Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 1

Post n°1 pubblicato il 16 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Vidi la luce il 56 febbraio 1, in una giornata che pioveva, o forse c'era il sole, adesso non saprei. Il primo episodio di cui ho memoria, sarebbe che ero seduto sopra un prato, ai giardinetti vicino casa mia. Ero seduto in precario equilibrio sul pannollone, lo capite?, avrò avuto due anni, e a un certo momento comincio a inclinarmi piano piano sul mio asse verticale e non sono più in grado di riprendere la mia posizione di pupo regolamentare, e a furia di inclinarmi alla fine prendo una tempiata al suolo che mi metto a piangere. Mi metto a piangere? Non me lo ricordo. Però mi ricordo, con precisione mi ricordo che guardai negli occhi un botolo di razza incerta che stancamente mi si era avvicinato e pensai: che vita di merda.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 2

Post n°3 pubblicato il 16 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Come hai intenzione di procedere? Questa domanda mi opprime dal 61 marzo 12, alle ore 33, cioè il momento in cui decisi di aprire il mio blog. Come hai intenzione di procedere? Me lo domandò la mamma, il babbo, il chierico vagante travestito da sacerdote, il fontanone battesimale dove venni asperso, me lo domandò Achille, il mio amico immaginario, la maestra Gianluca, il datore di lavoro, e, dopo aver fumato un paio di tiri di quello buono, me lo domandarono insistentemente anche i miei occhiali da presbite. A tutti risposi nel medesimo modo: non lo so. Se mi capiterà ancora di scrivere, allora salterò di palo in frasca, andrò per camporelle, non esisterò più (come le mezze stagioni) oppure esiterò, d'accordo, ma fittizio. D'altra parte qui gatta cicoria, diceva l'erbaiolo. Per intanto, a maggior agio del lettore, ecco di seguito pubblicata la mia genealogia, affinché si sappia con chi avete a che fare, maladetti.

BuonDio generò Pinocchio e Cenerella, Pinocchio e Cenerella generò di amore incestuoso lo mago Bondi, lo mago Bondi, diventato cieco per le pratiche autoerotiche, generò Chitaiuti, Chitaiuti generò 'Ndolometto, 'Ndolometto generò Berluskaiser, Berluskaiser si guardò allo specchio e decise di porre fine alla discendenza, ma una notte che le cronache riferiscono orribile per le condizioni meteo venne preso a viva forza da Storabatrace e generò Mussola di Forte Alito, Mussola di Forte Alito generò Megliofasci, Megliofasci generò Chefroci, Chefroci generò Plagio, Plagio di carattere iracondo generò lo PapaRatzi, lo PapaRatzi sospese per cinque generazioni la fecondazione assistita e la copula e la crapula finché dal suo testicolo destro non si generò per autocombustione il modesto Socci, il modesto Socci ingravidò la Pivetta dalla quale nacque prima un sorcio e in seconda battuta quel vecchio pervertito de TuSorella, TuSorella generò Prodi, Prodi generò una torma di nanetti neoliberisti, uno di questi, Francesco, mio padre, finalmente mi generò con la sartina della porta accanto e dopo quindici lustri di gestazione in cui ne accaddero di tutti i colori (cito alla rinfusa: un guaio giudiziario, un litigio in famiglia, un morto che parla, un lupus in fabula, un pezzo da novanta: la paura, una notte sull'altipiano, un anno in guardina, un libro mai dato alle stampe) eccomi io, il bisunto del Signore, io, padrone della lingua e dei concetti, io io io, altissimo e potente: onnipotente, e adesso ascoltate: devo andare a pisciare.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 3

