Creato da antonio.gambini il 12/02/2007

Morte Di Gambini

Racconti

 

 

« "Mrs. Dalloway," Virgi...Ten years on »

Marina Cvetaeva

Post n°629 pubblicato il 31 Agosto 2011 da antonio.gambini
 

grande e sfortunata poetessa russa, nacque a Mosca l'8 ottobre 1892, da Ivan Vladimirovic Cvetaev (1847-1913, filologo e storico dell'arte, creatore e direttore del Museo Rumjancev, oggi Museo Pushkin) e della sua seconda moglie Marija Mejn.

La madre, pianista di talento. si sforzò di trasmettere alla figlia l'amore per la musica e la pittura, ma la passione della bambina si riversava sulla poesia:  cominciò a scrivere versi a sei anni, e pubblicòla sua  prima lraccolta di poesia "Album serale" nel 1910 a soli 18 anni.

Dopo gli studi ginnasiali Marina andò da sola a Parigi per frequentare le lezioni di letteratura francese alla Sorbona.

Giovanissima, a soli 17 anni incontra Sergej Efron che ha solo un anno più di lei e i due si sposano mentre lui è ancora all'Accademia Militare.

Dotata di un carattere forte, indipendente e straordinariamente romantica, la giovane poetessa si taglia i capelli, fuma, viaggia da sola e vive delle storie d'amore.

La primogenita degli Efron, Ariadna (Alja), nasce il 18 settembre 1912, Marina continua a scrivere ed a pubblicare versi, con accoglienze contrastanti da parte delle critica.

Durante la rivoluzione di Febbraio del 1917 la Cvetaeva si trova a Mosca, la seconda figlia, Irina, nasce in aprile e Marina Cvetaeva è testimone della sanguinosa rivoluzione bolscevica di ottobre.
A causa della guerra civile ella si trova separata dal marito, che si era unito, da ufficiale, ai bianchi.
A soli venticinque anni, Marina rimane sola con due figlie in una Mosca in preda ad una carestia terribile. La poetessa che appartiene ad una classe sociale che non ha mai lavorato, sprovvista di senso pratico, non riesce a conservare il posto di lavoro che le avevano benevolmente procurato.
Durante l'inverno 1919-20 si trova costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, e la bambina  muore nel febbraio per denutrizione.
Quando la guerra civile finisce, la Cvetaeva riesce finalmente a entrare in contatto con il marito e nel maggio del 1922 emigra a Praga passando per Berlino.

A Praga Marina Cvetaeva si riunì al marito e ha il terzo figlio  "Mur".

Nei primi anni del periodo dell'emigrazione la poetessa aveva preso parte attivamente alla vita culturale russa. Veniva pubblicata spesso e i suoi modesti onorari erano un sostegno essenziale per la famiglia.

Elena Izvol'skaja così ricorda la Cvetaeva nei suoi primi anni a Parigi: "La mia Marina: quella che lavorava, e scriveva, e raccoglieva la legna, e nutriva la famiglia con le briciole. Lavava per terra, faceva il bucato, cuciva con le sue dita esili una volta, adesso ingrossate dal lavoro. Ricordo bene quelle dita, ingiallite dal fumo, reggevano la teiera, la casseruola, la padella, la gavetta, il ferro da stiro, infilavano il filo nella cruna, accendevano la stufa. Eppure, quelle stesse dita guidavano la penna o la matita sulla carta, sul tavolo della cucina dal quale tutto era stato tolto in fretta. Seduta al quel tavolo, Marina scriveva, - versi, prosa, buttava giù le brutte copie di interi poemi, talvolta tracciava due, tre parole, una sola rima, e molte, molte volte la ricopiava."

Ma poco per volta l'atmofera intorno al lei cambiò: il marito Sergej Efron era passato apertamente dalla parte dei Soviet. e, rimpatriato, prese parte attivamente alla vita politica, convincendo anche la figlia a seguirlo.

Marina si trovava completamente isolata nell'ambiente dell'emigrazione e all'inizio degli anni '30, fu costretta a trasferirsi in una casa meno cara dove non poteva scrivere versi, perché bisognava lavorare alla più "remunerativa" prosa.

Quando Pasternak venne a Parigi nel 1935 (nel corso degli anni venti si erano scritti frequentemente e si erano dedicati reciprocamente dei poemi), lei gli chiese se fosse prudente per lei tornare in Russia, come chiedeva il figlio per riunirsi al marito.

La Cvetaeva ripeteva spesso di non voler tornare, le lettere provenienti dalla Russia erano delle eloquenti testimonianze sulla vita da quelle parti. Ma rileggendo la promessa fatta ad Efron nel 1917, - "Vi seguirò dovunque, come un cagnolino", - ella annotò a margine: "Ed ora lo sto seguendo - come un cagnolino (21 anni dopo)", e scrisse la data, quella del 17 giugno 1938.

