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Capitolo 4

Post n°10 pubblicato il 16 Agosto 2005 da antislamico
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Islam e diritti umani

Una delle differenze che caratterizza la visione dell´islàm e quella dell´Occidente è senz´altro il tema dei diritti umani.

Il quadro generale

Il documento conclusivo della Conferenza mondiale sui diritti dell´uomo, organizzata dalle Nazioni Unite a Vienna nel giugno 1993, ribadisce il valore universale dei diritti previsti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo del 1948 e dalle successive Convenzioni internazionali. Anche il segretario generale dell´ONU Kofi Annan, partecipando nel novembre 1997 a Teheran alla riunione dell´Organizzazione della Conferenza Islamica, organismo internazionale al quale aderiscono gli Stati musulmani, affermò che non ha senso parlare di diritti islamici dell´uomo, perché i diritti umani in quanto tali non possono che essere universali. Queste prese di posizione sono tese a contrastare le posizioni contrarie assunte da alcuni Stati asiatici e da molti Stati musulmani.

Infatti nella Conferenza regionale sui diritti dell´uomo organizzata dagli Stati asiatici nel marzo 1993, in vista di quella generale di Vienna, fu riaffermato il carattere "occidentale" dei diritti umani espressi nelle Dichiarazioni internazionali, opponendo ad essi i "valori asiatici" come valori propri delle culture dell´Asia, le quali sarebbero strutturate secondo una diversa gerarchia etica e una diversa visione del rapporto tra individuo e comunità, tra diritti individuali e doveri verso la comunità. Sul piano politico questa posizione è utilizzata da alcuni Governi, soprattutto del Sud-est asiatico, per giustificare prassi politiche e legislative in contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo. Il ricorso alla differenza culturale viene utilizzato soprattutto per giustificare la preminenza nella scala gerarchica del "diritto allo sviluppo" della propria società rispetto ai diritti civili, politici e sociali dei singoli individui. A Vienna tale posizione fu assunta anche da alcuni Stati musulmani e africani, tanto che il ministro saudita degli Affari esteri affermò che, per i musulmani, i diritti umani possono essere desunti soltanto dalla shari´a (legge islamica).

Questi fatti mostrano che si è andata sviluppando una politicizzazione dei diritti umani, considerati da alcuni Paesi non occidentali come una nuova modalità di espressione dell´imperialismo occidentale. "Facendo pressione sugli altri Stati perché applichino i diritti umani al loro interno, l´Occidente tenterebbe di imporre loro il proprio modello politico, sociale ed economico, rallentando fra l´altro lo sviluppo economico di tali Paesi  tramite l´imposizione di standard di diritti civili, sociali e politici per gli individui, che implicano più alti costi  e mantenendo quindi il proprio predominio internazionale. Osservatori locali sostengono però che la rivendicazione delle proprie specificità culturali da parte dei Governi non occidentali sarebbe in primo luogo strumentale a giustificare il mantenimento di prassi politiche autoritarie e di prassi legislative non congruenti con i diritti dell´uomo nei diversi settori per motivi di pura convenienza politica ed economica delle classi al potere".

L´islàm e i diritti umani

Il dibattito sui diritti umani e sulla specificità culturale islamica presenta caratteristiche proprie. Infatti già nel 1948 l´Arabia Saudita non firmò la Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo, ritenendola per molti aspetti in contrasto con l´islàm. Anche l´Egitto e altri Paesi arabi espressero riserve riguardo agli articoli relativi alla libertà di religione e di coscienza e alla libertà di matrimonio indipendentemente dall´appartenenza religiosa, sulla base del fatto che erano in contrasto con la shari´a. Infatti, a causa della necessità, nei Paesi islamici, della stretta congruenza della prassi giuridica e politica con il dato religioso, sorgono alcuni interrogativi circa l´accettazione piena dei diritti umani.

