aurelioderose

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DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Uscirà quest'anno

edito dalla ROGIOSI

Delle Opere e degli Artisti

della Cappella Sansevero



 

LINO ESPOSITO




Ritratto che mi fece Lino Esposito
nei corridoi dell'Accademia
16/1/57

 

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Post N° 173

Post n°173 pubblicato il 03 Giugno 2008 da aurelioderose
 



Con Gino Giammarino direttore del
il Brigantel




con Giuseppe Pirozzi Claudio Lezoche e Carmine Di Ruggiero
alla mostra di Tina Vaira




il 10/4/2008 con il mio amico Marcello d'Orta
alla presentazione del suo libro
"Ogni porco é signorina"



22/5/2008 al bar dell'Epoca di via Costantinopoli
con Gerardo Di Fiore, Amedeo Pianese e Luciano Scateni

 
 
 

Post N° 172

Post n°172 pubblicato il 17 Maggio 2008 da aurelioderose
 

Marisa Ciardiello

La cosmogonia nei “ miti ”

di Aurelio De Rose

 

Ma cosa è la cosmogonia ? E’ il termine usato da Mauro Giancaspro in uno dei testi ( l’altro è di Filomena Maria Sardella ) di presentazione alla mostra: Primitivismo litico, che Marisa Ciardiello ha inaugurata il 7 maggio -nell’ambito dell’evento Maggio dei Monumenti 2008,- nella sala Leopardi della Biblioteca Nazionale in Palazzo Reale di Napoli.

E’, la cosmogonia, quell’insieme decodificabile di rappresentazione sulle origini dell’universo e su quanto in esso è vivo ed é manifestato attraverso i miti: ovvero l’essere umano. Mito che ha la necessità d’essere decrittato quando, come “placenta del modo”, viene alla luce e si offre come soggetto “pensante”. In quest’ottica Marisa Ciardiello propone tutta una serie di opere, dalle varie forme oggettuali che di volta in volta ha “concretizzato”, al fine di manifestare a quella tematica una propria “simbologia”.

Elemento questo ultimo che attraverso le “terre” e la “pietra”: quali corpi di una entità “vergini”, Le permettono di far trasmigrare il proprio pensiero materializzandolo per offrirsi in una propria nuova vitalità.

E non a caso, quelle “sostanze” proposte si offrono come elementi di modifica: ad una corporeità che prorompe ed ha la necessità di essere anch’essa presente nel cosmo.

Ed é così quindi che i vari “miti” d’una propria personale creazione, si sviluppano in forme sempre aderenti ad un soggettivo immaginario: figurativamente espressivo.

Infatti, Marisa Ciardiello proviene dal quel crogiuolo d’arte che fu l’Accademia di Belle Arti napoletana tra gli anni 50 e 60. Luogo, ed é indubbio, che per le qualità degli artisti che la conducevano può essere ricordato come officina di apprendimento che non ha più avuto eguali nei tempi successivi.

E da lì che parte la Sua “educazione figurativa” che non è mai stata “classicheggiante” ma ne rileva le radici in uno ad un personale approfondimento culturale maturato anche nel contesto di identica provenienza.

Il Suo quindi, è un linguaggio figurativo fortemente espressivo, trasmesso sia nelle grafiche: che spesso sono elemento preparatorio e di proposizione; che nelle successive fasi di manualità scultorea, così come nel divertismant dei “monili”. Opere che si contraddistinguono per il susseguirsi di elementi che si intrecciano e sono fra loro concatenati; predominando la materia plasmata. Questi componenti, a mio parere, sono: il pensiero legato al  generare, che a sua volta è collegato al dolore che, nel percorso intrapreso conduce alla morte.

Il primo: é rappresentato dalle “teste” che danno vita nella loro conformazione “sognatrice” ad elementi di riflessione così come nel caso di “Visioni”; - un disegno colorato - cm.100x150; che in effetti raggruppa tutti quei fattori prima accennati. E’ infatti dal “corpo testa” che l’anima, come pensiero, transfuga il corpo: ovvero lo diserta per proporsi in forma amorfa, statica, asessuata. Corpo che non ha la parte procreativa. Che non genera sentimento e neppure lo offre ma, è esclusivamente rappresentativo di una trasmigrazione di quel pensiero che lo ha originato. Che emana, nell’indifferenza al dolore, una espressione di rifiuto quale segno di un abbandono al termine “ vita”.

Amara conclusione di una insensibilità che persiste nel mondo. Che conduce, nella impassibilità totale del “soggetto pensiero”; al trasportare i propri umani abbandoni: verso la morte.

