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« Messaggio #58Messaggio #60 »

Post N° 59

Post n°59 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo quinto

 

Quando fu il momento di partire Alberto disse a Michele di sedersi nella nostra auto e lui si posizionò dietro, tra Chicco e il sempre più schiacciato Carlo.

Mancavano due-tre ore di viaggio. Ripartimmo.

Carlo stappò due birre e una me la passò. Ci presentammo al nuovo compagno di viaggio.

Michele viveva in città da noi ormai da un anno. Proveniva da Trento, ma lo si capiva subito. Sia dall’aspetto, biondo-occhi azzurri-alto-pizzetto biondo, sia dalla parlata, un accento che sicuramente non lo scambiavi con uno del sud Italia.

Chicco iniziò a farsi raccontare dal nuovo amico cosa faceva e tutto quanto della sua vita passata, interessatissimo, ed a ogni racconto di risposta narrava una sua mirabolante e mezza inventata avventura.

Le birre ci resero brilli e il viaggio scivolò sotto le ruote della macchina con una velocità che non percepimmo. Ci rendemmo conto di dove fossimo arrivati quando uscimmo dalla superstrada. Altri quaranta minuti persi per le colline, bellissime in questo periodo, e saremmo giunti a destinazione.

Fuori c’erano colori vivacissimi, Filippo rallentò l’andatura per gustarsi il paesaggio che saliva, la vista che si allargava e sbottò.

-         Carlo fai a Michele il discorso riguardo la fortuna.

-         Che discorso riguardo la fortuna?- Domandò Carlo.

-         Oddio. Tu hai un compito. Tu sei il portatore. Tu, qui, ora, puoi creare qualcosa di magico.- Si intromise Chicco.

-         Ah, quel discorso sulla fortuna. Lascia parlare me, deficiente- e con fare accademico iniziò a spiegare: -Praticamente, ascoltami bene, tu hai una cosa? La tieni per condividerla con tutti? E con tutti intendo tutti.- Disse indicando con un gesto della testa la macchina di Alberto che ci seguiva. -Giusto? Ma sappi che tu ora stai ammazzando qualcuno.

-         Chi?

-         La fortuna.

-         La fortuna di cosa?

-         La fortuna di averti qui.

-         Ma vuoi girare una canna d’erba?

-        

-         Furbo il ragazzo. Dio ….

Carlo iniziò i lavori, come sempre mise una dose massiccia e nessuno proprio se la sentì di rimproverarlo. La marijuana dall’odore sembrava veramente valida era verde fosforescente con un sacco di pistilli di colore arancione e cristalli bianchi. La classica indor.

Quando si accese il cannone abbassammo completamente i finestrini. Leggermente allucinati, guardavamo fuori come i bambini e Filippo disegnava le traiettorie in modo dolce e regolare. La colonna sonora erano i Buena Vista Social Club e il momento creato sembrava veramente magico. Invece era vero. Colline a perdita d’occhio, sole che illumina, luce limpida, tante birre in corpo, amici desiderosi di divertirsi e un paese disabitato che in lontananza si avvicinava.

 

Finalmente arrivammo. Il paesino era come l’avevamo lasciato l’ultima volta e cioè semplicemente vuoto. Arrivò anche l’auto di Alberto, che smontò, ci guardò in faccia e si mise a ridere. Tirai fuori il sacchetto dell’immondizia pieno di bottiglie finite e rise più forte.

-         Che sfiga finire in macchine diverse. Al ritorno si mescolano le carte.

Alla parola “sfiga” istintivamente mi venne da guardare Carlo. Il suo ragionamento non era stato il massimo dell’etica, ma risultava molto reale.

Aprimmo la casa. Filippo la mostrò a tutti stanza per stanza, erano quattro: un bagno, un soggiorno-cucina, una camera da letto con tre letti, due matrimoniali e uno singolo, e una scala che portava ad un soppalco con cinque brande che ricoprivano tutto lo spazio e creavano un altro mega letto.

Svuotai la valigia e andai in cucina con un narghilé, i tabacchi aromatizzati, una pipa in bambù alta poco più di un metro e lo stereo che in genere portavo sempre io, ne possedevo uno da battaglia e gli ero affezionato. Appena lo attaccai alla corrente misi un cd dei Chemical Brothers, uno vecchio, per accendere l’ambiente.

Arrivò Filippo con il cibo, come tutti del resto, e con due mazzi di carte da scopa, uno da poker, scacchi, Monopoli, il Risiko, un pacco di cd e una noce di cocco tagliata a metà che serviva da mistiera.

