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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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« UNO E BINO (CON PARENTES...GLI ALLUPATI DEL BORDELLO-ITALIA »

ALLA MALORA LA BEATA IGNORANZA!

Post n°620 pubblicato il 15 Settembre 2010 da bargalla

             



Dopo la sbornia vacanziera, tutto ritorna alla normalità di sempre.
Di solito questo ritorno alle usate cose coincide con l’inizio dell’anno scolastico, un appuntamento quest’anno segnato dalle proteste dei precari e dal malcontento degli studenti. Mi aspettavo maggiore risonanza e più attenzione da parte della cosiddetta tivù di stato sugli effetti della “riforma-gelmini”. Meglio miss-italia, meglio un tiggì che mistifica la realtà, meglio le beghe e le beghine di partito; il vespasiano del ronzante neo è lì come sempre ad annunciare che tutto va bene, madama la marchesa.
Per il resto siamo in attesa dell'anno zero.  
Il solito palinsesto, la solita aria fritta? No, forse una novità c’è: il pubblico ospite negli studi televisivi dei programmi di approfondimento non potrà più applaudire, perché l’applauso rischia di trascinare il consenso, strappa il primo piano, entra nelle case degli italiani e su molti temi contagia i telespettatori “passivi” rischiando di formare delle pericolose opinioni. E questo non è bene che accada anche perché il rumore degli applausi potrebbe svegliare più di qualcuno.

Applausi o no, per me non cambia niente poiché ogni volta che il presidente del consilvio e i suoi manutengoli debordano come reflui fognari dagli schermi televisivi mi coglie un fisiologico senso di nausea, i mefitici escrementi del potere ponzati alla bisogna da un regime mediatico sempre più corrotto e putrido mi rendono insopportabile perfino la vista di talk-show e telegiornali che potrebbero anche risultare mediamente imparziali e poco inquinanti, se non fosse per quegli inevitabili riferimenti alle res gestae di una casta autoreferenziale di politici, tanto maneggioni, quanto servili e tracotanti, che rende viepiù inevitabile e salutare schiacciare il tasto del telecomando e cambiare canale, così come si preme quello dello sciacquone  per pulire il cesso dopo una scarica alvina.
Non se ne può più di un sedicente statista che critica le Istituzioni e gli Organi di Garanzia di una democrazia snaturata e svilita fino al punto da assomigliare a quelle repubbliche delle banane in cui c’è sempre qualcuno che si perita raddrizzarle (le banane) infilandole nel podice di un popolo sempre più bue. Non se ne può più di un esercito di leccaculo che sbavano a comando, non se ne può più dei megafoni della voce del padrone che ammorbano l’etere, non se ne può più dell’harem di un satrapo che ha elevato il meretricio a sistema trasformando in suburre e lupanari ciò che restava di quell’Italia, se possibile, resa ancora più serva di quanto la vide il Sommo Dante, da sempre “di dolore ostello, non donna di provincia, ma bordello” dove la politica si prostituisce al comando di magnaccia, marchette e marchettari. Non se ne può più del sense of humour di un guitto che fa ridere solo i polli dei suoi stazzi allorquando racconta loro barzellette ispirate dalla più bieca e malvagia delle dittature al cui solo richiamo anche quei polli dovrebbero provare nient’altro che orrore invece di palesare un’insulsa e sguaiata ilarità.

