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Cosa bolle in pentola?    di Ettore Zuccheri

Post n°13 pubblicato il 08 Maggio 2007 da maurizio.massari
 

Nel grande mare delle idee del basket ci sono alcune verifiche tecnico-didattiche poco rilevate dai colleghi, allenatori delle squadre giovanili. Lo dico con cognizione di causa perché , andando dentro i vari siti degli allenatori oppure associazioni degli stessi , certi argomenti vengono evitati  o poco trattati. Ovviamente non significa che siano sconosciuti, ci mencherebbe. Magari sono  ritenuti poco interessanti oppure scontati. Anche durante le riunioni tecniche che facciamo ogni anno a Budrio, gli argomenti sono vari , ma mai centrati sul rapporto didattico (allenatore-giocatore). Infatti, non sempre è chiaro come l’allenatore, attraverso le sue scelte metodologiche e la sua azione didattica, possa essere  anche facilitatore (se mi passate il termine), cerchi cioè di  fornire i sostegni tecnici  (fondamentali) necessari al giocatore e , nel contempo, lasciare a quest’ultimo la responsabilità che gli compete, quella di imparare. Insegnamento e apprendimento sembrano entrare in una dialettica complessa e a volte ambigua, siete d’accordo?

Quello che vorrei sottolineare è la necessità  di entrambi i momenti, l’importante è non esagerare in un verso o nell’altro. Se l’allenatore vuole seguire la strada del solo insegnamento sbatterà contro il muro di un risultato negativo rappresentato dalla “dipendenza” tecnica, esattamente il contrario dell’autonomia, riconosciuta come la grande meta dell’allenatore. Coinvolgendo invece il giocatore al progetto tecnico si facilita lo stesso a prendere coscienza delle problematiche , risolvibili con grande applicazione, anche senza la presenza dell’allenatore , che ha dato però la spinta iniziale.           Tenere un quaderno per scrivere il lavoro fatto con l’allenatore , avere uno spazio prima dell’allenamento per provarlo da solo, credo siano procedure didattiche che facilitano l’apprendimento del giocatore. Gli daranno la possibilità di farlo anche lontano dalla palestra, da solo , al campo di gioco aperto al pubblico (campetto). In altre parole , ciò che è necessario , secondo il mio modesto avviso, è riconducibile al fatto che gli insegnanti dovrebbero introdurre delle valide strategie di apprendimento…nel loro insegnamento. E’ la mia esperienza coi giovani di Budrio dove l’apertura della palestra, 90’ prima dell’allenamento, serviva ai ragazzi per allenarsi da soli (fondamentali e gioco libero), con la mia presenza per controllare la serietà degli intenti.           E dopo? Solo gioco, fatto a metà campo e tutto campo, guidato dall’allenatore. Possono stare in palestra per tre ore, tre volte alla settimana? Solo se si divertono e  si sentono protagonisti. Abbiamo distruibuito video-tape con partite e movimenti tecnici dei grandi giocatori USA. Siamo certi che, di solito, quello che viene progettato dal giocatore, copiando i più bravi, ha una grande possibilità di essere realizzata in campo. E’ un dato di fatto. Non è sempre detto che questo accada, se  è solamente  l’allenatore a proporlo. Non stiamo parlando solo dei fondamentali analitici o dei principi di gioco che servono per la sopravvivenza in  campo, ma di attuare qualcosa oltre questo livello.  Ci sarà sicuramente da obiettare sul fatto di avere a disposizione la palestra per fare queste programmazioni. Siamo poi sicuri che altri sarebbero pronti a fare lo stesso?  Fatta la premessa , vorrei sottolineare  che ci sono diversi argomenti  che andrebbero trattati (lo faremo ovviamente) e mi riferisco soprattutto ai seguenti problemi centrali. Ecco cosa bolle in pentola:

  1. La  prima preoccupazione dovrebbe far pensare al basket in relazione del periodo storico vissuto, con riferimento all’insegnamento e all’apprendimento. Cosa voglio dire? Cambia il periodo storico, differenti sono i ragazzi che si presentano in palestra, giusto? Così si dovrà   modificare  anche il rapporto didattico per salvaguardarne i bisogni. Infatti , il gioco è un bisogno primario. Qualsiasi modificazione venga portata al proprio metodo di lavoro, dovrebbe rimare fissa la meta della comprensione del gioco per catturare il suo “spirito”.               Come vedremo, è importante distinguere l’interpretazione dello stesso, attuata istintivamente dai giovani.
  2. Il secondo problema è riferito all’autonomia del giocatore che è la grande meta dell’allenatore. Come ottenerla? Coinvolgendo l’allievo a partecipare al progetto tecnico, lo abbiamo detto. Ancora richiamiamo l’attenzione alla divisione in due parti  distinte di  insegnamento-apprendimento. Quanto vale l’esperienza personale per raggiungere l’autonomia? Dai bambini ai giovani (in generale) si dovrebbe creare una mentalità che permetta di allenarsi anche da soli.  
  3. Il terzo riguarda l’imprevedibilità, definito “sale” del basket, ma che è anche  un grande ostacolo per chi pensa di far crescere i propri ragazzi solo con l’insegnamento. Se c’è dipendenza, è impossibile tirare avanti il discorso  dell’imprevedibilità che non può essere insegnata.
  4. Il quarto problema vuole puntare l’indice sul fatto che (purtroppo) il rapporto tecnico con l’allievo è sempre riferito al presente e poco (o mai) pensando al suo futuro. I ragazzi vengono di solito incanalati tecnicamente secondo una situazione fisica e tecnica che tiene in considerazione le potenzialità momentanee. Diverso è vederlo proiettato nel futuro dove quasi sicuramente dovrebbe cambiare ruolo. Unica eccezione per i playmakers, dove però la conoscenza di un altro ruolo potrebbe essere almeno utile. E’ un’operazione è necessaria.    E bisognerà  tenerlo presente, fin dall’inizio,  nella programmazione per lo sviluppo delle individualità. Diventa importante scegliere moduli di gioco dove tutti posssono esprimersi nel ruolo di play-ala-pivot. L’esperienza mi dice che  è più facile portare fuori dall’area un ragazzo che giocava “pivot”, piuttoso che l’inverso. Tutto deve avvenire però con il consenso del giovane e l’allenatore deve avere stimato che si può fare. Conoscere bene due ruoli è indispensabile.

A mio avviso, questi argomenti, hanno un aspetto  in comune  per quel che riguarda il gioco e l’insegnamento dei fondamentali. Problemi centrali che debbono essere trattati a parte, in quanto vastissimi, anche se è altrettanto importante analizzarli con sguardo riassuntivo, come abbiamo fatto ora. Saranno le prossime mete per questo Blog.

 
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Commenti al Post:
patrick.pambianchi
patrick.pambianchi il 08/05/07 alle 17:55 via WEB
"L’esperienza mi dice che è più facile portare fuori dall’area un ragazzo che giocava “pivot”, piuttoso che l’inverso" Nella mia breve esperienza di allenatore e prima di giocatore ho sempre assistito al problema inverso, ovvero: ragazzi che a inizio adolescenza sono molto alti vengono messi spesso e volentieria giocare sotto canestro per motivi ben ovvi, e puntualmente quando la loro crescita fisica non è tale da potergli permettere di giocare anche da grande sotto canestro ci si trova con un giocatore che nn sa palleggiare, nn ha visione d gioco, movimento offensivi limitati ecc ecc Io credo che in realta sia molto piu facile portare un ragazzo dal ruolo di ala a quello di pivot piuttosto che l'inverso; se non altro per il modo in cui vengono allenati questi "lunghi" in tantissimi settori giovanili ovvero con l'uinco compito di stoppare, giocare spalle a canestro e saltare....non insegnandogli nulla o quasi dei fondamentali con e senza palla
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