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Post N° 44

Post n°44 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo ventesimo

 

Nessuno si era fatto ancora vivo e noi iniziammo a lavare piatti e scopare per terra.

Stavamo per finire ed eravamo vogliosi di vedere il nostro risultato per potercene compiacere che arrivarono tutti con la spesa. Borse, borsette, birre in mano già mezze bevute, scarpe sporche e sigarette accese con relativa cenere.

-         Cosa avete preso da bere di buono?- Dissi cercando di consolarmi.

-         Una decina di litri di pessimo vino rosso più un po’ di birre sponsorizzate dalle nostre ragazze preferite- disse Chicco guardando le nostre compagne di vacanze  -e tre bozze, una di gin che offro io, poi altre due che non mi ricordo.

-         Si è alzato Alberto?- Domandò Filippo.

-         No. Sai com’è?

-         Perché come sono? Chi mi cerca? Col casino che fate come si fa a dormire?- Ci sentimmo domandare da Alberto comparso all’improvviso. Lo guardammo in faccia e tutti trattenemmo le risate. Era appoggiato allo stipite della porta con fare sicuro e duro. In fronte, però, aveva scritto: “sono scemo” e il resto della faccia era ricoperto da falli disegnati e offese varie. Tutto ciò lo faceva sembrare proprio ridicolo rispetto all’atteggiamento che possedeva. -Cosa avete? Non salutate?

Ci guardammo per un nano secondo e realizzammo che non si ricordava dei scarabocchi della notte precedente, come tanti di noi, ma lui risultava l’ultimo e quindi pagava pegno. Filippo prese in mano la situazione:

-         Proprio te cercavo. Siamo tutti qui? Giusto? Volevamo informarvi delle decisioni che abbiamo preso. Anzi che siamo stati costretti a prendere. Anzi, abbiamo agito senza decidere tanto non avevamo…

-         Filippo abbiamo capito. Vai al succo.

-         …si scusa, quindi iniziamo con le brutte notizie. Con la spesa di oggi abbiamo finito i soldi, ci sono praticamente solo quelli per il gas. Da cui si deduce che si mangerà quello che abbiamo e ce lo dobbiamo gestire, e parlo soprattutto riguardo le sigarette e l’alcol.

-         Che sono l’uniche due cosa che non si mangiano. Le buone notizie?- Domandò Alberto andandosi a prendere una tazza di the avanzato.

-         Quali buone notizie? Dai che scherzo. La buona notizia è che non ci mancava nulla da mangiare e quindi abbiamo deciso di mettere tre euro a testa e comprare carne per farci una grigliata questa sera, visto che è venerdì sera.

-         E allora?

-         No niente. Era per fare qualcosa di divertente.

-         Ok. Ma io Filippo cosa centro? Perché mi volevi? Che andrei a lavarmi.- Disse Alberto appoggiando la tazza e girandosi verso la camera da letto con relativo bagno.

-         Perché tu sei risultato il miglior cuoco che abbiamo trovato fra i centinaia contattati.

-         Lo sapevo che mi incastravi. Ma dov’è la griglia e la legna? Io non ne ho viste dentro questo buco.

Io guardai Filippo e fui sicuro di pensare la stessa cosa che frullava nella sua bacata testolina. “L’avvocato”.

-         L’avvocato.- Scandì lentamente Filippo.

-         L’avvocato?

-         Si, l’avvocato.- Ribadì Filippo annuendo.

-         E che cazzo centra un avvocato?

-         Centra, fidati Alberto che centra. Se prendi la stradina qui fuori e svolti al terzo vicolo, dopo cento metri…

-         Non ti ho domandato dove sta ma cosa centra Filippo. Ti prego. Sii breve, mi metti ansia.

-         Praticamente a casa sua in un portico c’è una bellissima griglia con scorta di legna inclusa.

-         Ma possiamo?

-         E te lo diceva se non si poteva?- Dissi rispondendo alla turbata Elisa.

-         Giusto. Quindi devo cucinare. A questo punto neanche mi lavo tanto dopo puzzerò un casino. Portatemi alla griglia.

Noi tutti ci guardammo con soddisfazione e complicità, pensando alle risate che ci saremmo fatti alle sue spalle per un po’.

