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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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« DALLE RONDINI A GABBACOM...DA TOCQUEVILLE A TRAVAGLIO »

RILEGGENDO "L'OMBRA DEL POTERE"

Post n°503 pubblicato il 14 Maggio 2008 da bargalla

                

Nel bellissimo film di Ermanno Olmi, Il mestiere delle armi, il protagonista Giovanni dalle Bande Nere ad un certo punto, rivolto quasi a se stesso, pronuncia questa frase:
“Se avessi scelto di essere prete, oggi sarei papa”.
Al netto di ogni peccato di modestia tale affermazione è rivelatrice di un certo modo di intendere il ruolo che alcuni spocchiosi e tracotanti individui interpretano nella società di ogni tempo in funzione di quelle che poi si rivelano aspirazioni viziate da insulso arrivismo, mania di onnipotenza, becero egoismo, quando non proprio da un patologico complesso di superiorità alimentato da una supponenza derivante dalla convinzione di essere untuosamente indispensabili, forti di un’auto investitura e di un potere, meglio se economico, esercitato per blandire, influenzare e sbaragliare gli eventuali avversari che potrebbero impedire al “Giovanni dalle Bande Nere” di oggi, di diventare perfino papa.
Per restare nell’ambito del personaggio filmico, la sua moralità (sic) di soldato sta nel combattere con coraggio, audacia e spregio del pericolo, vincere i nemici senza inutili crudeltà, con strategica destrezza ed elevato senso dell’onore. 
Come quello delle armi, così il mestiere del produrre ricchezza e di conseguenza potere, ha o dovrebbe avere delle regole, un codice cavalleresco (giusto per restare in tema equestre) e un protocollo valido per tutti: cavalieri, fanti e scudieri; anche se quasi mai le linee guida adottate dai vecchi e nuovi plutocrati a cavallo rispondono a criteri di moralità, considerato il fatto che tutto ha un prezzo, anche l’onore, la morale e l’etica, valori che l’imperante plutocrazia mercifica alla strega di ogni altra venale operazione di mercato.  
Nulla da eccepire sulla voglia di arricchimento e di profitto, sul desiderio di emergere e di migliorare il proprio status sociale, sempre che ad ognuno venga consentito di farlo senza che nessuno si avvantaggi della propria posizione dominante e impedisca al meno abbiente, al più debole, di affrancarsi dalle vessatorie leggi di un mercato globalizzato non a caso fatte a misura dei riccastri sfondati per molti dei quali (casta pretesca compresa) anche la povertà diventa un affare (vedasi la pubblicità ingannevole dell’otto per mille della chiesa catto-vaticana), giacché si prendono i bisogni della povera gente, dell’uomo della strada, per consolidare i propri interessi e quelli di una ristretta cerchia di oligarchi.
Niente da dire sulla lotta al concorrente, sulla conquista di nuove fette di mercato e di traguardi sempre più prestigiosi, a condizione però che il tutto si svolga secondo un’etica comportamentale che ha il suo fondamento in quel semplice principio secondo cui “non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te” ovvero comportarsi onestamente, laddove l’avverbio onestamente trova fondamento nelle tavole della Legge o, più prosaicamente e laicamente, nell’imperativo kantiano.
I protagonisti di un’attualità ormai priva di regole, di Etica e di comandamenti, sembrano invece animati da ben altri imperativi e si muovono incuranti di lacci e laccioli normativi, anzi ove ce ne fossero, sono considerati alla stregua di ostacoli da rimuovere, costi quel che costi poiché lorsignori non ne fanno mai una questione di prezzo;  di esempi se ne potrebbero fare a iosa, ma restando sul vago vien facile dire che l’affarismo di certuni, proprio perché frutto di ruberie e di ladrocinio, cozza con i più elementari principi dell’Etica e della civile convivenza.
Certo, il campo economico-finanziario per le sue peculiarità ben si presta alle scorrerie di cavalieri, avventurieri, capitani di ventura, di sventura e di affaristi senza scrupoli, che strada facendo scoprono l’ebbrezza del potere, uniscono l’utile al dilettevole e si riciclano come “statisti” continuando tranquillamente a coltivare i loro interessi in un terreno in cui, per almeno due ragioni, è più facile imbattersi nella malaethica invece che nelll’Etica.