Una domanda cruciale riguarda il fondamento del diritto: nelle Dichiarazioni internazionali il fondamento del diritto è rappresentato dall´uomo, dotato di prerogative e diritti che derivano dal suo stesso essere uomo; nel diritto musulmano il fondamento del diritto è Dio, nel senso che Dio è soggetto ultimo dei diritti, cui corrispondono doveri da parte dell´uomo, e nel senso che la volontà di Dio, espressa nel Corano e nella sunna, determina diritti e doveri reciproci tra gli uomini. Nella visione islamica l´uomo ha certamente una grande dignità, che la dottrina islamica esprime con il concetto di hal_fa (l´uomo come luogotenente o vicereggente di Dio sulla terra). Tale dignità gli è conferita da Dio, che ne stabilisce l´estensione, le prerogative e le regole. Nella visione islamica quindi la volontà di Dio riguardo all´uomo si esprime nel Corano e nella sunna, e da queste due fonti principali viene poi ulteriormente specificata nella shari´a, il corpus del diritto islamico attraverso il quale il volere divino trova concreta applicazione nell´ordine sociale e che quindi è superiore a qualsiasi altra legge.

I contrasti diventano allora difficilmente superabili quando alle esigenze dei diritti universali dell´uomo si oppongono le prescrizioni divine considerate immutabili. Fra l´altro i contrasti, a livello di diritti specifici, sono inevitabili perché i diritti universali dell´uomo si rifanno ai due concetti fondamentali dell´uguaglianza di tutti gli esseri umani e della loro uguale libertà, mentre il diritto musulmano classico si articola invece sulla base di tre fondamentali relazioni di disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, tra libero e schiavo. Quest´ultimo punto è oggi generalmente considerato superato dai giuristi e dagli intellettuali musulmani; essi infatti lo prendono spesso in considerazione nei loro scritti sui diritti umani per mostrare come l´islàm, legiferando sulla schiavitù, abbia migliorato la condizione degli schiavi e abbia aperto la strada al superamento dell´istituto schiavistico. È interessante poi notare che, in questo caso, viene applicata in modo generale una lettura "finalistica" dei testi dottrinali e giuridici: l´intenzione ultima del legislatore sarebbe cioè quella di abolire la schiavitù attraverso un itinerario giuridico e sociale progressivo. Oggi quindi nessuno sosterrebbe che bisogna mantenere l´istituto della schiavitù perché lo prevede la shari´a. Rimangono aperti invece i problemi causati dalla disuguaglianza tra uomo e donna e da quella tra musulmano e non musulmano, così come è ancora aperto il problema di fondo: se cioè il soggetto pieno dei diritti sia l´uomo inteso come essere umano o come musulmano.

Il dibattito tra i musulmani

Nel dibattito esistente nel mondo musulmano a proposito dei diritti umani è possibile distinguere, a grandi linee, tre posizioni: quella conservatrice, quella pragmatica e quella riformista.

La tendenza conservatrice

Essa mantiene la propria fedeltà di fondo alla visione islamica tradizionale del diritto ed è quindi critica riguardo ai diritti umani delle Dichiarazioni internazionali, ai quali oppone i diritti dell´uomo nell´islàm, i quali, a partire dagli anni Ottanta, sono affermati in apposite Dichiarazioni islamiche. "L´elaborazione di queste Dichiarazioni è significativa per due motivi: da un lato mostra l´influenza che il dibattito internazionale sui diritti dell´uomo ha avuto in ambito musulmano, tanto da far emergere l´esigenza di codificare in qualche modo i diritti dell´uomo; d´altro lato mostra anche le difficoltà di aderire a diritti umani universalmente condivisi, perché l´ambiente culturale di riferimento in tali Dichiarazioni è esclusivamente quello musulmano". Di qui la difficoltà di accettare pienamente i diritti umani e di tradurli in concrete prassi giuridiche nelle società musulmane, poiché il loro carattere ugualitario li pone in contrasto con quanto previsto dalla shari´a.

