Creato da antonio.gambini il 12/02/2007

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GROUND ZERO

Post n°535 pubblicato il 18 Luglio 2009 da antonio.gambini

ground zero
Ground Zero Locuzione (propriamente "livello zero"), già impiegata per indicare l’area desertica del New Mexico dove erano stati effettuati i primi test nucleari nel 1945 e successivamente le città di Hiroshima e Nagasaki, devastate dalle due bombe atomiche statunitensi alla fine della seconda guerra mondiale, con cui per l’uso che ne hanno fatto i media dal 12 settembre 2001 si indica l’area di Manhattan dove sorgevano le Torri Gemelle del World Trade Center. I lavori di sgombero di Ground Zero sono durati otto mesi e 19 giorni e per essi sono stati spesi circa 750 milioni di dollari. Si stima che per liberare i 7 ettari dalle macerie ci siano voluti complessivamente 3,1 milioni di ore di lavoro; in totale sono stati rimossi 1,6 milioni di tonnellate di detriti (190.568 tonnellate solo di acciaio) e i camion su cui sono state caricate le macerie hanno compiuto  108.444 viaggi. Sono stati ritrovati soltanto 1092 corpi delle 2823 vittime, tra le quali più di 500 soccorritori. Sono inoltre stati rinvenuti oltre 20.000 frammenti di corpi umani, per i quali è previsto un lungo e difficile processo di identificazione. Sul futuro dell’area sono state formulate varie ipotesi. Alcuni propongono di ricostruire i due grattacieli, altri di riservare il sito a monumento commemorativo, altri ancora di adottare una soluzione che concili i due obiettivi. Ai progetti presentati da 60 architetti di fama mondiale è stata dedicata la mostra A New World Trade Center, Design Proposals, tenuta dal 30 gennaio al 10 giugno 2002 al National Building Museum di Washington e curata dal gallerista Max Protetch. Nel 2003 le autorità hanno deciso di affidare il progetto per la costruzione della nuova struttura che dovrà sorgere al posto delle Twin Towers a Daniel Libeskind e a David Childs. L’idea è basata sulla costruzione di un complesso di edifici gravitanti intorno alla Freedom Tower, con l’intento di stabilire il record di edificio più alto del mondo (1776 piedi, come l’anno della Dichiarazione d’indipendenza americana, corrispondenti a circa 550 m, più una guglia lunga 276 piedi, corrispondenti a circa 80 m). Il complesso, al 2008 in costruzione, ospiterà un memoriale in onore delle vittime, musei, attività commerciali e spazi ricreativi.

 
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Milano, 12 dicembre 1969 h 16.37
Una bomba esplode nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura
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http://www.radio.rai.it/podcast/A42415801.mp3

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.


 

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"Il mondo … questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m’irritava : senza dubbio non c’era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse.

 
Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente : gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. orbene, non c’è alcun essere necessario che può spiegare l’esistenza : la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare … ecco la Nausea".

"Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda…
 
Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura - ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue.
 
Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità"

(JP Sartre, La nausea)
 

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