Nel giugno del '39 si imbarcò a Le Havre per la Russia, dopo avere minuziosamente riordinato e affidato i manoscritti a persone di fiducia, chiaramente rendendosi conto di ciò che le poteva succedere, ma anche conservando la convinzione che i suoi lavori non sarebbero stati dimenticati.

Ma la Cvetaeva non conosceva il peggio: Efron aveva cominciato a collaborare con la GPU partecipando addirittura ad un omicidio.

Quello che la Cvetaeva aveva dovuto soffrire in Francia, sembrò presto una sciocchezza al confronto di ciò che la aspettava in Unione Sovietica.

Nonostante alcuni vecchi amici e colleghi scrittori la vennero a salutare, ad esempio Krucenich, ella capì in fretta che per lei in Russia non c'era posto.

Le furono procurati dei lavori di traduzione, ma dove abitare e cosa mangiare restava un problema. Gli altri la sfuggivano. Tutto sommato, lei era una ex emigrata, una "bianca", aveva vissuto all'Ovest - e questo, dopo le epurazioni ed il terrore di massa degli anni trenta, quando milioni di persone erano state sterminate senza che avessero commesso alcunché, tanto meno delitti come quelli che gravavano sul conto della Cvetaeva.

Nell'agosto del 1939 sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag. Ancora prima era stata presa la sorella. Quindi venne arrestato e fucilato Efron - un nemico del popolo, ma soprattutto, uno che sapeva troppo.

La Cvetaeva cercò' aiuto tra i letterati. Quando si rivolse a Fadeev, l'onnipotente capo dell'Unione degli scrittori, egli disse alla "compagna Cvetaeva" che a Mosca non c'era posto per lei, e la spedì a Golicyno (venne fucilato quindici anni dopo).

Nel settembre del 1940 ella scrisse sul quaderno di appunti che...
"già da un anno cerco con gli occhi un gancio... Da un anno misuro la morte. Tutto è mostruoso e terribile. Ingoiare pasticche è disgustoso, buttarsi da una finestra è abominevole e ho un'innata ripugnanza per l'acqua. Non voglio spaventare nessuno (da morta), mi sembra di aver già paura - da morta - di me stessa.

Non voglio morire. Voglio - non essere. Assurdo. Finché sarò necessaria... ma, Dio mio, come sono piccola, quanto poco posso fare! Vivere fino in fondo - è come masticare fino in fondo. Assenzio amaro."

Quando l'estate successiva cominciò l'invasione tedesca, la Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga, nella repubblica autonoma di Tataria. Ella si sentiva completamente abbandonata. I vicini l'aiutavano a mettere insieme le razioni alimentari.

Dopo qualche giorno ella si recò nella città vicina di Cistopol', dove vivevano altri letterati; una volta lì, chiese ad alcuni scrittori famosi - Fedin e Aseev - di aiutarla a trovare lavoro e a trasferirsi da Elabuga. Non avendo ricevuto da loro alcun aiuto, tornò a Elabuga disperata. Mur si lamentava della vita che conducevano, pretendeva un abito nuovo. Il denaro che avevano bastava appena per due pagnotte.

La domenica 31 agosto del 1941, rimasta da sola a casa, la Cvetaeva salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò.

Lasciò un biglietto, scomparso adesso negli archivi della milizia. Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog

AREA PERSONALE

 

 

Instagram

 

I MIEI BLOG AMICI

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

TAG

 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

SEI DEL GATTO

 

 

Milano, 12 dicembre 1969 h 16.37
Una bomba esplode nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura
Piazza Fontana
Strage


 

MALATTIE LETTERARIE

http://www.radio.rai.it/podcast/A42415801.mp3

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.


 

THE BRIDE OF THE MONSTER - BELA LUGOSI

 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 

ULTIMI COMMENTI

Ti auguro un buon
Inviato da: flappy bird
il 17/02/2014 alle 13:08
 
interessante
Inviato da: puzzle bubble
il 29/04/2012 alle 13:12
 
un immenso bisogno di un periodo di tregua tra una bega e...
Inviato da: antonio.gambini
il 13/03/2012 alle 17:26
 
Ti auguro un buon week-end ...... Ciao! Lady Saturno
Inviato da: Saturnoconto75
il 03/03/2012 alle 10:13
 
è in agonia. moriamo per delle idee, va bè, ma di morte...
Inviato da: antonio.gambini
il 20/08/2011 alle 10:31
 
 

εικασIα


 

DANGER

 

 

GLASNOST

"Il mondo … questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m’irritava : senza dubbio non c’era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse.

 
Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente : gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. orbene, non c’è alcun essere necessario che può spiegare l’esistenza : la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare … ecco la Nausea".

"Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda…
 
Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura - ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue.
 
Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità"

(JP Sartre, La nausea)
 

ULTIME VISITE AL BLOG

pontespanbi760macchisonosidibouantonio.gambinilidia.radio24sognatric3oscardellestellerioga651965betaeta7psicologiaforensePisu90luboporiv03
 
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963