Post n°4 pubblicato il 18 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

I segni di una complessione straordinaria si manifestarono in me fin dalla più tenera età. Al compimento del mio terzo anno di vita avevo già dato alle stampe l'edizione critica dell'Opera Omnia di Johann Sebastian Bach ed ero un autentico drago con il kazoo. Mio padre non si accorse mai di niente, impegnato com'era nelle sue attività: il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione. Mia madre, invece, rimase favorevolmente impressionata. Dessa pensava di avere a che fare con un bambino prodigio, un inutile bambino prodigio come se ne vedevano tanti in quei tempi ricchi di talento. La poverina pensò addirittura di fare domanda per partecipare alla trasmissione televisiva Genius, ma io avevo altri progetti. Fu in quel periodo, infatti, che decisi di diventare Gesù Cristo. In un primo momento la mia natura divina mi permise di mettere a punto alcuni trucchetti miracolosi per imbonire gli idioti. Alle feste con i compagnucci della parrocchia moltiplicavo le pizzette quando cominciavano a scarseggiare e, come se non bastasse, trasformavo l'acqua in Coca Cola. La mia popolarità crebbe in maniera esponenziale quando cominciai a cagare oro a diciotto carati. Si interessò alla mia acconcia persona anche un network britannico, che venne a girare un servizio il pomeriggio in cui, vestito da Madonna, piangevo lacrime di sangue. La mia popolarità crebbe a dismisura, soprattutto nei paesi di lingua anglosassone, ma a parte l'oro che mi producevo da me, e che non riuscivo a piazzare sul mercato perché fieramente puteva, di quattrini nemmeno l'ombra. Poiché ero ormai ridotto all'indigenza, pregai il Signore che sta nei cieli affinché mi consentisse di cambiare l'ordine degli addendi, ma Egli mi accontentò solo a metà. Non piansi oro, ma per un lungo periodo cagai sangue per via della gigantesca emorroide che venne ad occludermi lo sfintere e alla quale diedi il nome di Giacomo il Maggiore.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 4

Post n°5 pubblicato il 19 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Giacomo il Maggiore era diventato per me una sorta di fratello minore: mi impartiva ordini a cui non osavo obbedire a causa di una natura violenta che lentamente si stava instillando in me. Trasformai così Giacomo in un sacchettino trasparente, uno di quei contenitori ospedalieri in cui gli agonizzanti trasferiscono le loro sostanze urinarie. Me lo portavo a spasso e ogni giorno trasferivo in lui (in esso, dovrei dire) le mie sostanze: trasferivo in lui, in esso, me stesso, suo fratello maggiore. Lo vezzeggiavo il mio caro sacchetto, il mio palloncino tombale in plastica ospedaliera e mi sentivo potente come mai mi ero sentito. Correva l'anno 24 lungo la verticale dei meridiani e io ero ancora un giovane ribaldo: dovevo ancora farmi! Dovevo ancora mettere su quella robusta complessione che millenni dopo avrebbe spaventato l'intero mondo, ma già, con il mio palloncino fraterno ero in grado di sfidare chiunque! Fu proprio in quel periodo che tre persone cominciarono a farmi visita. Erano la mia emorroide, Dio e Paul Newman.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 5

Post n°6 pubblicato il 20 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Così, divenuto trinitario, il sessantaquattresimo giorno dell'anno uno, alle ore 72, feci ingresso in una sordida taverna del suburbio: una nebbia spessa stagnava nel locale, una nebbia così spessa che avrei potuto tagliarla con un coltello. Presi infatti il coltello per farmi strada, lo affondai in quella coltre nebbiosa, lo affondai nel cuore di mio padre, come nel burro. Quando ritrassi l'arma e la feci balenare sotto la luce di una lampada a petrolio, il sangue di mio padre baluginò, si rifranse e cadde a terra in piccoli corpuscoli: io, il barbaro, avevo ucciso mio padre. Avevo così obbedito al comandamento supremo: uccidi il padre, violenta la madre, amali e sotterrali. Quel grande fottitore paterno, colui che aveva ingravidato la sartina, giaceva ora con il sangue che gli gorgogliva nella gorgotta. Guardai gli avventori che mi fissavano inebetiti: andate, dissi loro, andate e uccidete e tornate a me con il cuore di vostro padre. Poi alzai una gamba e lasciai sibilare una ineffabile scoreggia.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 6