Elementi questi che si ripropongono in tante altre delle opere esposte , così come nella ” Maternità al negativo” – un gesso–di 90 cm. Anche in questa, la testa quale fulcro del pensiero, pare allontanarsi, dalla umana ragionevole riflessione e, così come un colpo di vento che allontani il copricapo: “il pensiero” diviene rifiuto dell’elemento nascente. Proteso a chiedere sostegno. Maternità negata e negativa quindi che é sempre più mancante di un gesto, di carezza, d’amore e tale, appare ancora sia nel “il sogno” –terracotta colorata-h.cm 20x33- che, nei due disegni della “Proiezione”, dei quali particolarmente il primo: -disegno colorato cm. 70x100)- manifesta l’idea d’essere fase preparatoria alla successiva concretizzazione scultorea del tema “maternità”.

Ma la Ciardiello vuole anche approfondire sia quei concetti citati che quelli dell’essere umano che si rapporta nella condivisione di quanto produce la quotidianità della vita e, in questa Sua trasmigrazione anche surreale giunge a rappresentare sempre più quei “corpi” evirati da forme di “ umanità. ” perché tali ne affronta il reale; trasformandoli appunto da prima nell’essere che diviene trottola: -che non ha neppure la capacità di ruotare-, e staticamente s’adagia come vasellame “archeologico” nella considerazione d’essere  esclusivo elemento decorativo;. e successivamente nei busti, androgini, svuotati, incasellati in un percorso di ricerca d’una errante umanità.

Ed ancora nella staticità espressiva della Memoria o di Oriana e il cane che si enunciano, nella mancanza di movimento, la ricerca di scardinarne la impassibilità affinché vi sia almeno un momento di affermazione, di presenza di quegli esseri sollecitata anche dal penetrare un corpo in fuga trafitto nel Il Cero – gesso patinato h. cm.100 - da “pigne” simbolicamente rappresentative non solo di un elemento cosmico ma di una “vitalità” mancante. da sollecitare.

E’ indubbio che nel proseguire la narrazione la Ciardiello lascia un particolare senso di riflessione a quanti osservano le Sue opere. Considerazioni legate a quanto di “mistero” è nell’essere umano. E lo fa con un incidere sempre più freddo nelle analisi che vuole proporre così come appare nella duplice fisicità Dell’amante di Giano che pur presentandosi come una offerta “votiva” del ruolo femmineo definito, ne vuole evidenziare la contrapposizione a quello maschile indefinito. Enigma da districare come nella Semiologia del verso che trasuda tutta l’arrendevolezza ad una evanescente e statica cultura.

Cultura, che nella Ciardiello è invece significativamente radicata anche nella storiografia del territorio. Di questo legato alla morte  ne evoca uno dei momenti tragici come fu quello della rivoluzione del 1799: - Bozzetto per un monumento a Gennaro Serra. Anche qui la testa incappucciata del boia, iniziale elemento di pensiero: lo “sfugge”. E la mano che non è solo la sua ma anche di una impazzato popolo, accompagna la mannaia; come silente volontà comune. Appunto di mettere fine al pensiero.



Guinzaglio


Bozzetto per un Monumento a
Gennaro Serra


Cero

Pubblicato su ; Scena Illustrata, Roma Reporter e il Brigante

 
 
 

Post N° 171

Post n°171 pubblicato il 17 Maggio 2008 da aurelioderose
 

Luciano Beccaria

Un Atelier d’arte

In una delle strade più caratteristiche del centro romano, Luciano Beccaria ha trovato il Suo spazio d’arte che lo vede attivo, sia per la sapiente produzione artistica che lo contraddistingue che, per la fucina di operatività offerta a molti giovani, in un insegnamento adeguato dal punto di vista formale e cromatico.

Infatti se passeggiando fra Piazza Navona e Campo dei Fiori, capitasse di inoltrarsi in via del Governo Vecchio, trovereste che al n. 37 vi è l’Atelier dove, fra gli spazi destinati a molti degli artisti che cerca di “formare”, fanno bella mostra le Sue opere.

In queste, si evidenziano le figurazioni compositive (vedi foto), che esaltano l’operatività di Beccarla, non solo sotto il profilo descrittivo e compositivo ma, anche, per le loro calde tessiture cromatiche che sono in grado di rivelare, nei toni caldi, le forme realizzate.

Per lo più Beccarla, in questo luogo insegna, come dicevamo, ed in questo spazio d’arte diviene anche significativa la presenza di giovani ragazze straniere che sono qui a Roma non solo per apprendere dal Suo insegnamento che le porterà, alla ricerca di una collocazione nel campo artistico. Per questa necessità che hanno di apprendere al meglio, attraverso una didattica attenta sono attratte dalle Sue indicazioni che rappresentano le “basi necessarie” per poter proseguire.



Tutto ciò accade per la stretta colleganza che personalmente Egli ha con “l’oggetto figurativo” riuscendo ad elargire quindi i necessari canoni anche e soprattutto per il personale “carisma” che possiede.

Dicevo del termine “figurativo”: catalogante il basilare “genere” di indirizzo pittorico, che ha trovato, trova e troverà sempre una propria collocazione primaria, e che rappresenta la base di ogni trasformazione nell’arte: appunto indicata come figurativa.