La prima fondamentale ragione risiede nel fatto che la finanza per sua natura è parte integrante di una sfera dell’attività umana i cui moventi oltre che nascere dal soddisfacimento dei bisogni primari (nutrirsi, ripararsi dal freddo…) trovano per così dire giustificazione, dall’avidità e dalla cupidigia, quando non proprio dalla naturale propensione a delinquere da certuni manifestata con una maestria senza pari, tratti dell’animo che, evidentemente, non s’inscrivono nell’elenco delle virtù, ma piuttosto in quello delle passioni, che ai più appaiono come spregevoli difetti, sia pure cinicamente spacciati per qualità, essendo gli stessi dei volgarissimi reati perpetrati in guanti bianchi al solo scopo di evidenziare quelli che per Keynes erano “spiriti animali” che seppure bestiali sono pur sempre un’offesa per l’intero mondo animale, genere umano compreso.  
In quella che ancor oggi è la più originale e sconcertante proposizione della scienza economica, Adam Smith dimostra come in determinate condizioni perlopiù derivanti dall’applicazione di leggi che, tanto per capirci chiameremmo ad personam, l’interazione tra esseri umani che abbiano come unico scopo quello di accrescere il proprio interesse individuale, finisca per essere percepito dall’informe  totalità della massa popolare adeguatamente ammansita, come servizio svolto nell’interesse generale (da qui le varie discese in campo), abilmente mascherato da impegno politico volto ad assicurare, apparentemente, accrescimento della ricchezza e del patrimonio generale che alla fine, ahimè, si rivela essere fallimentare per i più e molto redditizio per la solita ristrettissima cerchia di oligarchi che hanno anche l’ardire di proclamarsi “liberali e democratici”. Ma perché un difetto umano, uno spirito animale, un istinto bestiale, finisca per essere percepito dall’immaginario collettivo come dote spudoratamente esibita tendente a produrre benessere generale, occorrono contemporaneamente la passione, l’avidità, la sete di potere e un corpus di leggi che diano almeno la percezione di moderare gli appetiti del suddetto spirito animale.
Qui sta la tensione etica che un qualsiasi predatore abituato ad imporre la legge del più forte, stenta ad accettare e la rifiuta aprioristicamente: voglia di arricchimento sì, ma stretta osservanza del settimo comandamento che spesso suona di condanna per i soliti ladri di polli, così che chi ruba poco va in galera e chi ruba tanto fa carriera e magari diventa anche parlamentare e presidente del consiglio.     
Essere, ad esempio, in odor di mafia costituisce conditio sine qua non è possibile imbarcarsi in certe avventure affaristico-politiche il cui scopo è semplicemente quello di usare e abusare del potere per i propri porci comodi, tanto che la Res Publica diventa res privata ovvero “cosa loro”.
La “onorevole” filantropia spudoratamente esibita si manifesta quindi per quello che è: spietata misantropia, un gioco crudele nel quale ancora una volta l’uomo politico animato dallo spirito animale, diventa homini lupus.
Di esempi ce ne sarebbero a iosa, d’altronde il tentativo coronato di successo di edificare sulla sabbia del falso perbenismo un impero mediatico, un sistema economico di stampo falsamente liberale che funzionasse senza il motore della cupidigia personale, per non dire altro, pur se ha realizzato le mire politico-espansionistiche del nuovo caudillo, suona di sconfitta non solo sul piano squisitamente Etico, ma anche su quello politico che alla lunga, c’è da giurarlo, pagherà un prezzo altissimo alla democrazia bloccata e incompiuta, giacché la demagogia a buon mercato spacciata dal telepopulista, dopo una prima, timida ventata di entusiasmo, scatenerà normalizzazione, intimidazione, strisciante dittatura, censura e persecuzione, imposizione del pensiero dominante e dominato in cui, evidentemente, ad avere la peggio, sarà sempre il più debole, chi la pensa diversamente, chi non si allinea alla linea, il meno garantito, l’emarginato, il diverso.
Affinché un certo modo di intendere il potere non degeneri fino ad elevare a sistema la commistione fra politica e affari (cosa che in realtà avviene già in Italia) e riduca la gestione della cosa pubblica in una rapina di Stato, in un gioco fra prede e predatori, per giunta condotto da avventurieri senza scrupoli, è auspicabile il formarsi di una coscienza individuale, che insieme a quella collettiva produca Democrazia e restituisca al “Popolo Sovrano” il compito primario di darsi una nuova classe dirigente finalmente degna di un Paese che finora ha solo fornito il pretesto ad una classe digerente di ergersi a publica auctoritas e di  ingrassare consolidando interessi di casta inconciliabili con quegli interessi del popolo bue che il mandriano di turno rivendica come propri.
