Creato da bargalla il 30/01/2005
"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

Archivio messaggi

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

 

Ultime visite al Blog

rdapiaggiossimorasteph27nikya1pinellogiuseppenapoli891540mariomancino.mluisinioIl_Signore_RaffinatocamarossogiacintoingenitoMaurizio_ROMAmonacoliomassimo.sbandernopmichepel
 

Area personale

 
Citazioni nei Blog Amici: 10
 

Ultimi commenti

insisto...nella speranza di risentirti...anche in privato...
Inviato da: ossimora
il 16/02/2016 alle 10:03
 
Sarebbe bello rivederti comparire...con qualsiasi scrittura...
Inviato da: ossimora
il 06/07/2014 alle 17:07
 
torna....
Inviato da: ossimora
il 23/03/2012 alle 02:52
 
Adoro gli idra!
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 10:51
 
Carino sto post ... :-)
Inviato da: fantasista76
il 03/11/2010 alle 08:33
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

I miei Blog Amici

 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

 

« DICO LA MIA SUL "FAMILY DAY"INTERESSI DI CASTA »

RECENSIONE

Post n°435 pubblicato il 20 Maggio 2007 da bargalla

        immagine

Ero andato in libreria per acquistare “ La Casta ” il libro inchiesta scritto da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, sottotitolo: “Così i politici sono diventati intoccabili” un successo editoriale che di certo diverrà un best seller, quando la commessa, conoscendo i miei gusti letterari e sapendomi soprattutto un lettore onnivoro che predilige i titoli fuori dal circuito pubblicitario dei grandi editori, mi ha messo fra le mani un agile volumetto, come dicono gli addetti ai lavori, un libricino di pagine 85 intitolato “Le Passeggiate” di Jean Jacques Rousseau, ed Tranchida, pubblicato per la collana “Il bosco di latte”.
“Un’affermazione di solitudine, ma non di disperazione, in uno stato che non prescinde dalla sofferenza, ma anzi si fonda su di essa. Rousseau riesce, mobilitando tutte le energie del suo spirito, a realizzare il reiterato e precario passaggio dall’estrema infelicità alla felicità suprema, recuperando quel rapporto diretto e immediato con la natura proprio della sua infanzia”.
Una vera sorpresa, un libro che ho poi letto e per l’appunto passeggiando qui in campagna, una lettura godibilissima di un piccolo classico a torto ritenuto “minore” che rende ancor più grande l’autore del più celebre “Contratto Sociale” del quale mi piace ricordare la visione per così dire religiosa che il  filosofo francese attribuisce allo Stato inteso come “una professione di fede puramente civile” i cui articoli di “fede” siano fissati dalla sovranità legislatrice del popolo “non come dogmi di religione, ma come sentimenti di socialità” senza i quali (a dispetto di ogni integralismo confessionale) è impossibile essere un buon cittadino.
Argomento quanto mai attuale, considerando l’ottuso dogmatismo trionfante della chiesa cattolica che condiziona in negativo la vita politica italiana e, ricordando il concetto che il grande filosofo illuminista aveva della teologia, non posso fare a meno di pensare quanto l’intolleranza teologica possa esser fonte di intolleranza civile e quindi di contrasti, spesso insanabili e violenti, che rompono l’unità sociale dello Stato, infrangono il “contratto sociale” e conducono alla distruzione del corpo politico e della democrazia.
Cos’altro sono i cosiddetti “richiami” dei biliosi vescovi italioti e le loro ossessive pretese moralisteggianti, se non un attentato all’ordinamento costituzionale dello Stato?
Duole il solo pensare che questi “ministri” di uno stato estero agiscano nella più totale delle impunità, quando non proprio con l’interessata complicità dei parlamentari italioti, fomentando l’odio e la divisione sociale, circuendo le deboli menti con l’uso disinvolto e “stupefacente” di un credo senza il quale anche l’economia “razionale” e nazionale ne trarrebbe gran giovamento.