Ebbene Beccarla ha, nel corso della Sua lunga partecipazione a questa “concettualità”, sedimentato e rappresentato culturalmente questo elemento che, non ha mai tralasciato di percorrere sia nell’approfondimento che nella trasposizione visivamente presente e mai discontinua delle Sue opere.

Ecco! Se vi capitasse di visitare quei luoghi descritti all’inizio di questa nota; fermarsi all’athelier sarà d’obbligo. Gusterete visivamente la produzione artistica di Luciano Beccarla e ne resterete piacevolmente attratti, notando anche giovani attente alla rappresentazione che da Lui ha inizio.

Aurelio De Rose

pubblicato su il Brigante  

 
 
 

Post N° 170

Post n°170 pubblicato il 06 Maggio 2008 da aurelioderose
 

Mario Carrese
ed il "Nuovo Dimensionalismo"

Le opere dell'artista napoletano Mario Carrese e di Bruno Caruso e Antonio Passa sono state elelenti essenziali nel dramma "Vaghe stelle dell'orsa" un inedito scritto e diretto da Michele Greco e Pamela Cento, andato in scena il 12 e 13 maggio scorso al Teatro dell'ateneo dell'Università la Sapienza.



E' necessario risalire a fatti acccaduti sin dal 1977 quando nello studio dell'artista Mario Carrese, nasceva come teoria da applicare a tutte le forme artistiche: dalle arti plastiche, al teatro, al cinema, il "Nuovo Dimensionalismo". A teorizzare questo nuovo sviluppo nelle arti furono gli studiosi romani Pamela Cento e Michele Greco che ebbero lo spunto da un'opera plastica appena ultimata dell'artista napoletano: " Strappi sul Carracci" che riproduceva pittoricamente una precedente opera di Carrese, - un collage e olio su tela datata 1989, - dal titolo "Strappi" (fedi foto) sulla quale era stata immessa ex novo, l'immagine della "Voluttà" dell'Ercole al Bivio del pittore cinquecentesco Annibale Carracci. Operazione che, nell'opera di Carrese, annullava tempo e spazio trasferendo nella contemporaneità un classicismo già catalogato. E fu quest'evento che caratterizzò e determinò da parte dei due studiosi l'idea di sperimentare in concreto una teoria fin allora esclusivamente enunciata.
Ebbe così inizio con il patrocinio della Regione Campania e, con la presentazione del filosofo Aldo Masullo, una serie di incontri dibattito sulle opere e sul Dimensionalismo, sia nella sede del Centro Studi 70 che, in quella dell'Istituto per gli studi Filosofici in palazzo Serra di Cassano.
Nel 1998 poi, seguirono una serie di seminari svolti nell'Istituto di via Monte di Dio che diedero luogo alla realizzazione di un primo movimento napoletano e, successivamente romano, presso l'Università La Sapienza, coinvolgendo artisti come Ugo Attardi, Bruno Caruso, Renzo Vespignani, Alessandro Kokocinski e Marino Haupt.
L'evento ultimo quindi, ha definito le penetrazioni di carattere cinematografico delle opereattraverso una serie di ambientazioni scenotecniche che deformavano ed esaltavano sia gli attori che le quinte, determinando una serie d'immagini uniche e, rappresentativamente inimitabili dagli stessi protagonisti; definendo poi attraverso il linguaggio la narrazione testuale.
La manifestazione ultima, avendo conseguito un notevole successo ha suggerito di proseguire nella proposizione al pubblico. Quindi, dopo questo romano, sia l'evento teatrale che l'esposizione delle opere plastiche saranno proposte a giugno prossimo ad Agropoli, presso il Castello medioevale.

Aurelio De Rose

Pubblicato su:  Cronache di Napoli il 2 giugno 2000

 
 
 

                           L'inchiesta                     Il silenzio delle Arti 

Post n°169 pubblicato il 05 Maggio 2008 da aurelioderose
 

                              Vitaliano Corbi

Dopo gli incontri avuti con i Direttori del Grenoble e dell'Accademia di Belle Arti: Jean Noel Schifano e Gianni Pisani; continua la nostra inchiesta sulla condizione della cultura a Napoli ed in particolare quella delle Arti figurative. Campo che da sempre ha riscontrato nella Città un fermento di ricerche non suffragate dal necessario interesse del pubblico e dei mass media.
Perchè si potesse avere un quadro d'analisi più preciso, agli interventi precedenti: uno di diffusione attraverso l'organizzazione di dibattiti e mostre di grande interesse; l'altro di fucina per tanti giovani che si dedicano alle discipline artistiche, abbiamo creduto opportuno dare un seguìto rivolgendo alcune domande, che in parte sono state rivolte anche agli altri intervistati, ad uno dei massimi esponenti della Critica d'Arte, che ha séguito e ségue da anni il "vissuto" nella situazione napoletana e non solo quella, per conoscere anche la sua opinione sull'argomento.
Il Critico è Vitaliano Corbi, napoletano che ha insegnato Estetica all'Accademia di Belle Arti. Collaboratore già di Paese Sera, del Mattino e di Repubblica. Autore di numerosi saggi critici e profondo conoscitore della materia.