Ad esempio, nel Memorandum inviato dal Governo dell´Arabia Saudita nel 1970 in risposta a una richiesta ufficiale delle Nazioni Unite riguardante la situazione dei diritti umani nel Regno saudita, fra l´altro, si ribadisce il rifiuto ad ammettere il matrimonio della donna musulmana con il non musulmano, quello ad ammettere la possibilità per il musulmano di cambiare religione, cioè a riconoscere il diritto alla libertà di coscienza, e quello ad ammettere la liceità dei sindacati per i lavoratori. Dopo il Memorandum, nel mondo islamico iniziò una nutrita discussione sui diritti umani, che condusse, fra l´altro, alla Dichiarazione del Cairo dei diritti dell´uomo nell´islàm (agosto 1990), la quale avrebbe dovuto essere approvata dai capi di Stato dell´Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) nel dicembre 1991, cosa che invece non avvenne. La Dichiarazione perciò non è un testo di valore giuridico internazionale. D´altronde essa ha sempre la shari´a, interpretata in modo tradizionale, come criterio di riferimento per stabilire diritti e doveri.

In conclusione sembra emergere qualche voce isolata, soprattutto nei movimenti islamisti, che, a partire da problemi concreti come il diritto di cittadinanza egualitario per i non musulmani, considera non soddisfacenti le soluzioni tradizionali. "Se queste posizioni, per ora isolate, possono fare sorgere l´esigenza in ambito islamista di una più generale reinterpretazione della shari´a  , è però ancora dubbio, anche perché le correnti islamiste maggioritarie   non richiedono nuove interpretazioni dell´islam e della shari´a, bensì l´applicazione integrale di quest´ultima".

La tendenza pragmatica

Essa è rappresentata dalla prassi giuridica di alcuni Stati musulmani che hanno introdotto alcune innovazioni rispetto al diritto musulmano classico, manifestando così un progresso nella ricezione dei diritti umani all´interno della propria legislazione. È il caso, ad esempio, delle norme di diritto familiare introdotte nei Paesi dell´Africa del Nord, nelle quali si è cercato di tutelare la donna rispetto al matrimonio poligamico o rispetto al ripudio unilaterale da parte dell´uomo o riguardo alla libertà della donna nell´esprimere la sua volontà di contrarre matrimonio. La tutela varia da Paese a Paese: ad esempio, in Tunisia è stata introdotta la parità dei diritti e dei doveri dei coniugi nel matrimonio, con l´eccezione del diritto ereditario e del matrimonio tra membri di diverse religioni, ai quali si continuano ad applicare le norme della shari´a. Più limitate sono state le riforme in Algeria, nella quale è ammessa la clausola di monogamia al matrimonio, e, se essa viene infranta, la donna ha diritto di chiedere il divorzio; inoltre il ripudio, da parte dell´uomo, può essere dichiarato soltanto con sentenza del tribunale.

Anche nel caso dei non musulmani cittadini di uno Stato musulmano, in genere, si è superato il diritto classico, dichiarandone la cittadinanza egualitaria. Nessuno Stato musulmano però ha concesso parità di trattamento tra musulmani e membri di altre confessioni religiose nell´ambito del diritto di famiglia. Il limite della tendenza pragmatica in fondo sta nel fatto che essa non affronta criticamente la sfida culturale di una nuova interpretazione del diritto musulmano, per cui i suoi risultati possono essere messi in discussione, ad esempio, dai tentativi di reislamizzazione. In ogni caso la mancata approvazione da parte dei capi di Stato dell´OCI della Dichiarazione del Cairo dei diritti dell´uomo nell´islàm, la quale rimaneva strettamente legata alla shari´a interpretata tradizionalmente, è il segno che c´è una diversità di posizioni tra i Paesi islamici. Una conferma viene dalla Carta araba dei diritti dell´uomo, approvata dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi il 15 settembre 1994. Essa è espressione diretta non dell´islàm, ma del nazionalismo arabo. Nel documento infatti, tranne che nel preambolo, non c´è alcun riferimento né all´islàm né alla shari´a. L´obiettivo del nazionalismo arabo, sorto a fine Ottocento ed entrato in crisi negli anni Settanta del Novecento, è stato la costruzione di un modello di Stato tendenzialmente laico, di ispirazione liberale o socialista. Nella Carta sono date risposte alle preoccupazioni delle organizzazioni di difesa dei diritti umani. Non bisogna comunque dimenticare che la Carta non è mai stata recepita dai singoli Stati e non ha valore guiridico.