Credo sia bene ricordare lo sprezzante giudizio dato dal Daily Telegraph che nel commentare il ritorno sulle scene dell’innominato presidente del consilvio non trova niente di meglio che definirlo: ower of Italy. Padrone dell’Italia .
Il tutto si verifica proprio perché in Italia mancano i protocolli etici e mancando questi, non c’è traccia alcuna di quel controllo sociale ne, tantomeno, di quel Contratto Sociale e legislativo che in un Paese Normale difficilmente avrebbero consentito ad un certo “silvio dalle bande nere” di pensare che se avesse scelto di diventare parlamentare, mai e poi mai sarebbe potuto diventare (com’è purtroppo avvenuto) anche presidente del consilvio.    
L’anello debole è stato ed è la fiacchezza della sanzione sociale sugli atti dei cosiddetti servitori dello Stato che invece si servono dello Stato per instaurare il dominio di una nuova razza predona, mancando perfino la capacità di indignarsi per il modo col quale ci hanno fatto votare, è giocoforza rifugiarsi nella inane consapevolezza di essere un granello di sabbia, ma vivaddio, mi soccorre l’idea che anche un granello di sabbia può inceppare il meccanismo più oleato e impedire che l’ombra del potere si allunghi minacciosa e oscurare in modo definitivo quel bagliore di verità che permette ad alcune mosche bianche di mettere alla gogna quanti fanno strame dello Stato di diritto e operano con scarsa correttezza istituzionale; dando prova di una maleducazione civica senza pari mischiano i propri affari con quelli dello Stato, si lasciano andare a corruttele varie ed evadono il fisco trovando moralmente giusto non pagare le tasse, fino a discriminare il figlio dell’operaio ritenendolo non degno di essere equiparato al figlio del professionista.
L’illusione di poter partecipare ad un cambiamento è svanita, l’equità sociale sembra il cascame di un’ideologia che trova pur sempre fondamento in quel Vangelo al quale il fariseume imperante dice di ispirarsi trovando Oltretevere l’attracco incarognito ed ingerente del clericalume trionfante che ha così riscoperto il piacere del potere temporale.   
Anche in questi giorni si continua a criticare l’invadenza e gli eccessi del potere giudiziario, per non dire delle critiche mosse alla libera stampa da un re che si dimostra essere sempre più nudo.
Sono fra coloro che giudicano benemerita l’opera della Magistratura pur deplorandone gli eccessi, ma una parte della presunta invadenza è frutto di una carenza di controllo sociale e di gravi omissioni degli organismi preposti all’osservanza delle Leggi.
Chi vuole mettere sotto tutela l’ordine giudiziario, chi vuole mettere il bavaglio alla libera stampa, chi parla di dialogo evitando di mostrare il suo vero volto di imbelle fariseo, dimostra che il lupo perde il pelo ma non il vizio di sottrarsi al controllo delle Leggi e per esteso al controllo del popolo, un popolo che dovrebbe quantomeno informarsi senza prendere per buona la voce del padrone così da riuscire a tener viva la memoria e  discernere il grano dal loglio, individuando non solo le quotidiane nequizie in cui incorre la classe dirigente, ma anche le grandi nefandezze che hanno permesso all’innominato presidente del consilvio di varcare indegnamente e in pompa magna il soglio chigiano.
A tal proposito mi sovvengono i versi, sempre attuali, di una poesia di Giovanni Raboni.
E’ il Trionfo numero 5 e fa parte della raccolta Ultimi Versi

                       
“Nel Trionfo del Malaffare
                        
da quando un fiume di denaro sporco
                        
scaturito da un’isola vicina
                        
e riciclato in isole lontane
                        
ha fatto spuntare quartieri
                        
grandi come città
                        
e messo in moto la gran ruota
                        
delle centrali della persuasione
                       
chiunque può vedere
                        
pregiudicati e delinquenti
                        
d’ogni risma e colore
                        
mettere sull’attenti 
                        
compunti picchetti d’onore.”

P.S Post liberamente ispirato dalla rilettura de “L’ombra del potere” di David Lane.
     
“Quanto di più convincente io abbia letto sulla preoccupante condizione dell'odiena 
        democrazia italiana". 
John Dickie – Literary Review –

 
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