Dubito che ciò accada ben sapendo dell’arroganza della classe dirigente e dell’involuzione culturale di una società irrimediabilmente piegata (e piagata) dal populismo plebeista più volgare e corrivo che si pasce di un’ignoranza volutamente promossa ed elargita a piene mani da chi, prima di ogni altro, persegue loschi interessi di parte applicando l’unica legge che conosce, quella che col denaro si compra tutto, anche il destino di coloro i quali, più o meno consapevolmente, si vendono al peggiore offerente.
Da qui, giusto per restare nella stretta attualità, si assiste quasi impotenti allo scempio della Pubblica Istruzione da parte di chi pure dovrebbe garantire un diritto allo studio che, al pari di altri inalienabili e afferenti la sfera pubblica, viene puntualmente disatteso; quasi si avesse un’innata ritrosia a considerare di interesse generale, quindi pubblico, un servizio che (forse perché nasce dalla radice di servitù)  si vorrebbe fosse di esclusiva pertinenza, quindi al servizio (o come si dice oggi nella disponibilità) di un determinato ceto sociale in cui le differenze di casta e di classe si accentuano anche in ragione di un titolo di studio non più alla portata di tutti, ma solo di quelli, non sempre i più meritevoli e intelligenti, che per censo e per nascita pretendono di eccellere, sol perché figli di cotanta schiatta. Sui parvenu e su quelli che esibiscono spavaldi una spudorata (quanto inindagabile) ricchezza è meglio non infierire più di tanto,  a meno che non abbiano fatto strame di norme e regolamenti pur di acquistare prestigio sociale e consenso elettorale per impadronirsi di un potere che, come nel caso del lupus in fabula, non solo li porta a sentirsi super leges, ma consente loro di perseverare impuniti a demolire le fondamenta dello Stato di Diritto, in primis il Principio di Uguaglianza, tanto che un illiberale come berlusconi silvio può esternare il suo estremistico concetto di “aequalitas”, senza suscitare un moto di sdegno presso quella stessa classe operaia considerata subalterna, forza-lavoro, carne da voto e da macello, da sfruttare e licenziare senza cavillare sui diritti acquisiti e sui doveri violati proprio in ossequio ad un ignobile principio berlusconiano secondo cui “non possono essere uguali il figlio del professionista e il figlio dell’operaio”.

Sono orgoglioso di essere figlio di un operaio, un contadino emigrato in Svizzera per comprarsi una casa e un pezzo di terra, così come tanti altri meridionali che avrebbero tanto da insegnare a silvio e ai suoi sodali in fatto di onestà, dignità e fierezza d’animo. Io non ho figli, però mi metto nei panni degli operai che hanno la gioia di averli e che magari in questi giorni iniziano fra mille difficoltà l’anno scolastico: per loro non sarà mai consolante sapere che qualcuno possa arrogarsi il diritto di governare discriminando apertamente proprio i loro figli. Per questo nei momenti topici della politica italiota ritornano come pugnalate quelle parole pronunciate dal nominato berlusconi silvio la sera del 3 aprile del 2006 durante un confronto elettorale con Romano Prodi. Era la sera dell’annuncio dell’abolizione dell’ici, erano i giorni dei “coglioni che votano contro i loro stessi interessi”.
Ecco, a distanza di tempo non posso non chiedermi quanti “coglioni” hanno poi votato nel 2008  per la sua coalizione di estremisti razzisti e xenofobi, ovvero contro il diritto allo studio, contro il diritto all’Uguaglianza e in aperta violazione con quanto prevede non solo l’art. 3 (bellissimo enunciato, rimasto, ahimè, sulla carta) ma anche in contrasto con quanto prescrivono , giusto per restare in tema di Istruzione, gli art. 33 e 34 della Costituzione Italiana laddove nel garantire il diritto allo studio premiando i più meritevoli, e non certo i più abbienti, si precisa che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”  
Impossibile non pensare a quanto in realtà accade a fronte di dati oggettivi che smentiscono sia il dettato costituzionale, sia la politica scolastica di un malgoverno bocciato finanche dall’Ocse.