Apro e chiudo un inciso estremamente venale, ma in tempo di otto per mille, non si può non considerare quanto assurde siano certe richieste avanzate con la consueta, pretesca arroganza, facendo passare l’idea falsa e fuorviante, che la chiesa dei papi sia sensibile e vicina ai bisogni della povera gente. Niente di più falso, perché se così fosse non si spiegherebbero, per esempio, certe spregiudicate operazioni finanziarie che vedono nell’istituto delle cosiddette opere religiose, il braccio armato di una chiesa che, quando si tratta di difendere i propri cospicui interessi economici, cancella ogni morale, dimentica l’ etica deontologica e finanziaria e specula in modo spregiudicato, come ogni altra volgare multinazionale, abiurando, anche in questo, quel Vangelo al quale per statuto dovrebbe innanzi tutto ispirarsi ogni loro scelta.
Mi chiedo che cosa ci sia di “evangelico” nel gestire un patrimonio immobiliare che forse in Italia e nel mondo non ha eguali, se è vero, com’è vero, che il 22% del patrimonio immobiliare italiano appartiene alla chiesa cattolica, in altre parole una casa su cinque è di proprietà della chiesa dei papi, con tutti i benefici fiscali e tributari che uno sciagurato pattizio leonino e concordatario a loro concede.  
E’ scritto: “Non accumulate tesori sulla terra” poiché “ dov’è il tuo tesoro, ivi pure è il tuo cuore” ma il Vaticano val bene un caveau nel quale custodire i veri “valori non negoziabili” grazie ai quali altri cosiddetti “valori” vengono periodicamente rivalutati per puntellare una credibilità che si ammanta di improbabili verità rivelate.
Dopo aver divagato sul sagrato, ritorno alle “reveries du promeneur solitarie” alle magiche escursioni nella misteriosa vita dei boschi della Francia di fine ‘700 e mi appoggio al bastone di Rousseau per passeggiare con passo lieve fra i suoi pensieri percorrendo insieme a lui il sentiero dell’anima: un percorso rilassante che si snoda nelle sue “Fantasticherie” man mano che emergono luoghi, aromi, estasi, profumi, a dispetto di un genere umano già post-illuminista, colpevole di aver intossicato con l’inquinamento l’idea stessa del progresso e della civiltà.
Ora con trasporto febbrile e intenso, ora adeguando la scrittura alle pacate risorse del paesaggio circostante, Jean-Jacques sembra ottenere il miracolo che si attende: “tranquillo in fondo all’abisso, povero e infelice mortale, ma impassibile al pari di Dio” assiste quasi indifferente al compiersi ineluttabile del suo destino.
Se nulla accade per caso, allora non è casuale il fatto che Rousseau scriva le “Reveries” un anno prima di morire, presago quasi della fine imminente e affida a quelle pagine la funzione per così dire propiziatoria, cercando quasi di esorcizzare la morte e lo esplicita con queste significative parole: “Se nei giorni vicini alla morte resterò, come spero, nella medesima disposizione d’animo in cui adesso mi trovo, la loro lettura mi riporterà la dolcezza che provo scrivendole, e raddoppierà per così dire la mia esistenza”. La cui esistenza si è rivelata particolarmente cupa proprio nel tratto finale della sua vita, provato nel fisico “dal male della pietra” (calcolosi?) riesce a stento a soddisfare i bisogni quotidiani e per sbarcare il lunario, svolge lavori di ripiego (copista di musica) mentre si stringe ancor più intorno a lui il cerchio dell’ostilità e del disprezzo.
Tenta di reagire con clamorose iniziative leggendo, per esempio, le “Confessioni” di Agostino d’Ippona nei salotti parigini, ricavandone imbarazzati e compassionevoli silenzi.
