America Latina
Qui parliamo dell'America Latina che non trovate in agenzia di viaggi
Post n°13 pubblicato il 31 Agosto 2010 da a.simonetti
Qui abbiamo usato sempre il termine Paulista che è come abitualmente ci si riferisce agli abitanti di Sao Paulo. Per essere precisi però i Paulistas sono gli abitanti di tutto lo stato di Sao Paulo (da solo più grande e popoloso della maggior parte dei paesi europei), mentre gli abitanti della capitale si chiamano Paulistanos. Ci sono infine i São Paulinos che sono i tifosi della squadra di calcio del Sao Paulo (nella foto, anche se tende a non vedersi a prima vista). |
Post n°12 pubblicato il 31 Agosto 2010 da a.simonetti
Ieri abbiamo visto un film brasiliano molto interessante, si chiama “Linha de passe”. Il film, che ha ricevuto numerosi premi sia in Brasile che all’estero, sembrava volermi ricordare che esiste un’altra Sao Paulo, quella che non frequenta i raffinati ristoranti dei quartieri Jardim e Vila Madalena, non abita nei lussuosi condomini di Morumbi e Itaim Bibi, non partecipa all’intensa vita culturale di Pixiga o Pinheiros. Protagonisti del film sono 4 fratelli che lottano ogni giorno per la sopravvivenza, vivendo sul filo della precaria frontiera che divide la legalità dalla criminalità. Non si può dimenticare che la città non offrirebbe tutti i servizi che offre per le classi media ed elevata, se non fosse per la presenza di milioni di persone appartenenti alle classi povera e miserabile, disposte a offrire il proprio lavoro ad un costo molto inferiore rispetto ai livelli dei paesi europei. A Sao Paulo le opportunità di lavoro sembrano infinite, in ogni negozio si contano decine di commessi e nei ristoranti sembra a volte che ci siano più camerieri che clienti (un giorno ho chiesto quanti dipendenti avesse il ristorante in cui stavamo pranzando… mi è stato detto 98!!). Ma al tempo stesso un sacco di giovani svolgono attività che sono difficilmente qualificabili come professioni. Per esempio ci sono ragazze il cui lavoro consiste in tenere appeso al collo un grosso cartello che annuncia la dotazione di un nuovo edificio residenziale in costruzione; davanti ai negozi di ferramenta è abituale che ci sia un ragazzo che, travestito da grosso martello, saltella avanti e indietro per attirare l’attenzione dei passanti; davanti a molti parcheggi a pagamento è frequente che ci sia una persona che passa la sua giornata segnalando con le braccia l’entrata a tutte le auto che passano. E queste sono solo alcune delle “professioni” più lecite ovviamente. E’ facile intuire che tutto ciò è possibili solo perché il costo della manodopera è ancora molto basso. A tal punto che mi chiedo spesso dove sia il limite tra il diritto dell’uomo a svolgere un lavoro e il diritto di un datore di lavoro di sfruttare persone che pur di guadagnare due soldi accettano anche i lavori più umilianti. Nonostante tutto, in Brasile si sta vivendo un periodo di grande euforia, i giornali annunciano nelle prime pagine che la gente non è mai stata così ottimista, fiduciosa e… felice. A me invece urta un po’ vedere che questa “felicità” venga misurata in termini puramente di consumi, in funzione del numero di automobili e televisori LCD venduti; quando invece il Paese ancora offre standard ragionevoli di salute e istruzione solo a chi è in grado di pagare un’assicurazione sanitaria e di mandare i figli alla scuola privata; elementi che marcano in questo modo ancora di più la divisione sociale. E attraversando in autostrada le desolate periferie di Sao Paulo, costellate di favelas come quelle di Rio de Janeiro –solo meno scenografiche e panoramiche- viene da chiedersi quanti anni ci vorranno prima che l’ottimismo e la fiducia arrivino anche lì. |
Post n°11 pubblicato il 14 Agosto 2010 da a.simonetti