Post n°7 pubblicato il 20 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Ormai ero diventato intoccabile. Un mammasantissima. Un padrone del vapore. Un Presidente del Consiglio. Negli ambienti della mala, il mio nome procurava coliche renali e dissenteria. Una nota casa farmaceutica mise sul mercato un placebo che funzionava alla grande contro la stipsi soltanto in virtù del suo nome (Palucell), che evidentemente riecheggiava il mio. L'immagine del sottoscritto era presente ovunque: nei saloni di bellezza e sugli autobus, sopra le cattedre delle scuole medie e alle pareti dei vespasiani. L'Ufficio Filatelico della Repubblica realizzò perfino un annullo che mi ritraeva con Giacomo il Maggiore sulla cima Coppi, entrambi in una posa trionfale. Ma tutto questo non mi bastava. Assieme alla mia fida emorroide decisi allora di formare un complesso rock. Io, Giacomo, Dio e Paul Newman assumemmo il nome di Bittols e, anche se formalmente eravamo in tre, fummo soprannominati i FabFour o anche, in subordine, i Quattro ragazzi di Quarto Oggiaro. Avevamo sedici coristi. O lettori: devo proprio dirvi che quello fu il periodo più bello e spensierato della mia vita. Stiamo parlando del decennio che va dal 24 al 25, in pieno boom economico. Essere giovani in quegli anni, come si può descrivere? C'era sempre un'opportunità. Difatti un bel giorno decidemmo di imbarcarci in una nave della flotta Costa. Quante donne, quanti amori. La mia emorroide stordiva le prede al suono delle note di Charles Trenet, poi io me le trombavo, benché fossi un discreto pianista. Il nostro cavallo di battaglia era Que reste-t-il de nos amours? Paul Newman suonava il contrabbasso così come si suona in paradiso, Dio era un chitarrista come non ce ne sono più stati, io al piano e Giacomo voce solista facevamo sempre la nostra porca figura. Una solo cosa mi preoccupava. Non crescevo. Continuavo ad essere alto (se si può dire alto) 1 metro e 63 centimetri. E perdevo ogni giorno una quantità imbarazzante di capelli.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 7

Post n°8 pubblicato il 20 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Così quando mi acculattai davanti allo schermo del network inglese (che scoprii essere in realtà una redazione locale di Tele Brianza), mi prepararono un trespolo per pappagallo con sette cuscini sul seggiolino, affinché il mio busto potesse emergere dalla lucente scrivania dello studio. Con l'emorroide tuffato nel morbido dei cuscini tenni così il primo discorso alla nazione: promisi coiti mantra agli impotenti e agli eunuchi, la fertilità alle bisnonne, la pensione per invalidità agli atleti; promisi anche filmini a luci rosse ai ciechi e la musica dei cimbali celestiali ai sordi; promisi fica per tutti e cazzi coi fiocchi alle vergini, promisi lo shampoo per la crescita del pene e lo stantuffo per il coito faidaté. Concionai per sette anni di trentadue mesi e in quel tempo, acquattata sotto la scrivania, debitamente inginocchiata, suor Giuseppina, la mia graziosa suocerina, mi rendeva un sollazzevole servigio orale. Dissi che sotto la mia governanza non ci sarebbe mai più stato "game over" per nessuno, che le campane mortuarie non avrebbero mai più suonato e che la danza macabra si sarebbe trasformato in un eterno carnevale. Quando finii di parlare, sommerso da uno scroscio di applausi, non feci caso che un piccolo bastardino aveva lasciato un fecalino nero sulla punta delle mie scarpe nere tirate a lucido.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 8