Prendemmo il necessario per cucinare, più una bottiglia di Coca Cola piena di vino per noi cuochi ed io, Carlo e Chicco ci avviammo seguendo Filippo e Alberto che facevano strada.

 
 
 

Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo ventunesimo

 

Trovammo il barbecue in ottimo stato. Accendemmo il fuoco per creare le braci. Chicco prese la bottiglia, assaggiò un goccio di pessimo Cabernet e lo passò a Carlo che lo imitò e sentenziò:

-         Vino in polvere. Sono sicuro.

-         Bè una volta ho trovato del vino con scritto nell’etichetta che proveniva dai colli del paese da dove viene mia mamma. Ti rendi conto?

-         E cosa c’è che non va Chicco?

-         Due cose. Primo. Io vado spesso dai nonni e non ho visto enoteche.

-         Va be’, potresti non saperlo, ma magari c’è.

-         Ed è quello che ho pensato io, ed è qui che scatta il punto due. Mi sono guardato attorno e non ho trovato i colli. Cioè a parte i cumuli delle cave e gli argini la prima cosa alta più di trenta metri sarà a sessanta chilometri. Ed è un ospedale.

-         Ma dai?

-         Non sto scherzando. Oppure hanno piantato le vigne sopra i mille condomini che hanno costruito.

-         Soluzione ecologica. Direi.

-         Cambiando discorso. Oggi è venerdì? Giusto?- Domandai.

-         Si, perché?- Mi rispose Chicco.

-         C’era la manifestazione contro la riforma.

-         Chiamarla riforma secondo me è una esagerazione.

-         E perché?

-         Perché se è una riforma non ci sarebbero proteste. Direi che è appena un adeguamento. Non c’è nulla di avanzato. Niente riguardo il futuro. Sarò antico, ma in storia quando studiavi le riforme nell’ottocento o novecento, ti dicevano che c’erano Stati che spendevano cifre folli per garantire, che ne so, la scuola a tutti. Poi quei soldi spesi sarebbero tornati tramite idee, fabbriche nuove. Le riforme della salute per garantire la salute a tutti. Per farci lavorare di più. La costituzione per garantire la democrazia. Per farci più contenti. E così via. Cose che prima non c’erano e dopo furono istituite. Ora la riforma della giustizia, per esempio, cambiano i nomi delle cose, uniscono questo a quello, ma poi funzionano? Hanno tolto le leggi che c’erano prima del fascismo?

-         Hanno abbreviato la prescrizione così non c’è il tempo di essere condannati. Così non hanno più bisogno dell’indulto.- Dissi io sconsolato.

-         Per me la riforma è una cosa radicale. Aggiungere qualcosa che prima non c’era.

-         Quindi Chicco?

-         Quindi un cazzo. Io non protesterei neanche.

-         Zero proteste? Ho sentito bene.

-         Zero. Come quelli che vanno in piazza in centinaia di milioni per protestare al centotrentacinquesimo indagato eletto in parlamento. Si doveva andare in piazza al primo. Non all’ultimo. Il popolo non può permettere che capitino certe cose.

-         Però certe proposte delle manifestazioni sono stracondivisibili.- Dissi sentendomi preso in causa.

-         Si si. Probabilmente anche tutte. Ma quello che sto dicendo non è riguardo ai contenuti, ma ai tempi. Mi capisci?

-         Si Chicco, ma tu oggi per cosa protesteresti? C’è qualcosa che oggi stanno iniziando a fare e che meriterebbe una manifestazione in piazza? Vedi c’è sicuramente, ma verrai a saperlo troppo tardi. Fidati.

-         Io invece credo che non abbiamo più le palle. Ora che sappiamo dei condannati in parlamento non dovremmo fare una manifestazione, ma occupare la piazza davanti a Montecitorio e stare lì finché non si dimettono da soli. Ma ormai non lottiamo più.

-         Sarebbe bello vedere i parlamentari chiamare i Carabinieri a manganellare gente che non vuole condannati in parlamento. Arrivano, si fanno spiegare e alla fine manganellano gli onorevoli.

-         Non credo proprio, manganellerebbero la gente- disse il nostro cuoco- e sarebbe una classica scena italiana. Polizia che pesta gente ferma li a protestare contro i condannati in parlamento, non per un miglior contratto di lavoro o cose del genere. Protestano per il bene dello Stato e vengono manganellati dalla Stato.

