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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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« VACCHE MAGRE? NON PER TUTTIALI DI CERA, ALI DI CENERE »

  SERVITU'

Post n°388 pubblicato il 19 Gennaio 2007 da bargalla

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Più passa il tempo e più si rafforza in me l'idea che questo è un Paese nel quale la reale condizione di sudditanza prevale sovranamente su ogni altro propalato, civico principio e le servitù che d'imperio vengono imposte, cancellano di fatto quella falsa  "indipendenza" così tanto sbandierata e riducono questa povera Italia a semplice espressione geografica: un accidentale incrostazione geologica nella quale l'identità "Nazione" regge solo grazie ai capricciosi confini disegnati da Madre Natura; per tutto il resto è in dissennata balia di chi vorrebbe fosse ancora un protettorato pontificio o una delle tante colonie statunitensi.
Servi, è l'aggettivo che più di ogni altro meglio qualifica il carattere di un popolo di santi, poeti, buoi e navigatori "democraticamente" espropriato di quella "sovranità" di quel "potere" del quale dovrebbe essere l'unico depositario, ma che spesso viene esercitato in forme che nulla hanno della democrazia compiuta, anzi spesso ho l'impressione che chi mi rappresenta, usa il mandato parlamentare come se fosse una delega in bianco con la quale zittire e spegnere, bollandola come ideologica e antiamericana, ogni forma di dissenso che si leva dal basso.

Alle secolari, invadenti ingerenze del papa-re in fatto di etica e morale dogmatica, si sommano le recenti, imperialiste pretese dello zio sam, volte a trasformare il Belpaese nell'arsenale dell'apocalisse prossima ventura, una sciagurata diarchia che comunque non sembra preoccupare più di tanto un popolo che per il fatto stesso di essere "italiano" è per sua natura semanticamente "bue" considerando che una delle radici del nome "Italia" nasce da "itali"  termine del greco arcaico col quale gli antichi abitanti di questa penisola denominavano proprio i mansueti buoi, che in gran quantità crescevano e si sviluppavano allo stato brado: "itali, buoi" buoni solo per essere soggiogati, per tirare il carro e l'aratro e, magari, diventare all'occorrenza carne da macello.
Da qui la voglia e l'esigenza di avere sempre un capo branco, un mandriano, qualcuno che per un aberrante scherzo del destino si ritrova "democraticamente" eletto e investito di un'autorità con la quale imporre anche a colpi di bastone e...carota delle direttive che spesso portano il branco dei buoi sull'orlo del baratro.
Sia detto senza offesa, ma la dicitura "popolo bue" non è un semplice "modo di dire" bensì è la pratica attuazione di una scuola di pensiero che persegue un solo obiettivo: ridurre la "gente" a massa acritica, facilmente manipolabile o anche remissiva, sottomessa, che si piega senza ribellarsi così come fa il bue che si lascia facilmente aggiogare.   
Ciò che in questi giorni accade è l'ennesima dimostrazione della insolente protervia, con la quale certi capi-bastone interpretano la loro funzione di sciocchi burattini legati al doppio filo di una arrogante regia che li muove a suo piacimento in un teatrino della politica in cui eccellono per sfrontata inettitudine i presunti statisti, i nani e le ballerine di maggioranze estremamente volubili e variabili che si alternano appoggiandosi sulle schiene piegate di chi sa già in anticipo dinanzi a chi dovrà servilmente inchinarsi.