Post n°9 pubblicato il 21 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Ma ora mi accorgo di avere parlato di mia suocera, l'invereconda suor Giuseppina, senza dettagliare sugli avvenimenti che mi condussero alle nozze. Ebbene, miei bravi, dovete sapere che parallelamente alla cavalcata verso gli empirei, mi ero molto dato da fare nel gaudevole sport dei lombi, che da giovane avevo invincibili. E, a tal proposito, adesso si apra una parentesi, perché voglio che si sappia che razza di atleta sono stato! Un fior di centometrista, sia a nuoto che a sputo, un raddrizza-banane col culo, un domatore di cavilli, un lanciatore di cd, ma soprattutto il portiere della squadra delle carceri, che se non fosse stato per l'altezza un po' deficitaria, sarei finito in Nazionale, e forse oggi la storia patria sarebbe stata diversa. Nel corso delle mie esibizioni tra i pali della Bacigalupo (così si chiamava il nostro WonderTeam), le tribune degli impianti si riempivano di pulzelle che accorrevano soltanto per vedermi in mutande. Gioco forza, mi fidanzai con cinque veline e altrettante letterine, a cui ogni sera elargivo il buon tempo che esse meritavano. Alla rossa una botta di sponda, alla slovena permettevo la fellatio emorroidale, la bruna la penetravo con la Lambretta, e via così, con una fantasia che non aveva limiti. Tra queste giovani, però, ce n'era una labbruta, con la faccia da troia, di cui mi innamorai perdutamente. Si chiamava Veronica, era nata ed aveva sempre vissuto in un convento. Il suo motto era: fai quello che vuoi, ma non giurare sui figli! Ero pazzo di lei, ma non disdegnavo di farmi titillare il glande dalla cara mamma, suor Giuseppina, appunto, che in gioventù aveva esercitato la difficile professione di maitresse di casini. Veronica e io ci sposammo, dopo un breve fidanzamento, il 109 ottobre dell'anno 13, ma la nostra felicità durò poco. La poverina, infatti, spirò dando alla luce il nostro primogenito, a cui imposi il nome di Pier Uccello. Chiudendo gli occhi, Veronica mi disse: regalami un funerale con i controcazzi. Naturalmente esaudii l'estremo desiderio di mia moglie. La mattina delle esequie, sul sagrato della chiesa del Rutto di Cornucopia, c'erano 1700 invitati e io arrivai un poco in ritardo. Ero passato dall'estetista a farmi una lampada, altrimenti sarei stato bianco come un cadavere.

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 9

Post n°10 pubblicato il 23 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

La morte di Veronica mi addolorò moltissimo, ma il genere femminile mi reclamava, e quindi non potei pavesarmi del lutto molto a lungo. E così, dando di fioretto e di stocchetto, in pochi mesi avevo ingravidato un numero strepitoso di donne; lavorando di fianchetto mi ero dato ai piaceri più sottili dell'arte amatoria. Anche al funerale di suor Beppina, morta un quarto d'ora dopo la figlia, non persi l'occasione per mostrare quanta potenza albergasse nei miei sacri lombi. Avevo individuato una madre superiora dall'aspetto piuttosto losco, con il gonnellino che lasciava intravedere un mutandone in pizzo sui cui bordi il mestruo aveva lasciato un'odorosa traccia: la vidi inginocchiarsi al confessionale e, con le vibrisse sollecitate da quel magnifico tanfo, non potei esimirmi dall'imporle il mio bastone pontificale. Alla pecorina anche le suore sono come le vacche, mi lasciò detto mio padre poco prima di spirare e, certo, il vecchio aveva avuto le sue ragioni. Fu da quell'incesto santo che nacque l'ultima della mia progenie, il cui nome vi rivelerò nel prossimo capitolo. Per ora vi basti sapere che lo scandalo fu messo a tacere da un ometto scaltro come il piombo, un tale Licio Gel che mi venne in soccoso proprio nel momento in cui avevo già messo piede sul patibolo morale della nazione! Fu lui e fu quel pallone gonfiato di Bettinocrassi, il maiale della Brianza, a tirarmi d'impaccio spedendomi a svernare alle Maldive, dove mi impiombarono tacchi in carbonio e mi munirono di un pene in zinco. Poi venne lo tsunami e un'onda tornò a vomitarmi sulle sacre sponde: Zacinto era cambiata, i bolscevichi erano alle porte e i cavalli dello zar avrebbero bevuto nello stagno di Arcore!

