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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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RITORNO ALLA NORMALITA'

Post n°344 pubblicato il 03 Ottobre 2006 da bargalla

immagine

Lento, graduale ritorno alla normalità.
Il mio "piccolo mondo antico" ha ripreso a girare secondo i ritmi di sempre, anche le favorevoli condizioni meteo mi stanno aiutando a rimettere ordine dopo l'uragano di martedì scorso.
Tutto intorno ci sono ancora i segni di un evento che ha sconvolto con la sua "naturale" e imprevedibile follia climatica non solo il paesaggio circostante, ma anche la quieta sensibilità dell'Anima che a fatica cerca di rimarginare le ferite inferte dalla furia di Madre Natura.
Dopo il lavoro, dedico un paio d'ore alla mia campagna, cerco di ristabilire un equilibrio compromesso da un'ora di furibondo maltempo, tento di dare una parvenza di normalità ad un habitat nel quale il vuoto lasciato dagli alberi caduti, la sera si riempie di ombre fugaci e di bianche volute di fumo, un effetto nebbia che si alimenta dai falò che accendo per bruciare l'abbondante e resinoso cascame.
Taglio la legna, la accumulo nella legnaia e raccolgo ciò che resta di quello che era un albero: cenere, non rimane che cenere da spargere come concime nel terreno.   
Da quella cenere nasce un pensiero che mi porta ad associarla al destino di ogni essere vivente e a quel memorandum che spesso si fa di tutto per dimenticare quasi esorcizzandola "nostra sorella morte corporale dalla quale nullo homo vivente può scappare" e ogni cosa realmente assume quella "vanitas vanitatum" che nella Bibbia l'Ecclesiaste descrive con parole che sembrano i versi di una poesia da imparare a memoria per recitarla nei momenti di quieta rassegnazione, alla stregua di quella "infinita vanità del tutto" che fa da triste epitaffio al desolato esistenzialismo leopardiano.
Amare riflessioni dettate dall'implacabile "memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris" che come impalpabile "polvere" cinerea copre la voglia di ricominciare e la appesantisce schiacciandola nella indolente perfezione dell'accidia.
Un torpore dell'anima che come un fantasma agita la voglia di fare e la spegne precipitandola nello sconforto per quello che poteva essere e non è stato, il riflesso di un deserto dove solo il vento soffia impetuoso e aggiunge altra sabbia alle dune del tempo, altra polvere alle rughe di un presente in cui è facile sentirsi come uno di quei "sciauràti che mai non fur vivi" che popolano il quinto cerchio dell'inferno dantesco.
A che serve affannarsi, illudersi che tutto volge al meglio se poi basta un colpo di vento per disperdere quel pugno di polvere che sono e che sarò e a spegnere ogni illusorio entusiasmo?
Respiro in mezzo alla nebbia del fatalismo, mi aggiro tra i fantasmi creati dal mio pessimismo, non so più ridere, non riesco nemmeno a sorridere, assumo volentieri un tono da Apocalisse e continuo a dare ad ogni gesto, ad ogni parola il grigio colore dello sconforto che come ruggine corrode quelle che dovrebbero essere le mie ore migliori.
E mi guardo intorno senza riuscire a vedere il disastro causato dal vento della disperazione che come brezza lieve spira e mi ricaccia indietro nel tempo in cui bastava uno sguardo, un semplice sguardo per abbracciare l'orizzonte sconfinato di un "ti amo" sussurrato e di un bacio a fior di labbra rubato ad occhi chiusi.
Gli alberi abbattuti dal vento hanno liberato un pezzo d'orizzonte nel quale si staglia limpido il profilo del mare, è così vicino che si fa quasi sfiorare come quel paesino che poco distante la sera si accende di mille luci e fra quelle continuo a cercare la tua, che di certo non immagini quanto possa alimentare l'illusione di chi non riesce o non vuole spegnere quel tenue bagliore che indica il tuo cuore.   
Mi chiedo perché a distanza di anni non riesco ancora a dimenticarti, mi domando quale sortilegio ancora a te mi lega, mi chiedo che senso ha logorarsi fino allo spasimo per rincorrere un'ombra che ha giocato con i sentimenti e ha vinto, barando, anche la posta di un futuro che mi apparteneva.  

 
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