Creato da maurizio.massari il 19/04/2007
blog informale dell'associazione allenatori pallacanestro giovanile
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Quello che vorrei sottolineare è la necessità di entrambi i momenti, l’importante è non esagerare in un verso o nell’altro. Se l’allenatore vuole seguire la strada del solo insegnamento sbatterà contro il muro di un risultato negativo rappresentato dalla “dipendenza” tecnica, esattamente il contrario dell’autonomia, riconosciuta come la grande meta dell’allenatore. Coinvolgendo invece il giocatore al progetto tecnico si facilita lo stesso a prendere coscienza delle problematiche , risolvibili con grande applicazione, anche senza la presenza dell’allenatore , che ha dato però la spinta iniziale. Tenere un quaderno per scrivere il lavoro fatto con l’allenatore , avere uno spazio prima dell’allenamento per provarlo da solo, credo siano procedure didattiche che facilitano l’apprendimento del giocatore. Gli daranno la possibilità di farlo anche lontano dalla palestra, da solo , al campo di gioco aperto al pubblico (campetto). In altre parole , ciò che è necessario , secondo il mio modesto avviso, è riconducibile al fatto che gli insegnanti dovrebbero introdurre delle valide strategie di apprendimento…nel loro insegnamento. E’ la mia esperienza coi giovani di Budrio dove l’apertura della palestra, 90’ prima dell’allenamento, serviva ai ragazzi per allenarsi da soli (fondamentali e gioco libero), con la mia presenza per controllare la serietà degli intenti. E dopo? Solo gioco, fatto a metà campo e tutto campo, guidato dall’allenatore. Possono stare in palestra per tre ore, tre volte alla settimana? Solo se si divertono e si sentono protagonisti. Abbiamo distruibuito video-tape con partite e movimenti tecnici dei grandi giocatori USA. Siamo certi che, di solito, quello che viene progettato dal giocatore, copiando i più bravi, ha una grande possibilità di essere realizzata in campo. E’ un dato di fatto. Non è sempre detto che questo accada, se è solamente l’allenatore a proporlo. Non stiamo parlando solo dei fondamentali analitici o dei principi di gioco che servono per la sopravvivenza in campo, ma di attuare qualcosa oltre questo livello. Ci sarà sicuramente da obiettare sul fatto di avere a disposizione la palestra per fare queste programmazioni. Siamo poi sicuri che altri sarebbero pronti a fare lo stesso? Fatta la premessa , vorrei sottolineare che ci sono diversi argomenti che andrebbero trattati (lo faremo ovviamente) e mi riferisco soprattutto ai seguenti problemi centrali. Ecco cosa bolle in pentola:
- La prima preoccupazione dovrebbe far pensare al basket in relazione del periodo storico vissuto, con riferimento all’insegnamento e all’apprendimento. Cosa voglio dire? Cambia il periodo storico, differenti sono i ragazzi che si presentano in palestra, giusto? Così si dovrà modificare anche il rapporto didattico per salvaguardarne i bisogni. Infatti , il gioco è un bisogno primario. Qualsiasi modificazione venga portata al proprio metodo di lavoro, dovrebbe rimare fissa la meta della comprensione del gioco per catturare il suo “spirito”. Come vedremo, è importante distinguere l’interpretazione dello stesso, attuata istintivamente dai giovani.
- Il secondo problema è riferito all’autonomia del giocatore che è la grande meta dell’allenatore. Come ottenerla? Coinvolgendo l’allievo a partecipare al progetto tecnico, lo abbiamo detto. Ancora richiamiamo l’attenzione alla divisione in due parti distinte di insegnamento-apprendimento. Quanto vale l’esperienza personale per raggiungere l’autonomia? Dai bambini ai giovani (in generale) si dovrebbe creare una mentalità che permetta di allenarsi anche da soli.
- Il terzo riguarda l’imprevedibilità, definito “sale” del basket, ma che è anche un grande ostacolo per chi pensa di far crescere i propri ragazzi solo con l’insegnamento. Se c’è dipendenza, è impossibile tirare avanti il discorso dell’imprevedibilità che non può essere insegnata.
- Il quarto problema vuole puntare l’indice sul fatto che (purtroppo) il rapporto tecnico con l’allievo è sempre riferito al presente e poco (o mai) pensando al suo futuro. I ragazzi vengono di solito incanalati tecnicamente secondo una situazione fisica e tecnica che tiene in considerazione le potenzialità momentanee. Diverso è vederlo proiettato nel futuro dove quasi sicuramente dovrebbe cambiare ruolo. Unica eccezione per i playmakers, dove però la conoscenza di un altro ruolo potrebbe essere almeno utile. E’ un’operazione è necessaria. E bisognerà tenerlo presente, fin dall’inizio, nella programmazione per lo sviluppo delle individualità. Diventa importante scegliere moduli di gioco dove tutti posssono esprimersi nel ruolo di play-ala-pivot. L’esperienza mi dice che è più facile portare fuori dall’area un ragazzo che giocava “pivot”, piuttoso che l’inverso. Tutto deve avvenire però con il consenso del giovane e l’allenatore deve avere stimato che si può fare. Conoscere bene due ruoli è indispensabile.
A mio avviso, questi argomenti, hanno un aspetto in comune per quel che riguarda il gioco e l’insegnamento dei fondamentali. Problemi centrali che debbono essere trattati a parte, in quanto vastissimi, anche se è altrettanto importante analizzarli con sguardo riassuntivo, come abbiamo fatto ora. Saranno le prossime mete per questo Blog.
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