Professore Corbi. Quale particolare significato e condizione assumono oggi, le arti figurative ?

Non pare proprio che le arti figurative godano oggi di una condizione particolarmente favorevole. Lo spazio che normalmente dedicano ad esse i mass media non è molto grande. A meno che un artista non faccia notizia per altri motivi,  che non hanno molto a che fare con i problemi ed i valori della cultura artistica, quello che egli fa e pensa interessa infinitamente meno di quel che fanno e dicono, ad esempio, i personaggi del piccolo schermo e del mondo dello spettacolo.
Di solito, anzi, accade che la spettacolarità di un evento artistico, quello che eccita la curiosità del grande pubblico, venga creata dagli stessi mass media. Si ricorda lei le pagine dei giornali, i servizi televisivi e la folla incontenibile che correva a vedere i Bronzi di Riace? Oggi quale giornalista vi spende più una sola parola e a chi viene in mente di andarli a vedere? Del resto è facile capire perchè sia così.
Un quadro bisogna cercarselo in un museo o in una galleria d'arte; poi ti devi metter lì davanti e, almeno per alcuni minuti, guardartelo attentamente, cercare di capire, senza pensare ad altro, anzi lasciando quasi che , nel silenzio di ogni altra voce, sia l'opera  a parlarti. La televisione ce l'hai in casa, dove ti porta un flusso continuo di suoni ed immagini che puoi seguire come vuoi, anche distrattamente, mentre mangi o chiacchieri. La pittura e la scultura somigliano, in questo più, alla poesia.
Voglio dire che, come per la lettura di una poesia, esse richiedono una pausa. E quanti hanno veramente la voglia e la capacità di imporsi questo momento di silenzio per ascoltare la voce del poeta?

Ha ragione! Pochissimi.

Alcuni giorni fa, nel presentare alla Libreria Guida a Port'Alba una mostra di incisioni di Bruno Starita, accennavo appunto a questo problema, osservando come le immagini delle incisioni, consegnate alla dimensione d'un foglio, come appunto le parole nelle pagine di un libro, sembrano rimanere discretamente sulla soglia che li divide dallo spazio dell'esistenza, quasi ai margini della realtà. E l'incisione, proprio in questa sua condizione di marginalità, in fondo, riassume la condizione di tutte le arti visive tradizionali, della pittura e della scultura. E' opportuno aggiungere, per chi non l'avesse capito, che si tratta di una marginalità preziosa, che non dovremmo mai tentare di barattare per un successo in più ( come fanno quegli artisti e quei critici che si danno le arie delle star) poiché essa stabilisce quella pausa di silenzio tra noi e gli altri che è la condizione necessaria all'esercizio della fantasia e della riflessione.

Cosa ha rappresentato la critica dal dopoguerra ad oggi, nel panorama artistico proposto in questa Città?

A dire la verità, mi pare proprio che, tranne qualche rarissima e parziale eccezione, la critica abbia rappresentato ben poco a Napoli.
Ad un lungo periodo, durante il quale le posizioni prevalenti nella critica d'arte s'identificavano con la difesa di una falsa tradizione ottocentesca, come era del resto per la maggioranza del pubblico e per gli stessi collezionisti, è seguito più di recente una fase caratterizzata da una critica particolarmente sensibile agli interessi di quel paio di gallerie d'arte dominanti in città durante gli anni Ottanta, quando il prevalere, anche nel campo dell'arte di un arrogante yuppismo politico-affaristico sembrava non lasciare spazio alle voci di dissenso e la saldatura tra gruppi di potere e mercato dell'arte, del mondo politico e dell'informazione rischiava di soffocare nella cultura artistica napoletana ogni reale possibilità di dialogo e confronto.

Ma il mercato? Esiste un mercato a Napoli?

In realtà, il mercato artistico, attraverso la rete delle gallerie private, costituisce tutto sommato il circuito fondamentale della distribuzione delle opere d'arte e condiziona la stessa informazione sulla vita artistica. In questo senso esso è una realtà importante ed in quanto tale non deve essere esaltato nè demonizzato. Piuttosto sarà da ricercare in concreto, e di volta in volta, quali margini di mediazione esistano tra gli interessi del mercato ed una realistica iniziativa culturale che non chiami in causa soltanto la responsabilità personale dell'artista e del critico, ma anche quella delle istituzioni e delle strutture pubbliche.
La verità è che fino ad oggi ci si è trovati esposti oltre che alle sollecitazioni del mercato, le cui finalità non possono certo dirsi di ordine strettamente culturale, anche alla pressione dei partiti e delle strutture pubbliche, organizzate spesso in veri e propri centri di potere clientelare, laddove il loro compito, anche nel campo delle arti visive, sarebbe dovuto essere quello di garantire il confronto tra posizioni diverse ed in particolare di tutelare il diritto alla libertà della ricerca e dell'espressione alle voci minoritarie e di dissenso. Un compito, questo, che per quanto si voglia essere ottimisti, non può essere affidato al meccanismo selvaggio della concorrenza di mercato.

