Creato da annaannan il 16/12/2006

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Arte

 

 

Post N° 10

Post n°10 pubblicato il 27 Febbraio 2007 da annaannan

 

Else Lasker-Schüler, ebrea, chiamata "Il cigno d’Israele". Visse gli anni più intensi della grande Berlino e della grande Vienna culturale con i nomi più belli che sono ancora vivi nel pensiero europeo (Karl Kraus, Rainer Maria Rilke, Schönberg e altri). La sua massima ambizione fu quella di rappresentare, in spirito d’amore, l’anello di congiunzione fra ebrei e cristiani.

Nata nel 1869 da un rabbino e da una poetessa di origine spagnola, insieme ai suoi fratelli fu coccolata e privilegiata in una meravigliosa infanzia e in una splendida adolescenza. Ma la seconda parte della sua vita fu segnata da legami sbagliati, da solitudine, malattie, povertà cronica e dalla grande avventura di andare nel nascente Stato di Israele. C’è una sua poesia "Dolore cosmico" che in soli sei versi segna in modo struggente il passaggio fra il prima e il dopo. E’ tratta da "Stige", la sua prima raccolta

Io, l’ardente vento del deserto,

mi raffreddai, presi forma.

Dov’è il sole che possa liquefarmi,

dove il lampo che sappia frantumarmi!

Ora il mio sguardo è d’ira, una petrosa

testa di Sfinge volta a tutti i cieli.

Ebbe due mariti e un figlio da un amore rimasto sconosciuto. Specialmente il secondo marito, artista e musicista, e il figlio ispirarono molte delle sue poesie:

Sempre prona sono stata al mormorio del mio cuore,

mai ho veduto il mattino

e mai cercato Dio.

Ma ora cammino intorno ai versi d’oro

tessuti nelle membra di mio figlio,

e cerco Dio.

In "Ballate ebraiche" evocò gli eroi della Bibbia. Piccola e magra, coi capelli e gli occhi neri, vestiva in maniera originale, era una forza della natura, generosa, geniale, dal cuore ecumenico. Dopo il suo ingresso a Gerusalemme nel 1937 divenne una personalità di grande rilievo. Un critico svizzero la definì "la più forte e impervia apparizione lirica della moderna Germania che aveva visto e detto le cose del mondo come nessun altro prima di lei".

Ormai siamo ben lontani dai soli temi amorosi del Rinascimento e si approda a un respiro più vasto, ad accogliere temi sociali e umani.

Classico esempio italiano è la nostra

Ada Negri

Ada scrive molto. L’autorevole critico Raffaello Barbiera le pubblica su "l’Illustrazione Italiana" alcune poesie e quando esce "Fatalità" Ada può già considerarsi nell’Olimpo dei nomi che si discutono e si studiano. Il libro è veemente, mosso nei ritmi, appassionato, irruente, ricco di argomenti. Da "Fatalità" a "Esilio" del 1914 commuove tutti i cuori cantando i poveri, gli umili, gli oppressi e anche i peccatori con una profonda sincerità e umanità.

Nelle basse casupole sconnesse,

nel rozzo cascinale

ove penètra per le imposte fesse

la raffica invernale,

ove del foco sul tizzon che geme

l’ignavia si accovaccia,

e la pellagra insaziata freme

gialla e sparuta in faccia

Più tardi divenne professoressa per chiara fama alla Scuola Normale Gaetana Agnesi di Milano e sposò un industriale di Biella. Nel 1904, quando esce il libro "Maternità", una intensa e nuova dolcezza si esprime in versi più moderati e distesi. Pian piano diminuiscono i temi sociali per dar spazio a un lato più artistico e intimo. Nel libro di "Mara" del 1919 si riscontra per la prima volta anche l’esperienza della poesia della passione.

Ed io cammino appesa al tuo braccio; e mi stringo al tuo cuore;

e se dir t’odo il mio nome, impallidisco come chi muore.

