LA CITTA’ COME ARMA MILITARE

Post n°133 pubblicato il 07 Agosto 2006 da takagika
 
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“La stessa città è storicamente un’arma militare, uno scudo collettivo o un’armatura, un’estensione del castello della nostra pelle. L’agglomerato urbano è stato preceduto dalla fase del cacciatore e del raccoglitore di cibo, e oggi, nell’era elettrica, gli uomini sono tornati, psichicamente e socialmente, a condizioni di nomadi. Solo che adesso si parla di raccolta di informazioni e di elaborazione di dati. Ma è un fatto universale, che ignora e supera la forma della città la quale ci appare di conseguenza parecchio antiquata. Con la tecnologia elettrica istantanea, il mondo non può più essere altro che un villaggio, e la città stessa, come forma di dimensioni maggiori, deve inevitabilmente svanire come in una dissolvenza cinematografica. La prima circumnavigazione del globo diede agli uomini del Rinascimento la sensazione assolutamente nuova di abbracciare e possedere la terra, nello stesso modo in cui gli astronauti hanno recentemente modificato ancora una volta i rapporti tra uomo e pianeta, riducendo le dimensioni di quest’ultimo ai limiti di una passeggiatina serale. (…) La città, come la nave, è un’estensione collettiva del castello della nostra pelle, come l’ambito è un’estensione della nostra pelle individuale.

(M.MCLuhan “Gli strumenti del comunicare” Garzanti, 1964)

 
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IL MONDO RIDOTTO AD UN VILLAGGIO

Post n°132 pubblicato il 07 Agosto 2006 da takagika
 
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“Il teatro dell’assurdo trascrive in forma drammatica questo recente dilemma dell’uomo occidentale, dell’uomo d’azione che appare come estraniato rispetto all’azione stessa. (…) Dopo 3000 anni di espansione in ogni settore e di crescente alienazione specializzata nelle innumerevoli estensioni tecnologiche del corpo umano e delle sue funzioni, il nostro mondo, con drammatico rovesciamento di prospettive, si è ora improvvisamente contratto.

L’elettricità ha ridotto il globo a poco più di un villaggio e, riunendo con repentina implosione tutte le funzioni sociali e politiche, ha intensificato in misura straordinaria la consapevolezza della responsabilità umana. (…) Non è più possibile contenere politicamente questi gruppi sociali entro limiti determinati; essi sono ora, grazie ai media elettrici, coinvolti nella nostra vita, come noi nella loro. E l’età dell’angoscia dovuta a un processo d’accentramento che impone la partecipazione e impegno, indipendentemente da qualsiasi specifico “punto di vista”.

(M.MCLuhan “Gli strumenti del comunicare” Garzanti, 1964, ediz. 1985)

 
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AZUMA, IL KAMIKAZE CHE SI FECE SCULTORE

Post n°131 pubblicato il 02 Agosto 2006 da takagika
 
Tag: Storia
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Ha 30 anni Kengiro ma ha avuto una vita intensissima. A 17 ha lasciato il liceo, entra i Marina: corsi per piloti di aerei siluranti che, finiti i siluri, si trasformano in kamikaze. Gli insegnano che l'imperatore è un dio per il quale è un onore immolarsi. Con altri volontari, Azuma ha un addestramento speciale; poi viene destinato a Okinawa, nelle Filippine. "Il mio amico più caro si chiama Toshio Hida - racconterà - Siamo sovraeccitati da quello che ci inculcano: è comprensibile a 19 anni. Il calendario decide le partenza dei kamikaze. Per evitare rimensamenti viene fornito il carburante per la sola andata. A toshio tocca di partire una settimana prima di me Quattro giorni dopo il suo sacrificio la guerra finisce. Sono disorientato, mi sento vuoto dentro. E non ho più fede in nulla. L'imperatore non è un dio ma uno come noi (...)".

Sebastiano Grasso da Il Corriere della Sera del 2 agosto 2006

 
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Post N° 130

Post n°130 pubblicato il 02 Agosto 2006 da takagika
 
Tag: Storia

"Mentre la storia per un certo periodo può essere scritta dai vincitori, che per un po' se la tengono stretta, essa non si lascia mai governare a lungo."