-         Secondo me c’è troppa gente doppiogiochista. Il dottore che fa l’intellettuale di sinistra, ma poi guai a toccargli la professione privata. L’avvocato filantropo che dopo si fa fare parcelle incredibili dagli enti pubblici. Il professore che si lamenta ed è preparato come una scimmia del Borneo.

-         Dici che è così?

-         Senti, se tutti quelli che odiano la Tav, le discariche nel proprio comune, la nuova autostrada, statale o tangenziale che sia, votassero Verdi vincerebbero. E’ che dicono una cosa, ma poi quando c’è da scegliere si toccano il portamonete e ti dicono: “a bello, tengo famiglia”.

-         Non votano Verdi perché sanno che sono come gli altri partiti, anzi forse peggio.

-         Va bè, allora pensa agli industriali, quelli che vanno in tv a lamentarsi: “non ci sono infrastrutture, la scuola non prepara gli studenti”, ma l’Iva chi la ruba? Il dipendente? Sono miliardi. Pensa che bello se per un anno tutti la pagassero. Invece guai a parlarne, anzi se li tengono ben stretti dentro Confidustria. Però il dipendente che ruba viene licenziato. Sbaglio?

-         Non credo Chicco.

-         Io ho trovato una cosa per cui protesterei a partire da oggi.- Disse Carlo.

-         Per cosa?

-         Per gli Ogm. Mi fanno paure ste cose americane tecnologiche e misteriose. Anche le sigarette facevano benissimo all’inizio. Anzi tutt’ora. E poi perché non mettere dell’uranio dentro le pallottole? Io non mi fido. E in più io la natura la lascerei stare, abbiamo già fatto abbastanza. Ci manca solo quello di contaminare le varietà, e basta anche solo una pianta, che tutto va a puttane.

-         Hai ragione Carlo.

-         O anche per la vendita delle nostre acque minerali alle multinazionali.

-         In piazza magari ci andiamo quando l’ultimo fiume si è seccato.- Rincarai.

-         Siamo così fessi che mentre tutti parlano dell’oro blu, delle guerre che ci saranno per l’acqua, noi vendiamo tutto alle multinazionali. Diventeremo come la Nigeria. Sfruttati.

-         Alt. Ricordati che siamo italiani.

La discussione continuò, mentre Filippo se ne tornò verso la casa per preparare la cucina al nostro trionfale arrivo. Io rimasi al caldo del fuoco ad ascoltare Chicco e Carlo, ormai lubrificati dal vino e quindi scatenati su qualsiasi argomento. Mi stupivano per certe loro idee, molto condivisibili, ma soprattutto per il punto di vista da cui guardavano le cose, diverso dagl’altri. Anche se certe volte esageravano punti dalla rabbia:

-         Aspetta che la nostra generazione arrivi al potere, non vivranno mica in eterno? Vedrai cosa combiniamo a quelli che c’erano prima. I nodi al pettine arrivano per tutti. Li consiglio veramente di stare attaccati alla poltrona il più possibile, perché quando ci arriviamo gli rifacciamo il culo per le feste. E vediamo se c’è tanto da sorridere in giro. Cazzo.

-         Prima dobbiamo arrivarci e stai tranquillo che ci venderemo molto prima.

-         Ah si si sono sicurissimo. Ma il culo glielo facciamo lo stesso. Saremo incazzatissimi. Non ci sarà più niente da rubare. Anche volendo. Bastardi.

Questa cattiveria mi faceva pensare, la vedevo come un sentimento positivo. La vedevo tramutarsi in determinazione e la cosa mi rendeva felice.

Alberto ascoltava silenzioso e ogni tanto li stuzzicava. Era tutto sudato in fronte e pulendosi con il dorso della mano aveva quasi cancellato le scritte. Quando iniziò a mettere i primi pezzi di carne cotti in una pentola, al caldo, capimmo che era quasi giunta l’ora e con un colpo di spugna finimmo la bottiglia di vino.

Al caldo delle braci si stava bene e si era creata un’atmosfera molto intima che ci dispiacque lasciare per andare in cucina a portare il cibo agli affamati.