Carlo aveva un gioco in scatola che si chiamava “Non ti arrabbiare”, un altro pacco di cd, uno speedmix per sgranare la Marijuana e un cillum in terracotta.

Alberto arrivò con il fumo in una mano e un pacco di accendini nell’altra.

-         Così finite di inchiappetarmeli. Furfantelli.

Chicco, già in pantofole e tuta, arrivò tenendo sotto braccio una bottiglia di Jegermaester e in mano due bottiglie, da tre litri l’una, di spumante che sembrava essere di marca.

-         Sono andato a fare un lavoro in un ristorante e avevo a due metri il magazzino. Questi sono i ricordi dell’ultimo giorno di lavoro. Li tenevo per un’occasione speciale.- Disse dando un sonoro bacio alle bottiglie.

Le donne arrivarono senza nulla di interessante, a parte le provviste, che iniziarono a sistemare diligentemente nelle mensole. In realtà le avevamo dispensate noi dall’organizzazione. Bastavamo noi maschietti.

Poi giunse il turno di Michele e fu il suo momento di gloria. Appoggiò sopra il tavolo in successione: mezza stecca di sigarette, uno speedmix, un sacchetto con l’erba dentro, una videocamera digitale, un pc portatile e due pacchi di cd, uno di album musicali e uno di film rigorosamente scaricati.

Le ragazze presero la telecamere e iniziarono a giocarci divertite. Noi maschi, invece, ci dividemmo in chi si mise a guardare il computer e chi invece iniziò a scorrere i titoli dei cd scambiandosi commenti.

Ormai erano le cinque del pomeriggio ed un film prima di mangiare ci poteva stare. Lo proposi e ci trovammo tutti d’accordo. Invece per decidere il titolo da guardare fu una vera battaglia, tra i “già visto” “fa schifo” “è bello, ma ce ne sono di meglio” alla fine si cercò di capire se si voleva vedere un film da ridere oppure no. Si optò per le risate e alla fine la spuntò Animal House.

C’era chi come me aveva già avuto l’occasione di guardarlo, ma capolavori del genere vanno visti e rivisti volentieri.

Durante la visione non riuscimmo a resistere alla tentazione dell’erba e delle birre. Eravamo di nuovo brilli, ma felici e quando il film finì uscimmo fuori a prendere una boccata d’aria buona, ed era quasi buio.

Dopo un breve consulto decidemmo di mangiare. Senza sforzi, con naturalezza, ci dividemmo tra cuochi e camerieri che cercavano di apparecchiare la tavola, dove al massimo si stava in sei, per nove. Tutti eravamo indaffarati in piccole cose, con movimenti lenti, tranquilli. Mangiammo e la stanchezza causata dal viaggio e dalle birre iniziò ad assalirci.

Carlo, visto il momento di appannamento di noi tutti, si alzò, mise la moka da dodici sul fuoco, prese il “Non ti arrabbiare” e una bottiglia di grappa. La aprì e ne bevve un sorso. Appena furono riabilitate le corde vocali dichiarò finita la cena con un sonoro rutto. Caffé, Montenegro e Carlo iniziò a preparare il gioco.

Dovevano esserci sei squadre. Ogni squadra possedeva quattro pedine che dovevano fare un immenso giro. Si muovevano a seconda del numero che risultava dal dado tirato e lo scopo era farle tornare alla partenza, ma c’erano delle complicanze. I tuoi avversari se cadevano con la pedina sopra la tua, nella stessa casella, te l’ammazzavano e dovevi farla ripartire dall’inizio. In più c’erano delle nostre regole speciali: ogni volta che morivi o portavi una pedina a casa dovevi bere e in più si beveva se ci si incazzava e non era una cosa da sottovalutare.

Le squadre si formarono senza sforzo, Alberto e Filippo con le rispettive fidanzate, io con la Valeria e tutti gli altri da soli.

Alla fine della bottiglia, il primo classificato nel gioco fu Alberto con la sua ragazza, mentre per quanto riguardava la quantità d’alcol Chicco, Carlo e Michele avevano dovuto bere uno sproposito, anche perché facevano finta di litigare per poter essere puniti, ma reggevano bene.

Erano le dieci e mezza, andammo di nuovo fuori a respirare e alcuni di noi sparirono.

La Valeria, molto provata dal viaggio, sopportava poco l’auto, andò a letto, Alberto e la sua bella non si fecero più vedere e neanche Filippo e l’Elisa.

 
 
 
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