Nel 1931 le viene conferito uno dei Premi Mussolini dell’Accademia d’Italia e nel 1940 viene eletta, prima e ultima donna, membro dell’Accademia stessa. La sua notorietà fu in continua ascesa fino alla morte.

Minor fortuna ebbero la povera Mariannina Coffa (1841-1878), siciliana, che fu costretta dalla famiglia a lasciare il suo unico amore e morì a trentasette anni, o Vittoria Aganoor Pompilj (1855-1910), padovana di nobile famiglia. Considerata uno dei più importanti poeti sulla fine del secolo e un po’ schiacciata dalla presenza dei tre grandi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, fu tanto osannata in vita quanto poi trascurata dalla storia della letteratura.

Questo del resto capita alle grandi figure che non abbiano avuto la precauzione di accogliere un famoso avvertimento degli Arabi: mai nascere donna. Educata da Giacomo Zanella, lodata da Benedetto Croce, predilesse il verso libero, sciolto, indice di modernità, anziché la rima.

Ti ricordi l’odor del caprifoglio

là nel giardino, nelle sere estive

sotto le stelle che pioveano raggi

e promesse e sospiri? …

Condizionata dalle convenzioni mondane, fece vita riservata curando la madre fino a 46 anni, poi si sposò con l’onorevole Guido Pompilj, parlamentare in vista, e cominciò per lei una vita felice a Perugia, dove visse un’altra poetessa, Maria Alinda Brunamonti Bonacci, con la quale instaurò un legame di amicizia e di stima. Pubblicò nel 1900 il libro "Leggenda eterna". Il suo fu un matrimonio unico, perfetto. Morta lei a 55 anni, il marito si uccise con un colpo di pistola.

(1870-1945) che, insieme ad Amalia Guglielminetti e Sibilla Aleramo, ebbe il suo momento di gloria durante la vita. Nella sua opera sono riscontrabili due momenti o forse due maniere. Nelle sue prime creazioni è stata violenta, socialista, accesamente polemica contro il mondo borghese, orgogliosa della miseria della sua famiglia di operai. Per lei studiare era stato quasi un atto eroico. Presto orfana di padre, diventò una lettrice appassionata soprattutto di Carducci e D’Annunzio. Divenne maestra e a diciannove anni ottenne la sua prima assegnazione stabile. Per lei era il riscatto. Non avrebbe mai lavorato in un orrendo opificio dove le condizioni dei lavoratori erano terribili, non diverse da quelle degli operai inglesi del primo ottocento, come le racconta Dickens. Avrebbe potuto istruire altri figli di operai.

 
 
 

Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 24 Febbraio 2007 da annaannan
Foto di annaannan

 
 
 

Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 24 Febbraio 2007 da annaannan

Accanto a lei la tragedia della siciliana Isabella di Morra (1520-1545), pugnalata dai fratelli a venticinque anni per una colpa non commessa, riporta i toni al più cupo e torbido Medioevo. I suoi versi sono così schietti e strazianti che fanno di lei un "caso particolare" che non ammette paragoni.

Ben più celebre, tuttavia, resta Vittoria Colonna, dalla malinconia raccolta e dall’alta tempra morale, forse per la sua sorte di giovanissima vedova e la sua amicizia con Michelangelo che le fu devoto e avvolse il suo sentimento per lei in alte forme spirituali.

Ricordiamo velocemente anche Veronica Gambara, soprattutto per la nobiltà del suo stile. Ecco dunque che in questo periodo alcune donne possono far valere la loro voce e i palpiti dell’anima attraverso la cultura.

Nel Seicento dilagò l’aspirazione a comporre poemi e pure la gentildonna veneziana Lucrezia Marinella volle cimentarvisi con l’ "Enrico ovvero Bisanzio conquistata" che trattava di Enrico Dandolo e della quarta Crociata. Poi c’è stato un periodo di silenzio.