Cosa pensa dei rapporti arte-istituzioni?

Quella precedente contiene in parte già una risposta a questa domanda. Più concretamente sulla situazione napoletana sono almeno quindici anni che sto intervenendo con denunce e con richieste di una seria politica culturale per le arti visive. Ora che forse finalmente qualcosa sta per cambiare, non è inutile tuttavia ripetere quanto scrissi pressappoco un anno fa su questo problema, in occasione di una scandalosa mostra organizzata dalla passata amministrazione comunale negli spazi del Maschio Angioino: L'utilizzazione degli spazi pubblici, e specialmente di quelli che hanno particolare valore storico-artistico, come sede di mostre d'arte contemporanea non è un affare secondario, da gestire in maniera occasionale e cedendo alla tentazione del clientelismo. Una politica culturale di più alto profilo non solo contribuirebbe ad avvicinare il pubblico napoletano ai vari aspetti dell'arte contemporanea, ma finirebbe col valorizzare anche l'inserimento nei programmi espositivi di mostre di artisti locali e di giovani poco conosciuti. Naturalmente non basta più consultare l'elenco dei postulanti e mettere in moto il meccanismo delle raccomandazioni e dei favori, che, nel migliore dei casi, porta al cosiddetto voto di scambio. Una dignitosa attività espositiva richiede competenze specifiche ed adeguate capacità manageriali.
Per questo è necessario, come accade in tutti i paesi civili, che le strutture pubbliche sappiano collaborare con istituzioni culturali, gallerie d'arte ed in genere con quanti, con ruoli diversi, operano nel campo delle arti visive.

Vuole citarne qualcuno?

Per fare qualche esempio di una collaborazione del genere, non c'è poi bisogno di andare lontano. Basta ricordare la serie delle mostre realizzata dalle Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli prima a Villa Pignatelli poi nel Salone dei Camuccini del Museo di Capodimonte. Non sarebbe male, ora che il clima politico a Napoli è cambiato, che si incominciasse a discutere seriamente e pubblicamente di queste cose.

In che modo?

Rispetto alla vecchia consuetudine clientelare è necessario che l'amministrazione comunale dia un forte segnale di discontinuità. La prima cosa da fare è bloccare qualsiasi concessione di spazi e danari pubblici ed imboccare subito, anche in questo versante, la strada della progettualità. Ciò non significa dar fiato a piani grandiosi quanto irrealizzabili, ma avviare una programmazione realistica, con una gestione responsabile, chiamata periodicamente a rendere conto del proprio operato. La necessità di rigorosi criteri di responsabilità e di competenza non è in rapporto all'entità dei finanziamenti pubblici di cui si potrà disporre: Anche se la nuova amministrazione dovesse essere in condizione di non poter erogare per l'arte a Napoli, sarebbe ugualmente necessario procedere a una chiara inversione di tendenza, rivolta almeno a riqualificare il valore culturale dell'intervento pubblico, facendo, ad esempio, anche della sola concessione del patrocinio a una mostra d'arte non il segnale del favoritismo e della corruzione, ma un ambìto riconoscimento di qualità.

Il condizionamento di una certa cultura e di altrettanta parte della borghesia al gusto legato ancora alla tradizione; ha avuto da parte dei critici eguale riscontro?

Certamente c'è stato, come ho già detto, un pesante condizionamento anche sulla critica. Ma il discorso è molto più complesso, investendo il rapporto dei ceti dirigenti della città con l'arte contemporanea. Ad esempio, la verità è che i collezionisti che fanno l'amore con le peggiori croste dell'Ottocento e comprano le false gouaches di cui è pieno il mercato scansano gli artisti che possono turbare la loro "cattiva coscienza" con immagini troppo segnate dalla storia di questa città di cui è stata perpetrata la devastazione non solo ad opera della malavita politica e affaristica, ma anche dell'abitudine alla complicità ed al silenzio. Ma a Napoli non sono molto amati neppure quegli artisti che all'assedio del disordine, della violenza e della corruzione hanno risposto con generose proposte di rinnovamento radicale, attraverso le immagini di un'arte rappacificata con la vita nel segno di un'armoniosa misura della ragione e dei sentimenti. E' dagli anni Cinquanta che alcuni astrattisti napoletani battono questa strada, tra speranza progettuale e utopia, ostinandosi non solo a custodire il sogno di un altro futuro per Napoli, ma anche a cercare un dialogo con la città puntualmente rifiutato.