La tendenza riformista

Di essa fanno parte soprattutto intellettuali musulmani riformisti, i quali sostengono che bisogna realizzare una nuova interpretazione dell´islàm affinché la dottrina giuridica musulmana e lo stesso islàm si pongano in dialogo con la modernità. Secondo questi intellettuali i diritti umani non possono essere semplicemente integrati nel quadro giuridico musulmano tradizionale, né è sufficiente un adattamento puramente pragmatico. Essi sono persuasi che nell´islàm siano presenti valori che permettono di radicare al suo interno i diritti universali dell´uomo e di riconoscerli come parte del proprio patrimonio etico. Sono varie le prospettive e i concetti di base da cui partono i singoli autori per elaborare le nuove interpretazioni.

Ad esempio, Mohamed Talbi pone la libertà di coscienza come centro della sua riflessione: approfondendo l´esegesi del Corano egli mostra che la libertà di coscienza è un diritto costitutivo inalienabile della dignità dell´uomo, fondamento di tutti gli altri diritti e libertà. Secondo lui la libertà di coscienza è non solo in sintonia con l´islàm, ma costituisce addirittura il dato fondamentale della visione antropologica proposta dal Corano. Quindi egli esamina criticamente la storia musulmana e le società islamiche attuali, nelle quali le libertà fondamentali hanno uno spazio ridotto, e considera questa deficienza di libertà la principale causa del loro declino storico e delle loro difficoltà attuali. Tutte le limitazioni, anche quelle poste dalla shari´a, alla libertà e ai diritti umani sono frutto di una concezione sociale e politica dell´islàm propria di altre epoche, in cui la comunità religiosa era identificata con la comunità politica. Secondo Talbi questa visione non appartiene al fondamento dell´islàm, ma è dovuta a circostanze storiche determinate del passato. Egli propone come metodo interpretativo per rinnovare la cultura islamica quello della lettura "finalista" del Corano: si tratta cioè di leggere il Corano nel contesto storico del tempo in cui fu rivelato e di coglierne le intenzioni rispetto a quel contesto. Una volta conosciuta la reale intenzione del Corano, essa può essere applicata alle circostanze attuali in modo creativo.

Su una linea simile si pone Muhammad Al-Asmawi quando, da una prospettiva più strettamente giuridica, propone di tornare al significato etimologico di shari´a (che significa "via") per svincolarsi dall´apparato giuridico medievale in cui si è storicamente concretizzata. Questo metodo permette di identificare i princìpi e le intenzioni fondamentali delle fonti islamiche originarie, lette nel loro contesto, aprendo la possibilità di nuove interpretazioni.

Abdullahi an-Na´im compie un ulteriore passo in avanti: strenuo difensore dei diritti umani e convinto sostenitore che la shari´a tradizionale sia in forte contraddizione con essi, egli propone una rilettura delle fonti religiose islamiche adottando non solo il metodo storico-critico nell´interpretazione dei vari passi, ma fondandola su una opzione generale di fondo, desunta dall´applicazione di tale metodo al Corano in quanto tale. Secondo le indicazioni del suo maestro Mahmud M. Taha, an-Na´im sostiene che la rivelazione coranica, distinta nei due periodi della Mecca e di Medina, propone, nelle due fasi, insegnamenti e dottrine di diverso valore religioso. Al periodo della Mecca appartiene la rivelazione religiosa e profetica in senso stretto, che ha valore perenne, anche se dev´essere comunque interpretata per la sua attualizzazione. Al periodo di Medina appartengono invece indicazioni più contingenti, relative alla comunità musulmana di quel tempo, che, secondo an-Na´im, non possono essere applicate automaticamente oggi e che invece possono essere superate e abrogate alla luce delle affermazioni del periodo della Mecca.