Però dalla seconda metà dell’Ottocento in poi anche le donne, specialmente di classi alto-borghesi, cominciano ad affacciarsi ai corsi superiori di studi e, per mezzo della cultura, hanno modo di far valere il loro genio. Perché non sono tanto gli studi regolari il vademecum per la poesia, quanto e soprattutto la cultura in generale. Prendiamo ad esempio alcuni casi di donne colte delle quali tratteremo parzialmente le vicende di vita:

Marceline Desbordes Valmore

Tutti i maggiori poeti e letterati di Francia, Baudelaire, Hugo, Saint Beuve etc., erano rimasti incantati da quella donna che incarnava come pochi lo spirito del tempo, cioè del Romanticismo declinante e del primo Simbolismo, e la chiamavano maestro e la osannavano, ma che più tardi ha trovato scarso spazio nelle antologie o è stata ignorata. Perchè? Probabilmente perché donna e quindi di serie B.

Nata a Donai nella Fiandra Francese nel 1786, aveva avuto una vita tempestosa e sfortunata. Il padre era stato completamente rovinato dalla Rivoluzione. La madre la costrinse da bambina a recitare in compagnie girovaghe da città a città tra disagi e miserie. Poi la madre la trascinò a 15 anni a Guadalupe dove avevano un cugino e dove la madre morì di febbre gialla. Ci fu poi un terribile terremoto e lei rientrò in Francia. A 22 anni è già conosciuta come poetessa ed ha già pubblicato su riviste. Incontra uno scrittore importante, Henry de Latouche, se ne innamora follemente. Ha un figlio. Lui fa lunghi viaggi, la trascura.. Marceline spera e si dispera senza tregua:

Taci, sorella, ché il passato brucia.

Taci il suo nome, ché il suo nome è lui.

Ostinarsi sui beni perduti

è come andar con l’onda che ripiega.

Quel nome che mi è ardore e mi è dolcezza,

quel nome, quando appena ora mi tocca,

come un fuoco mi avvampa nella bocca.

Sorella, non parlare.

Pochi hanno saputo scavare così profondamente nei rapporti uomo-donna, analizzare le frustrazioni dell’animo femminile di fronte allo spirito inquieto dell’altro che sa amare, ma è sempre attratto da un altrove, da altre avventure e viaggi. Come l’eterna storia di Penelope ed Ulisse. Per venti anni quell’uomo la illumina e la perseguita nei suoi capolavori.

Nel frattempo il figlio muore e lei sposa un attore bello e mediocre che cerca di aiutare. Le nascono altri quattro figli, dei quali tre le premoriranno. Col marito si instaura un rapporto di solidarietà e indulgenza, ma è sempre perseguitata dai disagi e dalla povertà. Ha scritto anche poesie politiche in opposizione all’Impero di Napoleone III. Muore di cancro nel 1859.

Ma non occorrono grandi avvenimenti, avventure o dolori per stimolare la poesia. L’americana

Emily Dickinson

In una vita svolta fra casa e chiesa incontra il reverendo Charles Wadsworth, sposato e con figli, che diventerà la sua stella fissa per sempre nella sua immaginazione, per il quale scrive molte poesie:

Io canto per riempire l’attesa:

annodarmi la cuffia,

richiudere la porta di casa,

nient’altro mi resta da fare,

finché risuoni vicino il suo passo,

e insieme si cammini verso il giorno,

narrandoci a vicenda come abbiamo cantato

per scacciare la tenebra.

Negli anni egli fa qualche breve visita in casa di Emily. Per lei sono lampi d’insostenibile luce. Più tardi un altro legame intellettuale e affettivo importante fu il giudice Lord, amico del padre. Si trattò comunque di una storia platonica. Se Emily non fosse stata scoperta da due importanti critici letterari, Thomas Higgins, che lei considerò suo maestro, ed Helen Jackson non avrebbe mai pubblicato. Infatti in vita pubblicò solo tre poesie (anonime) fra le centinaia che aveva scritto, tanto era gelosa dei suoi sentimenti e per niente desiderosa di notorietà.