 
 
 

Post N° 42

Post n°42 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo ventiduesimo

 

Ci accolsero molto ansiosi e il banchetto ebbe inizio. Una mangiata colossale anche perché le ragazze non avevano molto appetito e noi maschi dovemmo dar fondo alle nostre energie per finire il cibo.

Tutti avevano facce sazie. Quasi tutti. Carlo sembrava essere un pozzo senza fondo, anzi fondo due metri, e non è poco. Fu l’unico ad alzarsi dalla sedia per preparare il caffé. Quando Chicco sentì il gorgoglio scattò ed iniziò a rovistare dentro il frigo. Ne uscì con l’ennesima bottiglia di grappa e senza domandare il consenso a nessuno ne verso un dito sulla tazzina di ognuno. A me fece piacere ad altri meno, ma nessuno disse niente, in queste cose Chicco era più intransigente di un integralista islamico.

 

Dopo una decina di minuti di apatia Alberto e la sua fidanzata si alzarono.

-         Dove andate?

-         Andiamo fuori a vedere il paesaggio.

-         Adesso si dice così? Andiamo a vedere il paesaggio? Dio….

Di risposta ebbe solo un occhiolino della fidanzata mentre usciva dalla porta. Chicco si girò, mi guardò e poi alzando le spalle disse:

-         Si vede che si dice proprio “andiamo a vedere il paesaggio”. Io una volta lo chiamavo: andiamo a fare sesso. Sano e buon sesso. Bo’. Come cambiano i tempi.

Finì la frase riempiendo di nuovo la tazzina di grappa e dopo averla ammirata sporcarsi con i residui di caffé portò tutto dentro il suo stomaco.

-         Facciamo a gara di rutti?- Sentii dire alle mie spalle da Carlo. Non feci a tempo a preoccuparmi per le mie orecchie, che lui né mollò uno terrificante.

-         Bé. Direi che ho vinto. Ah ah.

Avremmo potuto provare di tutto per batterlo, ma il suo stomaco possedeva una capacità d’aria assurda. Si percepiva una provenienza molto profonda.

L’Elisa rimasta scioccata, prese Filippo e se lo portò in camera.

-         Ecco, mi hai mandato via le signorine. Dio ….

-         E io Chicco chi sarei?- Disse la Valeria.

-         Ah si è vero.- Rispose lui, si concentrò ed emise un rutto, scadente rispetto a Carlo.

-         Dai. Stupido.

-         Scherzavo. Sai che non posso competere con lui. Però a scoreggie….

Nessuno rise e lui capì che non era il caso. Si era seduto, ma era come se avesse un diavolo per capello. Si aprì una birra e ne bevve mezza a sorsate continue. Carlo si mise di fianco e si finì quello che era rimasto.

Andai fuori nella mia aiuola preferita a fare dei bisognini e quando tornai dentro con i brividi di freddo, trovai Michele davanti al pc intento a mostrare foto alla Valeria. Allora mi sedetti vicino a Chicco e Carlo che parlottavano.

-         E’ che non capiscono un cazzo.

-         Chi non capisce un cazzo?- Domandai incuriosito e allungando un braccio arrivai a prendere la bottiglia di grappa e tre bicchieri già usati da chissà chi.

-         Parlavamo delle carceri.

-         Cos’hanno?

-         Mi domanda cos’hanno questo qui? Ah.- Disse Chicco riempiendo i bicchieri.

-         E cos’hanno? Scusa l’ignoranza.

-         Tranquillo, facevo per scherzare. Gli stavo raccontando che ho letto da qualche parte che le carceri sono di nuovo colme. In barba all’indulto.

-         Ma dai. Già?

-         Bo’. Lo dice lui. Brindiamo?- Domandò Carlo alzando il bicchiere.

-         Ma chi è che non capisce un cazzo?- Domandai dopo la bevuta.

-         Semplice, lo Stato che si fa fregare come un pollo dagli economisti.

-         Spiegaglielo meglio Chicco.- Lo esortò Carlo mentre versava altra grappa.

-         Ti spiego: la gente finisce in galera. Ok?

-         Ok.

-         Tutti dicono che la miglior cosa per recuperare uno è farlo lavorare. Giusto?