Se c’è un’etichetta che ben si adatta a questa città -e che è uno dei principali motivi di orgoglio dei Paulisti- è quella di capitale gastronomica dell’America Latina. Qui la ristorazione è davvero una cosa seria, tanto che si stima che ci siano più di 12.000 ristoranti, di ogni etnia immaginabile, e tra questi almeno 5.000 pizzerie. A occhio i ristoranti giapponesi non possono essere molti meno. Una strage quotidiana di salmoni e tonni che finiscono in tavola sotto forma di sushi. Non a caso le comunità più grandi qui sono quella italiana e giapponese, tanto che la popolazione di discendenza italiana supera in numero gli abitanti di qualsiasi città italiana e i giapponesi sono più numerosi che in qualsiasi città del mondo con l’unica eccezione di Tokyo. Gli italiani ormai si confondono con gli immigrati provenienti da tutti gli altri paesi europei. Invece è difficile non far caso ai gruppi di giapponesi, figli e nipoti degli immigrati originari, che discutono animatamente in portoghese, adottato ormai come lingua madre. Parlando di cibo una cosa è certa: il paulista adora la pizza, la SUA pizza. Sostiene che la pizza di Sao Paulo sia la migliore del Brasile e quasi certamente la migliore del mondo. Qui effettivamente tutte le pizzerie hanno il forno a legna, usano ingredienti di ottima qualità e i risultati sono davvero ottimi, non si può negare. Nonostante ciò, il paulista tende a riconoscere che la pizza sia un’invenzione italiana e per tutta la vita matura l’idea che in Italia la pizza debba essere qualcosa di sensazionale...finché non si presenta l’occasione di andare in Italia e provare personalmente quest’esperienza; lo attende invece una frustrazione cocente e che difficilmente riuscirà ad accettare. La pizza infatti è completamente diversa da quello che si aspetta. Il Brasiliano tende ad apprezzare la pizza quanto più sia carica di ingredienti, soprattutto di formaggio, a tal punto da formare uno spesso strato di (simil-)mozzarella (che qui chiamano mussarela ma che è molto più saporita rispetto alla nostra) che copre ogni cosa. Quando ordina una pizza in Italia, senza magari l’accortezza -che ormai ho adottato anch’io- di chiedere il rinforzo di mozzarella, si vede arrivare un disco di pasta pallida con una pennellata di salsa di pomodoro e con qualche macchia di mozzarella qua e là. Una beffa intollerabile. E bisogna ammettere che anche io tendo talvolta a sentirmi un po’ preso in giro di fronte a certe pizze che potremmo definire minimaliste, in tutto tranne che nel prezzo. Non c’è persona tra quelle che ho conosciuto in Brasile e che abbiano viaggiato in Italia, che non mi abbia parlato della sua profonda delusione con la pizza italiana. E’ proprio vero che un eccesso di aspettativa quasi sempre nasconde una delusione, in tutte le cose. Considerato il carico calorico, non c’è da stupirsi che in Brasile una pizza si divida normalmente tra due persone, eventualmente con un condimento diverso per ogni metà. Nonostante ciò, mi è ancora difficile comprendere come una buona pizza a Sao Paulo possa costare la bellezza di 60 Reais, l’equivalente di 25€ circa!! Ai brasiliani va riconosciuto però il merito di aver inventato un accessorio che nella sua semplicità è straordinario: il coperchio con i buchi…per tenere calda la pizza, ma senza farla diventare gommosa con il proprio vapore. La pizza infatti viene servita in tavola già tagliata e ognuno si serve una fetta nel proprio piatto, lasciando il resto (al caldo) al centro del tavolo. Ingegnoso, no? Per chi vuole spendere meno per fortuna c’è il delivery, la consegna a domicilio. In ogni quartiere ci sono decine di piccole pizzerie, costituite da un pizzaiolo, un forno a legna e uno stuolo di “motoqueiros”, ragazzi che, a bordo di scooters dotati di box termico, consegnano pizze ad ogni ora del giorno e della notte. A Sao Paulo tutto è “delivery”, dai ristoranti alle panetterie, dalle lavanderie alle farmacie. Un esercito di migliaia di “motoqueiros” che quotidianamente rischia la vita correndo all’impazzata in mezzo al traffico per consegnare ogni tipo di merci nel minor tempo possibile. A volte si ha la sensazione che sia più importante che una pizza o una bistecca arrivi ben calda a destinazione piuttosto che il motociclista torni a casa vivo a fine giornata. Parlando