La sua fama si affermò quasi subito dopo la sua morte avvenuta nel 1886 a 56 anni, perché, come lei dice in uno dei suoi epigrammi: "il potere e la groria sono doni per dopo la morte". E la morte non fa paura a chi vive con tanta intensità interiore.

(1830-1886) ha avuto una vita piatta e povera di avvenimenti. Ha cantato le piccole cose: la nascita della sorella, la scuola, le visite ai parenti. La sua vita si svolge tutta all’interno, i suoi occhi guardano in dentro nella monotonia austera della vita borghese dei puritani, tuttavia nelle sue pagine ha lasciato il segno di una grande profondità e di spirito acuto, pronto anche alla battuta e all’umorismo.
, definita da Paul Verlaine e confermata da Rambaud, poeti affermati, "la sola donna di genio e di talento di questo secolo (il XIX°) con George Sand". Attrice, cantante nei migliori teatri di Parigi, aveva un orecchio sensibilissimo e si era impadronita di tutti i segreti del verso e della rima, studiando a memoria i classici della letteratura francese, ad esempio Racine, sfiorando appena la scuola regolare. (Ognuno in genere attinge soprattutto alla letteratura nazionale perché nella traduzione dei poeti stranieri, anche se ottima, qualcosa si perde).

 
 
 

Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da annaannan

Bisogna arrivare al Cinquecento con Gaspara Stampa (1523-1554) per avere le prime poetesse di un certo valore, donne vissute alle corti dove non mancavano libri e letterati con cui scambiare opinioni, insegnamenti ed esperimenti poetici. Le poetesse del Cinquecento furono tutte donne di cultura, sia le signore e principesse come Vittoria Colonna (1490-1547) e Veronica Gambara (1485-1550), sia le cortigiane "oneste" come Veronica Franco (1546-1591) e Tullia d’Aragona (1510-1556). Singolare presenza quella delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento, così vistosa e riconosciuta da assumere l’aspetto di un’istituzione. Roma e Venezia ne contavano un gran numero e alcune di esse sapevano a memoria il Petrarca, leggevano i classici latini, rimavano sonetti, suonavano e cantavano. Aggiungevano alla miseria del loro mestiere una personalità più alta, spirituale e artistica che le innalzava nell’opinione della gente. Vedevano ai loro piedi letterati insigni, grandi artisti, potenti prelati e anche re. Nelle loro rime si trova un platonismo amoroso, un che di manierato, ma anche di elegante.

Fra gli spiriti più sinceri si distinse Gaspara Stampa, bella e intelligente, morta a 31 anni a Venezia, che uscì da questi schemi per la passionalità e la forza per cui proclamò il diritto della donna ad amare sempre e comunque fuori da ogni sanzione legale. Suo è il celebre verso:

"vivere ardendo e non sentire il male"

Le sue rime furono pubblicate postume dalla sorella, ma furono rivalutate solo nell’Ottocento.

 
 
 

Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da annaannan

Del 1200 in Italia ci rimangono tre sonetti di una poetessa nominata "Compiuta Donzella", cioè donna raffinata, completa, della quale non conosciamo il vero nome, la patria, la condizione sociale, Certamente visse nel XIII° secolo in Toscana, appartenne ad un ceto elevato ed ebbe un’educazione e una cultura molto rare in tempi in cui l’analfabetismo era diffusissimo e specialmente fra le donne. La sua è una testimonianza preziosa. In un sonetto esprime la sua inquietudine per il matrimonio a cui il padre la vuole obbligare e la sua ribellione che non manca di slancio e forza, pur essendo espressa con malinconica grazia. Ella teme che i doveri, gli obblighi e le occupazioni che questa nuova condizione le comporterà le tolgano il suo spazio, il suo "respiro", in poche parole un tempo tutto per sé. Il che è vero e non è vero. La maggior parte delle donne poeta è stata ed è sposata e non ha perso il suo "respiro". Poiché non esistono doveri così schiaccianti e assoluti che possano spegnere e soffocare del tutto l’afflato poetico.

 
 
 
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