-         Si, credo di si. Non sono afferrato in materia. Tu Carlo?

-         Neanche io.- Alzò il bicchiere e bevve imitato da noi.

-         E cosa facciamo? Gli rinchiudiamo dentro delle stanzette in sette otto, sperando poi che si redimano da soli. Uno sta chiuso per dieci anni senza fare un tubo e speriamo che dopo abbia la volontà di lavorare dieci ore di fila ogni giorno. Logico che torna a rubare. In più andiamo a portare le fabbriche in Cina o in Birmania finanziando i regimi. Sempre tenendo a casa nostra migliaia di persone ferme dentro una stanza. Senza contare, oltretutto, che dovete spigarmi che cazzo ci fanno i drogati in galera. Pensavo che i malati finissero in ospedale? E sai chi l’ha deciso?

-         No.

-         Gli economisti. Perché se no non è libero mercato o cazzate varie. Lo Stato non può salvare un’azienda privata, però quando c’è la recessione deve immettere liquidità, senza salvare posti di lavoro, ma dando i soldi direttamente alle banche. Poverine hanno un buco.

-         Si saranno dimenticati che anche gli operai hanno un buco, anzi più di uno.

-         Uno sicuramente lo sanno che ce l’hanno. E non sto a dirti quale.- Disse versando nei tre bicchieri ancora grappa e finendo così la bottiglia.

-         Si. Effettivamente hai ragione.- Dissi bevendo.

Loro due si alzarono per fare la pipì. Io invece non mi sentivo molto bene. Mi guardai in giro spaesato in cerca di aiuto o di compassione, ma gli unici a condividere con me il fumo passivo della stanza erano Michele e la Valeria, ancora davanti al portatile.

 
 
 

Post N° 41

Post n°41 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo ventitreesimo

 

I due amici ritornarono e decisero di cucinare una pasta. Ricavammo dello spazio nella tavola e mangiammo con la Valeria che ci guardava incredula.

-         Perché ci guardi. Se vuoi ne abbiamo fatta in più.

-         Sei fuori? Vi guardo perché non è normale mangiare la pasta alle due.

-         Valeria, io faccio sempre lo spuntino delle due. Dio….

Chicco aveva ripreso energia e finito il pasto si riempì il bicchiere di vino.

-         Il medico mi ha detto: “un bicchiere a pasto. Mi raccomando”.

Filippo, probabilmente incuriosito dal rumore, uscì dalla camera da letto. Aveva la faccia di uno che si era appena svegliato, com’era probabile che fosse.

-         Buon giorno. Fatto tutto?- Domandò Chicco battendogli una mano sulla spalla.

-         Sei sempre così romantico. Ho preso sonno. Avete fatto un casino. Cosa state facendo?

-         Pasta. Vuoi?- Domandai.

-         Sembra invitante.

-         Oddio, ma ci vuole coraggio.- Esclamò la Valeria.

Filippo ci guardò e guardò il piatto.

-         Ci avete sputato dentro?

-         Cazzo stai dicendo?

-         Perché lei ha detto “oddio ci vuole coraggio”? Coraggio per cosa?- Domandò indicando la Valeria.

-         Oh mamma. Che paranoico.- Dissi sbattendo la testa sulla tavola.

-         Ho detto “oddio ci vuole coraggio” solo perché secondo me ci vuole coraggio per mangiare un piatto di pasta nel cuore della notte e dopo il popò di cena di oggi. Vomiterei.

-         Non mi fido.- Girò la testa guardandoci ansioso di risposte.

-         Guarda, ora mangiamo una forchettata tutti e tre. Io non la mangerei mai con lo sputo corrosivo di loro due, e credo che la cosa sia ricambiata.

-         D’accordo.

-         Condivido. Anche perché ho ancora fame.- Disse Carlo.

-         Inizio a fidarmi.

Prendemmo una forchettata a testa e la mangiammo di gusto.

-         Scusate, ma vi conosco.- Disse dopo averci visto deglutire.

Chicco riempì il suo bicchiere di vino e glielo mise davanti. Poi ne raccattò un altro, già usato da qualcun’altro durante la cena, e senza tanti preamboli ci versò dentro altro vino. Brindò con Filippo e bevve.

-         Passatemi le carte. Chi gioca?