Ma Lei crede che questa speranza progettuale possa in pari con la città avere nel futuro un riscatto?

Fin dai primi decenni del secolo è presente negli artisti napoletani il sentimento del legame strettissimo che unisce il loro destino alla speranza di riscatto della città. Si può dire che a Napoli l'arte contemporanea nasca col rifiuto dell'immagine oleografica di una città in cui la durezza della realtà si stempera nel languore sentimentale e la miseria si fa bella dei suoi stracci colorati. L'incontro degli artisti napoletani con il Futurismo, che non fu affatto un episodio marginale della vita artistica italiana, avviene appunto sulla base di questo atteggiamento e nel segno di una speranza di rinnovamento. Su di essa, infatti, soffiava energicamente Boccioni, quando nel 1916, esortando gli artisti napoletani a combattere contro il "lazzaronismo", li incitava a guardare con fiducia all'avvenire, a non piangere sulla Napoli che scompare, perchè "Napoli è, Napoli vive e si trasforma con tutte le sue forze, con tutte le sue originalità".

Aurelio De Rose

Pubblicato su il Mezzogiorno 11 maggio 1994

 
 
 

                             L'inchiesta                       il Silenzio delle Arti

Post n°168 pubblicato il 05 Maggio 2008 da aurelioderose
 

                                            Gianni Pisani

Proseguendo l'inchiesta sulla condizione della cultura a Napoli abbiamo ritenuto opportuno intervistare il Direttore dell'Accademia di Belle Arti Gianni Pisani perchè riteniamo che questa Istituzione nel panorama culturale della nostra città ha avuto ed ha un ruolo di grande rilievo.
Vorremmo conoscere quale è la situazione delle Arti figurative a Napoli.
La situazione delle Arti figurative a Napoli è quella di una Città che dimostra   una forma mentis di totale disinteresse e la incapacità di recepire avvenimenti, specialmente quando questi vanno oltre una certa tradizione o alcuni canoni nei quali si è da sempre identificata.
Vuol dire quella legata alla pittura dell'800, dei pastori o delle gouaches ?
Si certo, ma tutto ciò è una volgare scusa per giustificare l'indifferenza che si ha nei confronti di questa cultura.
Certo, perchè in tutti quei paesi civili dove vi è stata una tradizione, le energie e le capacità nuove hanno comunque un riconoscimento. Nel mentre qui invece vi è  come una "coperta grigia"  che nasconde tutto quello che succede nel mondo e determina poi il cattivo gusto di piangersi addosso tipico di questo popolo.
Ciò determina che Napoli da ex Capitale diviene sempre più città provinciale dove predominano queste forme degenerative in tutte le sue più eclatanti dimostrazioni  che si ripercuotono poi nella qualità della vita.
Daltra parte però,  vi sono stati sempre "fuochi di ricerca" specialmente per quelli della mia generazione che hanno cercato una ricerca artistica rappresentando non  un fatto "napoletano" ma  l'essere cittadino del mondo e viverne esperienze e verifiche.
In questo senso e ne posso parlare da testimone, la ricerca artistica e la proposta che, certamente molti non hanno fatto, ma tanti hanno tentato, ha significato per  Napoli dagli anni 50 ad oggi, un momento straordinario di vivacità non solo in un panorama artistico italiano ma credo anche europeo. Naturalmente di tutto questo si è pagato uno scotto, perchè ciò ha comportato una emarginazione per quanti hanno seguito queste esperienze, rispetto al contesto di una Città che non accetta e non prevede trasformazioni. E ciò credo, vale anche per il teatro, per la musica e per la letteratura.
L'arte è vita, umori. E' l'anima, la religiosità di chi la propone altrimenti non ha alcun senso. Mentre il gusto di questa città in particolare è stato ed è quello di scimmiottare ed adagiarsi a quella tradizione di cui dicevo prima e di ritenere il quadro un oggetto da passatempo.
 Ma lei crede che sia eclusivamente una situazione napoletana quella del  cattivo gusto?
Si in particolare, e gli atteggiamenti lo hanno dimostrato non solo in questi ultimi 50 anni.
Alla fine la "coperta" di cui parlavo riesce sempre a nascondere questo vulcano che è dentro tutti quelli che hanno la volontà di proporre e purtroppo duole dirlo spesso vincono tutta una serie di situazioni di sottobosco volgare, sgradevole.