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 10

Post n°11 pubblicato il 23 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Aveva una ghigna oscena la mia diletta figlia, a cui imposi il nome di Maringa; c'era poi l'altra, di cui ho persino scordato il nome: una scorfana con un culo come una valigia e una fica che sembrava una tana per elefanti. La spedii a studiare filosofia, poi la diedi in pasto ai porci. Ma ora - scusate - sì, ecco, sono in diretta, scusate la patta discinta, ecco, non digrediamo per cortesia. Dunque riprendiamo il filo del discorso: il 49imo giorno dell'anno 82 sotto zero divenni, attraverso gli uffici di Licio detto il Ghignamai, direttore, poi amministratore delegato e quindi Presidente del network del Beato Cottolengo in Don Orione. Licenziai subito la vecchia guardia, mantenni solo le sguattere e una certa Lattizia Mammarotta. Quest'ultima, tornata da un viaggio nelle Olande e nelle relative culture psichedeliche, mi insegnò non solo l'orgasmo prostatico, ma anche quello sfinterico e quello emorroidale: la troia, che ordinai in seguito Ministra della Distruzione Totale del Fanciullo, mi iniziò ai segreti della Felice Masturbazione. Infilandomi un dito in culo fu anche lei a insegnarmi l'inno di Sforza Pitalia. In breve il Cottolengo venne popolato da una genìa di esserini che eccellevano nell'arte della ruffianeria e dello stacanovismo. Fra di esse SimunFede lo Biscazziere spiccava per le due doti di pompinaro con le quali dimostrava al sottoscritto la sua totale devozione al capo. Costui, un coscritto della vecchia generazione, aveva un segreto, nascondeva più di uno scheletro nella credenza ma, ciò, che più conta, si pisciava nei calzini e i suoi calzini, i suoi calzini erano bucati!

 
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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 11

Post n°12 pubblicato il 26 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Cosa significa scrollarsi il prepuzio nel giardino del Bene e del Male? Non so voi, cari miei, però io cominciavo a farmela nella braga. Ero salito in alto. Più in alto dei palazzi, più alto delle antenne di Tele Brianza, il mio sguardo si soffermava sulle formicuzze che vanamente si affannavano, sul ritmo dei semafori, e appena un po' più in là, vicino al monte, vedevo conigli e topi in fuga, laggiù. Come un elicottero, come un gufo padroneggiavo le correnti ascensionali, spaventavo le prefiche, portavo lutti ai casolari, e superando la curvatura terrestre, mi soffermavo sui delitti della storia, un maestoso rewind che mi condusse a confrontarmi con un'esplosione tremenda, un fungo di fuoco che si fissò sulla retina e mi impedì per sempre di vedere ancora le cose concrete di questo mondo in decadenza. Solo il nero mantello della morte, ormai, mi era dato di rimirare. La morte, capite? La morte sovrana. I luminari che chiamai a consulto me lo confermarono. Prima o dopo sarebbe toccato anche a me, di morire. Le prime unghiate del male che mi stava per inghiottire colpirono la fida emorroide, il tenero tenero Giacomo, che mi fu asportata nel corso di un intervento chirurgico a cuore aperto. Il giorno del funerale di Giacomo fu un giorno di grande mestizia. A che prezzo stavo pagando la mia popolarità planetaria? Mentre la bara di Giacomo il Maggiore scendeva nella terra fredda, pensai che doveva per forza esistere un modo per sconfiggere la puttana con la falce e da lì a poco cominciai ad accarezzare l'idea di costruirmi un mausoleo, il più grande e perfetto, un colossale tempio di marmo e fieno che avrebbe ospitato per l'eternità me e la mia gente, a cominciare dalla mia piccola, cara, fotogenica emorroide.

 
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