-         Non ciò voglia Chicco.

-         Non a scopone. E tranquillo Carlo, si beve a questo gioco.

-         Allora gioco. Spiega.

-         Io distribuisco un numero uguale di carte a testa. Ci si mette in cerchio e senza guardarle, uno alla volta, scoprì la prima carta del tuo mazzo mettendola nel centro del tavolo e dicendo, il primo “uno”, il secondo “due” e appoggia una carta girandola, il terzo “tre” e così via. La volta che la carta scoperta è uguale al numero che viene detto bisogna battere tutti sul mazzo. Chi batte per ultimo si prende tutto il mazzo e beve un bicchiere di vino. Tipo merda. Al dieci si ricomincia da capo.

-         Ho capito.

Iniziammo ad appoggiare in giro per la cucina tutte le cose che erano sopra al tavolo, per fare spazio, e ci sedemmo.

La Valeria e Michele si unirono a noi incuriositi e Carlo distribuì un numero quasi uguale di carte a testa.

Il primo giro fu di prova, quindi senza pegni. Poi si iniziò a fare sul serio. Il gioco era veloce, capitava spesso l’agognata coincidenza fra la voce e la carta corrispondente e il vino fece i suoi effetti.

La Valeria era ubriachissima. Non si rendeva conto dei suoi gesti e l’anima pia di Michele la trascinò a letto.

Erano quasi le cinque e sentimmo bussare. Carlo barcollando si alzò ed aprì la porta. Entrarono Alberto e la fidanzata, belli rilassati. Lui ci guardò con sguardo cattivo.

-         Cosa c’è?

-         Le scritte in faccia? E’?

-         Onesto.

Ce ne eravamo completamente dimenticati.

-         Mi sono pulito nella fontana davanti alla Chiesa.

Partì una risata collettiva. Stava ancora echeggiando che arrivò come un fulmine l’Elisa in mutande e maglietta.

-         La Valeria sta vomitando a letto.- Ci informò preoccupata.

-         Onestissimo.

Tutti accorremmo in camera e senza stare tanto a guardare la scena la portammo in bagno. Eravamo degli esperti. Alberto e la sua fidanzata misero sul fuoco una pentola di acqua, mentre l’Elisa le teneva la testa sopra la tazza del water dicendole di stare tranquilla. Carlo, Chicco e Michele si misero a raccogliere le lenzuola e le buttarono nel bidet. Aprendo un rivoletto d’acqua. La Valeria vomitò ancora due tre volte, poi arrivò il thé zuccheratissimo con un limone intero spremuto dentro. Cosa che gli fece venire un altro conato. Sicuramente l’ultimo vedendo gli sforzi. Poi l’Elisa iniziò a cambiarla e arrivò altro thé, ancora molto zuccherato, ma senza il limone. Lei apprezzò e iniziò a scusarsi. La portammo a letto e in meno di un minuto riprese sonno.

Tutti noi ci sentivamo distrutti fisicamente, ci girammo una canna e uscimmo a fumarla. Nessuno aveva molta voglia di parlare anche perché quei minuti, un minimo concitati, ci avevano esaurito le energie e, cosa peggiore, ci avevano fatto sparire la bomba alcolica che con tanta fatica eravamo riusciti a raggiungere.

Finito il cannone ci avviammo verso casa, un ultimo sguardo alla luce nascente ed un pensiero mi riecheggiò in testa, mentre chiudevo la porta e mi avviavo a letto, “Ancora giorno”.

 
 
 

Post N° 40

Post n°40 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

SABATO

 

Capitolo ventiquattresimo

 

Il risveglio fu lento. Aprii gli occhi e rimasi supino a gustarmi il caldo delle lenzuola. Il torpore e l’assenza di una qualsiasi volontà mi fecero cadere in uno stato di dormiveglia. Non avevo la percezione del tempo e ogni volta che riaprivo le palpebre poteva essere passato un minuto o un’ora. Questo stato di incoscienza si interruppe quando il mio corpo iniziò a rifiutarsi di rimanere disteso, imbavagliato dalle lenzuola. Iniziai a cambiare posizione in modo sistematico finché non decisi di alzarmi.