Reinhart Koselleck  

 
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Parte 3 - GLI ESSERI DEL BUIO

Post n°129 pubblicato il 26 Giugno 2006 da takagika
 

Una magia antica aleggiava ancora sulla terra. Prima ancora degli albori del mondo esseri antropomorfi vivevano e morivano in base a leggi naturali ormai perdute negli eoni del tempo. Poi erano arrivati gli uomini e l'evoluzione lenta ma inesorabile li aveva portati al predominio su tutto quello che allora li circondava. I loro utensili le loro armi dapprima rozze come le clave o le selci di pietra erano cresciute con loro arrivando a forgiare lame per il lavoro dela terra come le falci e gli aratri e buone per la guerra come le spade e i pugnali. Forti di questa tecnologia rozza ma efficace gli uomini erano cresciuti tanto da non ricordare se non nelle loro superstizioni gli antichi nemici costretti ormai al buio e alle tenebre. I pochi sopravvissuti di quella inumanità appena accennata e inespressa avevano  trovato rifugio sotto la superficie della terra in antri e caverne e il buio era diventato il loro regno. Ancora oggi quando le tenebre calavano sul mondo gli esseri trovavano il coraggio di uscire dalle loro tane e di affrontare coloro che si erano avventurati nell'oscurità o ancora meglio vi si erano perduti. Ormai accecati dalla luce del sole gli esseri non potevano competere nemmeno con un bambino armato di bastone ma in assenza di luce mantenevano la loro micidiale pericolosità, artigli affilati e zanne taglienti capaci di spegnere una vita con discreta facilità. E allora quando un pastore o un contadino sorpreso dal buio fuori dal proprio villaggio scompariva senza lasciare traccia o, più raramente, veniva ritrovato al mattino orrendamente assassinato, si tornava a parlare di loro chiamandoli in molti modi. Le streghe e gli sciamani dei villaggi si tramandavo litanie e scongiuri per tenerli lontani dalle case ma anche tra questi erano veramente pochi quelli che li conoscevano davvero. Era difficilissimo vederli e chi c'era riuscito spesso molto spesso non aveva avuto tanta fortuna da sopravvivere e da poterlo raccontare. E gli esseri delle tenebre vivevano ancora. Gli accessi al loro regno erano perfettamente nascosti mimetizzati nelle campagne e nelle foreste più fitte e solo in rari casi, laddove la memoria degli uomini aveva perpetrato il ricordo di loro qualcuno nei secoli passati aveva lasciato un segno a monito di chi viveva in quelle zone.

La collina era uno di quei luoghi. Su quell'erba una notte ormai perduta nel tempo guerrieri armati di lame di bronzo e di clave avevano affrontato l'orda oscura di quei mostri massacrandoli. I pochi superstiti avevano trovato un estremo rifugio nelle cavità sotterranee della valle il cui accesso principale si apriva proprio sull'altura. E l'accesso era stato chiuso da un massiccio dolmen. Le rune sulla roccia erano incantesimi antichi tracciati per esorcizzare quell'oscuro male. Ma in realtà quello che teneva lontani gli esseri erano la luce del sole, il ferro delle spade degli uomini ma soprattutto il loro stesso isolamento. Per questo gli abitanti della valle si tenevano alla larga dalla collina. Non volevano disturbare i suoi oscuri abitanti con le loro voci e i loro stessi passi attirandoli magari per un ultima volta all'aperto di un mondo che a loro ormai doveva essere precluso per sempre. Una verità sconosciuta ai guerrieri che ora bevevano vino e affilavano le spade alla luce dei fuochi accesi tutti intorno alla roccia sul colle e che ignari stavano per lasciarsi andare al sonno della notte.

Epilogo

Nessuno vide quello che accadde nella notte intorno al tumulo... al mattino due giovani cacciatori che si erano avventurati nella valle trovarono solo quella donna dall'età indefinita i capelli imbiancati terrorizzata e balbettante. Indicava in maniera confusa la piccola collina piangendo e graffiandosi il viso. Quando i cacciatori arrivarono sul posto trovarono le armi sparpagliate sul terreno, i segni di un fuoco di bivacco ancora caldo e un dolmen nero ricoperto di sangue.

"Sappi viandante che fummo valorosi guerrieri

combattemmo nostri pari con coraggio e ardore

ma qui vittime delle nostre stesse più riposte paure

morimmo... tutti".

 
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