Lo scenario geo-politico è preoccupante ed è legato ad equilibri complicati e precari, se le parole hanno ancora un peso e un significato sarà bene non accontentarsi delle pavide rassicurazioni di un primo ministro colpito dal mobbing berlusconiano e buscista, che pilatescamente avalla scelte fatte dall'esecutivo del cavaliere errante. Un fu governo, quello di silvio, ferocemente maccartista, quanto spudoratamente filoamericano e lontanissimo anni luce dagli interessi di quella "gente italica" così scioccamente presa a pretesto per consolidare l'utile tornaconto di una ristrettissima cerchia di mandriani e di machiavellici oligarchi senza scrupolo alcuno.
La discutibilissima decisione di "raddoppiare" la base Usa di Vicenza si pone nel contesto delle servitù militari che vedono proprio la nostra bella Italia al primo posto fra i Paesi del Patto Atlantico che ospitano, si fa per dire, basi militari amerikane, alcune addirittura giuridicamente e militarmente sottratte alla stessa "sovranità" italiana: un regime di extraterritorialità di cui normalmente godono solo gli invasori e coloro i quali occupano con la forza un territorio altrui.
Non mi si venga a dire che "pacta sunt servanda" al più sarebbero da ridiscutere, visto che in questi ultimi anni è cambiata la natura di un'Alleanza che da difensiva è diventata "preventiva" la teorizzazione di una "minaccia" che con la "guerra globale contro il terrorismo" si è dimostrata puntualmente inefficace e controproducente per gli stessi falchi che l'hanno pianificata, intenti com'erano e tuttora sono a stabilire un predominio in un'area particolarmente sensibile e strategica che solletica interessi tutt'altro che legittimi.
Invece di una riduzione (per una " Maddalena" che si smantella ce ne sono altre che vengono potenziate), assistiamo a ridislocazioni e ad ampliamenti che destano motivi di forte, comprensibile preoccupazione: Vicenza, Aviano, Livorno-Camp Derby, Gaeta, Napoli, Sigonella; il tutto spesso e volentieri sottratto ai controlli parlamentari del Paese ospitante e nei quali tutto è sostanzialmente classificato top secret.
Un tempo si parlava di non proliferazione delle armi nucleari, adesso si assiste alla diabolica corsa per accaparrarsi (e per impedire con ogni mezzo, guerra preventiva compresa, che altri lo facciano) quante più testate possibili di un'arma finora usata come deterrente, ma che se impiegata darebbe la giusta misura della follia dell'uomo che ha rubato l'energia del sole per distruggere quanto bonariamente ha ricevuto in comodato d'uso. Non è certo un caso se lo stesso comitato scientifico del Bulletin of atomic scientists, ha simbolicamente deciso di spostare in avanti le lancette del "doomsday clock" l'orologio del giorno del giudizio, da 7 ad appena 5 minuti dalla mezzanotte, un allarme che sembra non preoccupare proprio coloro i quali fungono da detonatore e alimentano con la loro insensatezza bellicista il fatale bilanciere di un orologio che non si ferma mai.   
La stessa Italia, pur rifiutando con un referendum l'impiego per usi civili dell'energia nucleare, grazie ad un accordo segreto rinnovato nel 2001 dal ministro della difesa del fu governo berlusconi, continua paradossalmente ad ospitare 90 bombe atomiche americane, così dislocate: 40 nella base di Ghedi, e 50 in quella di Aviano, più naturalmente i vari sommergibili nucleari alla fonda in ben 11 porti italiani.
Dalla fine della guerra fredda in poi, assistiamo ad un'escalation nelle qualità e nelle quantità degli armamenti che non può che preludere a disastri che vanno evitati, circoscritti e prevenuti.
Le guerre, è notorio, si combattono con le armi, il semplice possesso delle armi genera a sua volta guerra e relativa corsa agli armamenti: il classico cane che si morde la coda senza sapere che la coda è sua, un circuito vizioso da interrompere. Soprattutto con una lungimirante scelta politica che deve prevenire e combattere instabilità e conflitti sociali: la povertà, i giacimenti d'odio e di palese ingiustizia che portano al terrorismo, l'asfissiante protezionismo economico dei Paesi ricchi che impedisce l'accesso al mercato dei Paesi poveri, i fondamentalismi di ogni credo e gli autoritarismi di ogni latitudine.  
La benedizione di Prodi all'ampliamento di un'altra base militare a sovranità americana e il suo "non possumus" sono uno schiaffo per la città di Vicenza e per quella sinistra che, pur se a malincuore, lo votò come presidente di un consiglio che ora è di fatto "sfiduciato" da quei 120 parlamentari che hanno giustamente chiesto che sia la comunità locale, il popolo vicentino, a decidere con un referendum del loro destino e di quello della loro città nei paraggi della quale insistono le ville neoclassiche del Palladio, retaggio di un rinascimento, anche e soprattutto ideale, del quale, ahimè, non v'è più traccia nelle asservite coscienze dell'uomo d'oggi.   

 
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