L’Italia spende per la scuola quanto la Slovacchia, meno del Brasile, meno dell’Estonia.
Inoltre abbiamo i docenti più malpagati e meno incentivati d’Europa, di contro la spesa per alunno è fra le più elevate e il rapporto Ocse conclude che questo è dovuto al fatto che abbiamo troppi insegnanti.
Musica per le orecchie della gelmini, una tesi subito utilizzata dai macellai della scuola pubblica, a sostegno del più grande licenziamento di massa mai realizzato in Italia.
Non è chiaro se il cosiddetto ministro ci è o ci fa. In primo luogo il costo dell’Istruzione, si calcola sul rapporto fra quello che si spende per la scuola e le altre voci di spesa del bilancio statale: e questo (non citato dalla gelmini) è il dato più importante che inchioda il malgoverno berlusconi alle sue responsabilità.
In secondo luogo il calcolo degli insegnanti è fatto in un modo molto strano: si contano anche gli insegnanti di religione e quelli di sostegno (in totale oltre 110.000) che negli altri Paesi non sono conteggiati o non esistono. Se togliamo quelli, rientriamo nella media europea.
Ecco, quando leggo di una Pubblica Istruzione mutilata di quell’aggettivo qualificativo che ben la definiva non posso non assimilare allo scempio dei concetti anche quello dei fatti osservando le incongruenze di una logica tesa a distruggere ciò che è pubblico, ivi compresa quell’Istruzione che per sua natura ben si presta alla manipolazione delle coscienze da parte di certi cattivi maestri incardinati nei battenti della macelleria sociale della premiata ditta berlusconi & c. dove si vendono i primi, i secondi tagli tremontani e le frattaglie gelminiane cucinate in salsa brunetta nella “bassa cucina” berlusconiana dai cuochi di regime.
Bisogna tenere d’occhio i cuochi di questa bassa cucina” così come consigliava Piero Calamandrei in un discorso pronunciato nel febbraio 1950 proprio in un convegno a difesa della scuola nazionale.

E’ utile riflettere su qualche passo:
“Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’Aula in alloggiamento per i suoi manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura… Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private…Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi…
Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato, in scuole di partito, manda alla malora le scuole di Stato, per dare la prevalenza alle sue scuole private…
Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina.
L’operazione si fa in tre modi, ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato.
Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni…”


Basta guardarsi intorno e fare due più due per capire la logica vera, evidente, di questa sciagurata politica. Ridimensionare e svuotare dall’interno la Scuola Pubblica (così come la Sanità) per agevolare la privata: questo è il vero programma della beata ignoranza che si cerca di perseguire con ogni mezzo.
Oltre al taglio di decine di migliaia di posti di lavoro, la riapertura del “doppio canale” che torna a creare una scuola di serie A e una di serie B, il ritorno alla famosa “scuola di classe” con tutto quel che comporta tale regressione didattica e pedagogica, spiegabile solo con la visione elitaria e privatistica che la anima.
Tagliare le risorse alla scuola pubblica è la vera mission del malgoverno berlusconi, il quale se da una parte toglie (e taglia) dall’altra spreca il pubblico denaro finanziando scuole private, di chiesa e di partito; avendo in più un occhio di riguardo per l’unica categoria che non ha conosciuto riduzioni d’organico ma che, al contrario, ha beneficiato di una massiccia immissione in ruolo, quella cioè degli insegnanti di religione, il cui discutibile status prevede che siano nominati dall’ordinario diocesano e pagati dallo Stato italiano. Fingo di non sapere quale pattizio leonino (quale cupola!) imponga tale vessatoria imposizione!

Si taglia il pubblico, si finanzia il privato; è un ritornello che giova ripetere anche perché nuove, certo non controllate scuole private, dall’asilo all’università, continuamente nascono come funghi e sono finanziate dallo Stato in tutta Italia, padania compresa.
Tanto per fare un esempio, nella stagione ormai agli sgoccioli (chissà perché queste cose succedono sempre quando gli italiani sono storditi dal solleone) la commissione bilancio del Senato ha approvato lo stanziamento di 800.000 euro per “ampliamento e ristrutturazione” della cosiddetta “Libera scuola dei Popoli Padani” fondata a Varese dalla maestra mauela marrone (nota ai più come moglie del ministro umberto bossi), una scuola “improntata alla cultura locale, alle radici e al territorio” la cui metodologia si basa sulla pedagogia padana (sic) approntata alla bisogna dal galli, senatore legaiolo. Nomen omen!
Scuola privata che, tra l’altro, potrà permettersi di non avere più di 15 alunni per classe, mentre le scuole pubbliche del resto d’Italia, isole comprese, viaggiano verso i 35 col beneplacito di quel partito della cosiddetta libertà che confina in spazi sempre più angusti non solo la possibilità di emergere, ma anche quella di formarsi un’idea di Libertà che non porti necessariamente qualcuno a prostituirsi, a svendere la propria dignità, trovando perfino lecito vendere il proprio corpo per fare carriera, così come purtroppo accade nell’Italia di silvio dove abbondano i lenoni e le puttane della libertà.   



 
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