Andai in bagno per espellere i miei bisogni in santa pace e per lavarmi un po’. Dopo la pulizia personale indossai una vecchia tuta e mi avviai in cucina.

Con molta sorpresa ci trovai Carlo.

Seduto e con lo sguardo fisso verso la porta aperta. Non mi degnò di una qualsiasi reazione muscolare e rimase lì, immobile, immerso nei suoi pensieri.

Feci finta di nulla, preparai un caffé e finché attendevo girai una canna. Chiusi la cartina con la saliva e la moka iniziò a gorgogliare.

Posizionai una sedia vicino a quella del mio amico silenzioso ed iniziai a sorseggiare la bevanda fumando la canna. Arrivato a metà cercai di passarla a Carlo, ma lui non la vide finché non gliela misi davanti agli occhi.

Allora si animò, prese la canna e la consumò con cattiveria, emettendo uno sbuffo di fumo solo dopo tre quattro aspirate. In trenta secondi la finì, la buttò dentro la mia tazzina vuota e ricominciò a fissare fuori.

Ero sconcertato.

-         Guarda che se vuoi, ma proprio se vuoi, puoi uscire dalla porta. Non occorre fissarla in quel modo.

-         E che cazzo. Non starò mica a guardare te.

-         Ho capito. Siamo di buon umore. Come tutte le mattine. Non parlo più.- Mi accomodai meglio sulla sedia, in attesa di un evento che attirasse la mia attenzione.

-         La Valeria? Ti schizza ancora addosso?

-         Cacchio. L’emisfero destro del cervello aveva scommesso con quello sinistro che non avresti più parlato, ha appena perso cinquanta euro. Comunque no, non mi schizza più addosso. Lo intortata un po’.

-         Bene.

Ritornò il silenzio. Dalla porta aperta entrava un piccolo soffio d’aria fredda che ci toglieva la voglia di uscire. Anzi ci stimolava nel rinchiuderci in noi stessi, apprezzando il caldo delle mani strette attorno alla tazzina ancora tiepida.

Ero immerso in pensieri felici quando sentimmo qualcuno entrare in cucina, ma nessuno di noi due si girò a guardare il nuovo arrivato. Solo dopo averci domandò cosa cavolo stessimo facendo fermi immobili, riconoscemmo la voce dell’Elisa.

-         Niente stavamo cercando di chiudere la porta con il pensiero.- Le rispose Carlo.

-         Dai stupidi.

-         Non riusciamo più a stare a letto.- Dissi io sconsolato.

-         Anch’io.- Ammise lei tristemente.

Il suo arrivo mi attivò e in vena di buone azioni le preparai la colazione.

Finito il pasto ci ritrovammo tutti e tre intenti a guardarci negli occhi. Carlo allora si allungò e senza alzarsi riuscì a prendere il portatile. Poi raggiunse il raccoglitore di cd da cui ne prese uno, a caso. Non ci comunicò nemmeno il titolo. Speravo non fosse nulla né di troppo triste, né di troppo stupido. Le mie preoccupazioni svanirono al primo fotogramma, era “Blow”.

Un film a mio avviso ben fatto e recitato, ma l’avevo già visto un po’ di volte e lo guardai con distrazione, anche perché, pian piano, altri dormiglioni ci raggiunsero in cucina per la colazione finendo col unirsi a noi nella visione.

Quando il film finì, il primo senza una birra stappata, quasi tutti si erano svegliati. A letto rimanevano Filippo e Alberto e nessuno aveva dubbi col fatto che li avremmo rivisti soltanto fra qualche oretta.

Dopo un consulto generale decidemmo di mettere una pentola d’acqua sul fuoco per la pasta. Preparano tutto le ragazze che pulirono giusto sette piatti e sette forchette.

Nessuno aveva lavato le stoviglie dalla sera precedente.

-         Sia chiaro che noi abbiamo fatto da mangiare, ma qualcun altro dovrà pulire.

-         Chiaro. Stai parlando dei dormiglioni vero Elisa?

-         No di te Carlo. Loro neanche mangiano.

-         Ok, però tu butti la pasta per nove persone.

-         A me va benissimo, mica sono la tua dietologa.

Mangiammo e poi le ragazze girata una canna se ne uscirono a fumarla prendendo uno spiraglio di sole.

 
 
 
 
 

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