredotto, quello raffinato delle mele caramellate acquistate al mercatino tedesco della città di Heidelberg, con le caratteristiche piccole bolle sospese all'interno della crosta rossa, segnate dall'inappartenenza, come una predizione. Bolle come aerostati sopra a microscopiche case, bolle come apparati digerenti, come complicatissimi termitai. Bolle piene d'elio e nauseabondi enzimi. Bolle che fanno pensare che il dolore non è patologico, ma è un insanabile latenza, di cui il piacere è una semplice sostituzione. Noi e il mondo siamo come i piatti di una bilancia in cui l'equlibrio si ristabilisce per manducazione ed assimilazione. Noi e il mondo siamo il mangime per i polli nella visione della preapocalisse nella sinagoga di Cafarnao. Solo che, egoisticamente, vorrei esserne l'avanzo. E la cerco la consolazione del Paracleto ma non riesco a trovarla nei bimbi che invecchieranno o peggio si ammaleranno presto e moriranno, non ce la faccio a scoprirla nelle parole non dette della confusione, nei pantaloni da lavoro sporchi dei migranti, negli affreschi consumati, nelle cicche scolorite e nella polvere, incastrata fra le pietre secolari di questa piazza. Passano i minuti e si fa più freddo quando si avvicina la sera. È sempre solo una questione di tempi: tempi lungi o brevi; mai tempi morti. C'è sempre qualcosa da fare, fosse solo per la voglia di pisciare. Lunedì devi fare un favore ad un amico. Ha chiamato ad un'ora strana e non è strano perché ha chiamato per questo. Gli studenti ti hanno contattato per il prossimo esame. Rimugino che eppure hai cercato di dire confusamente, fra i lazzi della tua modesta credibilità, che quello no, davvero, non era importante. Ma evidentemente non l'hai comunicato bene. A sera restano queste note ed i libri sugli scaffali. Sulle copertine ci sono tante facce come le foto sulle lapidi; tutte hanno l'espressione fiduciosa di chi ha già terminato e di chi ha ancora tutto il tempo di concludere qualcosa. La giacca della tuta appena acquistata da mamma e papà riposa esanime sul bordo del letto, staccata dai ceppi della gruccia, rassegnata alla sconfitta. Chissà che pensa così concentrata in un punto solo, così derelitta come un fanciullo nel suo autismo, come un fanculo d'espressione, come qualunque cosa che non sappia parlare e vedere e ascoltare. Sommessamente mi infilo sotto le coperte, allento i tendini nella distensione, antinomica a ciò che è adatto come un cunnilingus alla depravazione. Prima di addormentarmi confido di nuovo, ingenuamente, nell'isotropia ontologica di un'ennesima mutazione. Mi viene in mente che neppure per una volta ho provato il desiderio di pregare.

 
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Commenti al Post:
bisou_fatal
bisou_fatal il 06/10/13 alle 18:37 via WEB
Espressione di un istinto...puro e passionale...
(Rispondi)
 
anonimo.sabino
anonimo.sabino il 06/10/13 alle 19:10 via WEB
Beh, se cominci con Bach non puoi finire in ginocchio.
(Rispondi)
 
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