In quel periodo soprattutto gli è di peso il bagaglio infausto degli anni trascorsi: fughe, manie di persecuzione, sospetti di tradimento e addirittura di complotto, fino al sequestro in Francia del suo capolavoro “Il contratto sociale” e la condanna del pedagogico “Emilio”.
E poiché diventano insormontabili gli ostacoli editoriali, che devono fare i conti con la solita censura, non trova più nessuno disposto a pubblicare i suoi “Dialoghi”. Per questo pensa di conquistarsi la pubblica opinione denunciando la sua emarginazione con un messaggio indirizzato alla “Nazione francese”. Ne fa riprodurre parecchie copie e le distribuisce nelle strade, un volantinaggio che ben presto si esaurisce nel più totale e prevedibile disinteresse dei passanti. E tuttavia gli restano le forze e l’ispirazione per rievocare le “passeggiate” compiute nell’isola di Saint Pierre, in mezzo al lago di Bienne.
Lasciarsi andare a libere sensazioni, immergersi nel silenzio e nella misteriosa vita del bosco, sono le uniche attività in grado di far risorgere uno spirito deluso e inaridito, com’è il Rousseau un anno prima di morire.
Ecco quindi “Le reveries du promenuer solitarie” quasi un percorso a tappe nel quale la quinta e la settima sembrano essere le più ispirate e riuscite, se nella “quinta passeggiata” prevalgono, infatti, le luci, i colori, le mille piante e le melodie lacustri, nella “settima” (forse la più bella) il tono oscilla fra il lirico e il riflessivo. Jean Jacques teme che possano “lievitare i germi della vendetta e dell’odio” studia quasi per hobby il mondo minerale e quello animale.
Polemizza inoltre con “i gestori dei beni terrestri” ovvero i farmacisti: gente che “ha l’abitudine di rinvenire nelle piante solo droghe e balsami”.
E mentre giura sulle virtù taumaturgiche del regno vegetale “delle molte malattie che ci perseguitano non ve n’è una che diversi tipi di erbe non possano guarire” (un anticipatore dell’effetto sinergico dei farmaci) butta letteralmente alle ortiche cerusici e speziali.
“Il diletto che ricavo dalle mie escursioni nei boschi sarebbe avvelenato se ad accompagnarlo fosse il rovello delle infermità umane, se mia abbandonassi a meditare sulla febbre, sui calcoli, sulla gotta”.
Con un inno conclusivo alla scienza botanica sensualmente attinta e goduta, rivela: “Essa mi fa dimenticare le persecuzioni degli uomini e gli oltraggi con cui hanno ripagato il mio tenero e sincero affetto”.
Come dire: il “contratto” e il contatto con Madre Natura ripaga da mille delusioni, anche le più brucianti, come le sentimentali, possono risultare meno dolorose se a lenirle è il rapporto intimo ed esclusivo che nasce quasi per incanto con l’ambiente nel quale ci si immerge per cercare in un fiore che sboccia o in un filo d’erba quel che pensavamo perduto per sempre, ma che nonostante tutto resta celato in qualche angolo recondito dentro di noi: la mai sopita voglia d’amare; una nuova dimensione in cui ritrovarsi, uno spazio nel quale “rinchiudersi” per ascoltare il vento e il mare mentre parlano  il linguaggio del cuore, un’altra ragione per la quale valga ancora la pena di vivere, dimenticando il passato (o tentare di dimenticarlo) riconciliandosi  e vivendo in sintonia con il Creato.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/antoniando/trackback.php?msg=2726638

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
 
>> incipitario su antonia nella notte
Ricevuto in data 24/05/07 @ 16:28
  incipitario Jo March, mi ha invitato a partecipare ad un giochino blogghistico che peraltro già... (continua)
 
Commenti al Post:
ossimora
ossimora il 21/05/07 alle 10:45 via WEB
buongiorno grazie per la dritta...abbraccio
(Rispondi)
Gli Ospiti sono gli utenti non iscritti alla Community di Libero.