 Ma  per  l'Accademia, quale è stato il suo ruolo, quali i condizionamenti?
Ebbene questa Istituzione non ha mai subito dei danni, ed ha rappresentato "un'isola" rispetto a questo contesto,  anche se molte volte il rischio che ha corso è stato quello di essere cionvolta  nel pantano generale, ma ciò non è accaduto per una serie di fattori.
Innanzi tutto perchè si è andato determinando in uno con gli artisti della mia generazione, al mio ritorno dall'Accademia di Brera e la elezione alla direzione, una volontà di darle un assetto nuovo che poi ha permesso in dieci anni di fare cose semplici ma nello stesso tempo rilevanti.
 Quali ad esempio?
In primo luogo quello di far risorgere il Palazzo che era stato degradato e violentato  nel tempo.
Poi, quello di creare tutta una serie di stimoli perchè si potesse sviluppare  nei giovani che la frequentano, quella creatività che, se esiste, ha la possibilità di svilupparsi senza condizionamenti.
L'Accademia era una "porta chiusa",  ricorderà che l'ingresso principale e tutto il resto: Pinacoteca, Teatro  era chiuso. Si entrava dalla porta di "servizio" di via Costantinopoli e questo era la dimostrazione di una umiliazione a cui bisognava dare un segnale di presenza ed una dignità diverse anche e soprattutto per quanti la vivono giorno per giorno: gli studenti, i docenti.   
E quindi si riaprì l'ingresso principale di via Bellini?
Si ! Ma oltre a questo primo atto si è cercato poi di creare le condizioni per una serie di servizi e d'informazioni, per una apertura proiettata verso il Mondo, l'Europa, perchè ormai niente e nessun discorso può essere legato al "territorio" sia pur esso italiano.
E quindi si sono messe a disposizione nelle sale e nel teatro tutta una serie di esposizioni: dalle incisioni di Goja a tutta la pittura dell'espressionismo tedesco fino a tutta l'arte contemporanea passando da  Paul Klee a Picasso. Così chè artisti ed alunni hanno potuto toccare con mano a pochi metri dai laboratori opere vere che difficilmente avrebbero potuto vedere. E quindi visitare   trecento opere di Otto Dix e tutto quanto indicavo prima, ha rappresentato fare centinaia di ore lezioni, di "didattica". 
Ma queste manifestazioni hanno avuto ed  avranno un seguito?
Si certo! Ormai per l'Accademia di Napoli questi avvenimenti iniziano con l'anno accademico ed a volte continuano anche oltre la chiusura dello stesso.
Non ultima è stata quella che ha visto due anni fa il formasi di un Comitato scientifico con gestione e sede qui, che mi ha permesso di prendere contatto con le altre più importanti Accademie d'Europa come: Berlino, Atene, Parigi, Mosca, Londra, Vienna, Bruxelles, Madrid, Monaco, Milano, con le quali abbiamo realizzato un progetto comune sulle arti figurative: la "Seconda Biennale del Sud", una mostra itinerante  inaugurata nel maggio 1993 nelle sale della Pinacoteca e della II Galleria dell'Accademia, per la quale sono state  selezionate le opere di 36 giovani artisti di queste prestigiose Accademie.  Ma l'importanza di questa rassegna, che va sottolineata, è stata soprattutto l'aspetto itinerante che si è voluto dare a questa manifestazione che ha avuto un successo di pubblico non solo qui a Napoli ma, anche nel luglio scorso al Palazzo Velazquez di Madrid ed alla Accademia Reale di Bruxelles, e verrà riaperta, come ultima tappa, a Londra negli spazi del Central Saint Martins College il 4 maggio prossimo.
A questo faranno seguito una serie di progetti che realizzeremo per dare sempre più, il senso di una presenza attiva, di questa Istituzione.
Quindi quest'isola come lei la ha definita ha una sua valenza ed un ruolo attivo nella cultura di questa città?
Si certamente! E devo dire anche che abbiamo avuto ed avremo occasioni di collaborazione con le altre Istituzioni come l'Università, le Sovraintendenze, il Grenoble, Suor Orsola Benincasa e con l'Istituto di studi Filosofici con il quale organizzammo la mostra sull'espressionismo tedesco. 
 E cosa auspica per il futuro?
Ci auguriamo che nasca un vero interesse del territorio e dei cittadini verso queste manifestazioni che non sono da considerarsi subalterne. Perchè credo che l'ultima speranza che ci resta per un futuro diverso, non tanto per noi ma per le generazioni che verranno, sia quello di un recupero culturale in uno con il patrimonio artistco. Questo perchè oggi, la Città  non è punto di riferimento ed esempio di fatti culturali ne per il centro dell'Italia ne tantomeno  per l'Europa; ma purtroppo lo è per il degrado ed il  cattivo gusto. Tutto ciò va modificato se si vuole intendere la cultura non solo in alcuni  aspetti,  ma per la globalità dei comportamenti.
 In questi va certamente modificato il rapporto che si è avuto fino ad ora con la creatività che in questo territorio viene continuamente mortificata, violentata, distrutta ed emarginata. E' di questo prezzo e nel concetto che si è radicalizzato,  del quale dobbiamo aver paura. E' inutile che cerchiamo di ribellarci quando ce lo rinfacciano, perchè le colpe che ci attribuiscono al 99 per cento ce le meritiamo tutte. Ed è a queste che essenzialmente  dobbiamo opporci.
Non a caso siamo punto di riferimento di tutte le cose di degrado che accadono.
 Ma una certa vitalità culturale pure è viva come la  manifestazione Porte aperte che io però  ritengo non debba essere limitata a solo due giorni all'anno. Cosa ne pensa?
L'operazione è una manifestazione voluta dalla Fondazione Napoli  99 con la cui presidentessa Mirella Barracco ho un ottimo rapporto. Come dieci anni fa io aprivo il portone dell'Accademia così la Barracco ha inteso aprire le porte ai Monumenti. Ma i portoni, le porte sono stati creati per essere  chiusi ed aperti, non esclusivamente chiusi. Voglio dire che quando impareremo ad essere cittadini, in una città normale, responsabili di quello che ci hanno lasciato ed inizieremo a fare anche noi qualcosa, non ci sarà più la necessità di una manifestazione come quella della Baracco perchè le porte, i portoni saranno sempre aperti.
Si è mai visto una Mirella Barracco che a Parigi organizza una Parigi porte aperte? Certamente no perchè li il visitare i monumenti è un fatto normale. Quindi meno male che qui ci sia questa Fondazione, altrimenti sarebbero passati altri cinquanta anni prima di poter rivedere alcuni tesori sottochiave.  
Da qui i discorsi sulla crisi e sulla vergogna di questa città.
 E' vero che in quest'occasione resteranno aperti alcuni ateliers di artisti perchè si possa visitarli?
Si è vero,  ci è stato suggerito di tenere aperto per quei giorni ( il 7 e 8 maggio ndr) l'Accademia che comprende anche una serie di studi di Artisti che operano e producono qui. Ma poichè vi sono anche tanti artisti che non  hanno questa opportunità, la Barracco a fatto bene a chiedere a chi volesse, di lasciare aperti i propri ateliers privati, così che i cittadini interessati avranno l'occasione di poterli visitare.     
Quindi è possibile l'offrire nuove occasioni culturali?
Si! E  meno male che ci siano persone di buona volontà contro tutta la città. 
 Perchè in questa città se si vuole fare qualcosa, la si devi fare contro tutti, ostacolato, violentato. Il vero nemico non sarà il progetto che si vuole realizzare ne la capacità di realizzarlo, ma si sarà costretti a combattere contro una città intera, che distrugge e svilisce.
Sa chi mi si è messo contro, chi sono stati i grandi nemici della Biennale del Sud ?
I due giornaletti napoletani, i rispettivi critici  ed alcune signore benpensanti; e questo perchè Gianni Pisani senza nessun contributo economico realizzava sia nell'88 la Prima Biennale, mettendo insieme gli artisti del sud, che questa seconda, realizzandola con le più prestigiose Accademie d'Europa in uno con le capacità di quanti hanno voluto questa realizzazione, senza alcun intervento della Città.
Quindi vi è anche una informazione cittadina contro?
Si anche se devo dire che non ho avuto alcuna difficoltà a far si che la Rai trasmettesse per intera la rassegna della Seconda Biennale del Sud, anzi colgo l'occasione per dire che verrà trasmessa il quindici aprile alle ore 23 su Raiuno, mentre invece l'ho riscontrata per far pubblicare dal Mattino un semplice comunicato stampa.
E questo purtroppo, è quanto accade in questa Città.

