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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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DE FINIBUS TERRAE

Post n°381 pubblicato il 31 Dicembre 2006 da bargalla

            immagine

La meraviglia e lo stupore che ogni volta provo, quando ritorno dove lo sguardo spazia verso l'Infinito, mi riportano alla mente i versi con i quali termina "Finibusterrae" una poesia di Vittorio Bodini, poeta leccese d'adozione, che dal Salento si lasciò sedurre e ispirare.
"...e tornerà il bianco per un attimo a brillare

della calce, regina arsa e concreta di questi
umili luoghi dove termini meschinamente,
Italia, in poca rissa d'acque ai piedi d'un faro.
E' qui che i salentini dopo morti fanno ritorno..."
Nel mio anonimo vagabondare risalgo la costa scoscesa, indugio fra dune di sabbia e rade calette di selvaggia bellezza, seguo le orme lasciate dalle ombre di ieri e qui, ai piedi di quel faro mi fermo, rassegnato, per riannodare il filo dei ricordi, mentre i pensieri insieme alle onde sugli scogli s'infrangono e mille schegge di luce soffusa saettano schiumando nel vento querulo dell'imbrunire.
La prima cosa che da lontano appare arrivando la sera a Leuca, è il faro, la sua luce squarcia il buio e fende l'oscurità, un alternarsi luminoso e lieve di stasi e di estasi, una cascata di vivida luce, momenti di trasparenza che si dissolvono alimentandosi l'un l'altro come se attingessero ad una forza, sotterranea e celeste insieme, che di giorno si manifesta col sole in tutto il suo abbacinante chiarore.
Leuca, approdo millenario di Greci e Bizantini, Leuca la "bianca" e solare impronta del cielo, ultima zolla di una terra protesa fra due mari, conserva il "genius loci" dell'antico splendore, vicino all'imponente faro sorge un santuario eretto sui ruderi di un tempio dedicato al culto di Athena-Minerva, che la tradizione cristiana ha poi consacrato a Maria.
Faccio miei alcuni versi di Paul Claudel:
"Madre di Gesù Cristo, io non vengo a pregare.
Non ho nulla da offrire e niente da chiedere".
La mia consapevole finitudine qui si ferma e si sublima, perché in questo luogo mitico, magico e sacro si avverte la sensazione che "oltre" non si può andare, nessun "altrove" posso sognare e nessun altro cuore posso più desiderare.
Il canto malinconico dell'ultimo gabbiano, una triste nenia che prelude al buio fitto della sera, richiama una dopo l'altra, le immagini mai sbiadite che di te conservo nella mia mente ancora, del tempo andato e della felicità perduta, del sublime e intenso afflato che in sere come queste ci coglieva sognando un futuro che ormai non ci appartiene.
Avverto la tua presenza, sento che anche tu stasera sei da queste parti, conoscendo le tue abitudini so che vorrai aspettare l'alba del nuovo anno a Otranto, insieme a chi ha la gioia di averti accanto, vicino ad un altro faro, quello della "Palascia" la vedetta più orientale d'Italia, ti immagino allegra e solare come sempre, confusa fra la gente festante.
Aspettando il primo sorriso del sole, i tuoi occhi di mare e di cielo cercheranno le Pleiadi e, forse per un attimo, ritornerà a brillare più intensa una stella e solo in quell'attimo penserai un po' anche a me e al rito propiziatorio dei dodici chicchi di un melograno che un Destino avaro d'Amore fuggendo ha rubato, insieme al sogno mio più bello.
Da allora anch'io fuggo via da ogni cosa e qui ogni tanto mi fermo, forse fuggo anche da te che nel sogno cerchi invano di fermarmi legando i tuoi neri e lunghi capelli ai miei; fuggo da me stesso, ma non sfuggo al mio Destino e qui, dopo un altro anno senz'Amore giungo, per aspettare in compagnia della mia solitudine un altro anno ancora.
Il velo del mio tempo "dannato e fatuo" lentamente si dispiega, copre l'aurora e il crepuscolo dei giorni uguali ai giorni, l'immoto presente resta lì, sospeso nel ritmo dolcissimo di un mare che fluttua calmo senza quasi ondeggiare, schizzi d'acqua salata cristallizzano le immagini e i ricordi, la luce improvvisa e intensa del "de finibus terrae" li fissa indelebili come un flash fra le diafane velature dell'Anima.
L'ultimo raggio di un sole che non c'è più, illumina fioco il tempo che passa, la luna "delle maree madre" riverbera cerulea e quasi piena nel freddo cielo d'inverno, un bagliore accecante sgorga roteando dal faro e punge gli occhi e il cuore, inizia un altro racconto di buio e di luce.
C'era una volta e c'è ancora un'altra notte in riva al mare.

                         Buon Anno, Nadia. 
Buon Anno a tutti.

 
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ossimora
ossimora il 31/12/06 alle 22:18 via WEB
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