di cibo i brasiliani hanno inventato un’altra cosa interessante, la formula “rodizio”. Tu ti siedi a tavola e invece di ricevere un menù, ti viene consegnato un cartoncino, verde da un lato e rosso dall’altro, che funziona come un semaforo per far avvicinare o tenere lontano i camerieri, che ininterrottamente girano tra i tavoli offrendo cibo sempre diverso in piccole porzioni. Il ristorante rodizio più classico è la churrascaria di carne, ma è frequente anche il rodizio di sushi o di pizza e molti altri. Due condizioni indispensabili per organizzare un rodizio sono che il ristorante ovviamente sia relativamente grande e con molti clienti. Ricordo una situazione assolutamente surreale vissuta in Italia anni fa’: in una squallidissima churrascaria in provincia di Alessandria mi trovai ad essere vittima di un esperimento che risultò disastroso e imbarazzante: il rodizio con due clienti in tutto il ristorante!!! Se non ti piaceva una delle carni che venivano servite -non essendoci nessun’altro- inevitabilmente ti veniva ripresentata ogni pochi minuti, una tortura senza scampo. Una situazione alquanto improbabile a Sao Paulo, visto che sembra che non ci sia giorno della settimana in cui i ristoranti non siano pieni, in qualsiasi quartiere. Ho cercato di capire perché qui sia così abituale mangiare fuori casa. In parte è dovuto ancora una volta al traffico; il “paulista medio” è costretto a perdere ogni giorno così tanto tempo per spostarsi tra casa e lavoro e viceversa che spesso finisce per consumare entrambi i pasti al ristorante (o ricorrendo al delivery) per non perdere altro tempo cucinando e facendo la spesa. Ma ovviamente la ragione principale è un'altra: il “paulista medio” è una persona sofisticata a cui piace spendere i suoi soldi per mangiare e bere bene. Inutile dire che questo è ancora più vero per il ceto più benestante. Infine c’è un ultimo aspetto che serve da incentivo a frequentare ristoranti e bar, e che per qualsiasi europeo è assolutamente sorprendente: il fatto che un gran numero di locali, non solo di lusso, offrano il servizio di “valet”: ovvero una persona ti riceve davanti al locale, prende in consegna la tua auto, la porta via chissà dove e, come per magia, te la riconsegna quando esci. Inevitabilmente le prime volte ci si separa dalla propria auto con una certa ansia e con la preoccupazione di non rivederla più. Ma ci si abitua così velocemente che difficilmente si riesce poi a farne a meno una volta tornati nel vecchio continente. |
Post n°10 pubblicato il 01 Agosto 2010 da a.simonetti
In un Paese come il Brasile, la cui popolazione è costituita da una straordinaria miscela di sangue indigeno, europeo e africano, non mi aspettavo di scoprire che qui giornalmente si consuma un’orrenda e silenziosa discriminazione. Ho voluto romanzare un po' la situazione del bus. In realtà gli obesi possono sedere nei pochi posti vicini all'entrata che sono riservati agli invalidi e alle donne in gravidanza. Resto comunque dell'idea che le persone di taglia forte prediligano altri mezzi per evitare questo test. |
Post n°9 pubblicato il 01 Agosto 2010 da a.simonetti
E qui cominciano i problemi seri. Mi viene in mente quella scena del film Johnny Stecchino in cui Paolo Bonacelli descrive a Benigni le 3 piaghe che affliggono la Sicilia e Palermo. Per chi non ricordasse la scena, l’ho trovata su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=aOHueBY91pc La situazione è ben nota anche a noi italiani. L’industria dell’auto deve crescere e per alimentare il consumo ci si inventa qualunque stratagemma, così nascono innumerevoli forme di credito, i finanziamenti agevolati, gli incentivi statali e altre invenzioni del mondo moderno. Purtroppo sembra che anche i paesi Bric -tanto celebrati dagli economisti- non siano ancora stati capaci di inventare un modello di sviluppo più originale e lungimirante rispetto a quello a cui siamo abituati nel cosiddetto primo mondo.
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Inviato da: martinsdgl15
il 28/07/2010 alle 14:56