Egli infatti si rifà a un noto metodo di interpretazione del testo coranico, quello della selezione di alcuni versetti del Corano al posto di altri, che vengono abrogati dai primi. Si tratta di un tipo di esegesi tradizionale nell´islàm: quando c´è una contraddizione fra i versetti del Corano, si ritiene che i versetti successivi abroghino le indicazioni date da quelli storicamente precedenti, quasi che nel Corano vi sia una sorta di rivelazione progressiva. An-Na´im invece propone di selezionare i versetti più aperti ai diritti dell´uomo Ñ che sono di solito i princìpi espressi dalla rivelazione più antica, quella della Mecca  e di considerarli normativi rispetto a quelli successivi, relativi a situazioni più contingenti.

L´elemento comune agli intellettuali appartenenti alla tendenza riformista è innanzitutto l´adesione personale all´islàm come cultura e come religione. Essi rimangono all´interno di una prospettiva religiosa specifica, che vogliono però aprire alla modernità e al pluralismo, convinti, così facendo, di trovare l´essenza del vero islàm. Rimangono perciò diffidenti nei confronti di una visione puramente contrattualistica del diritto e anche del concetto di diritto naturale, tipiche dell´impostazione occidentale: di per sé il diritto rimane rivelato da Dio, secondo la tradizione musulmana più consolidata, almeno nei suoi princìpi e nelle sue intenzioni fondamentali. Tuttavia l´interpretazione dei testi prende in considerazione l´influenza della storia e la necessità dell´attualizzazione creativa, in sintonia con i diritti universali dell´uomo, che essi fanno propri mostrandone la piena convergenza con i princìpi dell´islàm.

Conclusione

Va subito notato che la tendenza riformista è ampiamente minoritaria all´interno del mondo islamico, in pratica non ha rappresentanza politica, anche se indubbiamente essa offre modelli e metodi per favorire,  nel lungo periodo, un´evoluzione culturale dell´islàm pur nella fedeltà ai suoi princìpi ispiratori.  Accanto ad essi la presa di coscienza della propria condizione da parte delle donne a cui sinora l´islàm assegna un ruolo di subalternità e uno statuto inferiore sul piano politico e sociale  costituisce indubbiamente un elemento che con il passare del tempo potrà influire sul processo di accettazione dei diritti universali della Dichiarazione del 1948.

La condizione della donna inoltre, com´è risaputo, è uno degli ostacoli (insieme, fra l´altro, alla frammentazione delle rappresentanze) che impedisce la firma di una Intesa tra lo Stato italiano e gli islamici presenti in Italia, un testo, che, com´è avvenuto per le altre Confessioni religiose, dovrà presupporre la piena accettazione delle norme della Costituzione italiana.

In conclusione, non possiamo dimenticare che il momento che stiamo vivendo nel quale, si fa appello alla religione islamica, da parte di Bin Laden  favorisce non certo l´evoluzione dell´islàm, ma, al contrario, un atteggiamento di difesa della propria identità tradizionale e, in un certo senso, di chiusura. A ciò va aggiunto il fatto che non esiste un´autorità "centrale" che abbia il potere di interpretare autoritativamente il Corano. Infatti il mondo islamico, che qui soltanto per schematizzazione viene descritto, in un certo senso, come unitario, è estremamente diviso, sia per le diverse tradizioni (sunniti, sciiti ecc.), sia per le numerose suddivisioni esistenti all´interno di queste ultime, sia perché fondamentalmente ciascun fedele musulmano è abilitato all´interpretazione del Corano, mentre invece il "controllo sociale" nelle varie società islamiche difende l´interpretazione classica.

Come si vede la situazione è estremamente complessa e perciò è necessario che gli italiani conoscano meglio i propri interlocutori islamici per comprenderne le difficoltà, per rispettarne le diversità non in contrasto con i diritti umani, in favore di una convivenza pacifica e per aiutare, a loro volta, gli islamici a uscire dai loro schemi, talvolta preconcetti, e in tal modo giungere a una reale e vicendevole accettazione.

 
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