pubblicato su: il Mezzogiorno 15 aprile 1994

 
 
 

Post N° 167

Post n°167 pubblicato il 03 Maggio 2008 da aurelioderose

Il Blog di Aurelio De Rose

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                       Viviana Lo Russo                Il corpo come espressione                  

Post n°166 pubblicato il 22 Aprile 2008 da aurelioderose
 

Viviana Lo Russo é una giovane pittrice romana impegnata soprattutto nelle scenotecniche dei set cinematografici. Lavoro particolarmente faticoso che ha però la necessità di essere realizzato da mani capaci. A questo abina, per la sua  personale dote e volontà, quello di determinare delle proprie realizzazioni pittoriche che particolarmente sono indirizzate verso la "corporeità". Tema che personalmente, per l'intrinsiche capacità che dimostra, ho più volte insistito che perseguisse. 









 
 
 

 

Post n°165 pubblicato il 18 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

 " Il compimento dell'amore "
 Una personale di Milena Motti 

Si inaugura domenica 20 aprile nei locali di Eva Luna in piazza Bellini la mostra di Milena Motti che prosegue la Sua ricerca pittorica nei confronti della natura  e particolarmente  nella “flora” che risente sempre più della propria condizione e compimento dell’amore.

Gli intrecci di “ linguaggio naturalistico”: costituito soprattutto dai fiori e dalle  foglie che contraddistinguono le tele di Milena Motti, rivelano sempre più la particolare “induttiva” sensibilità nel voler rappresentare, attraverso quegli elementi, tutto ciò che “ rilegge  , degli accadimenti del  proprio percorso di vita.

Quello della Motti appare come un viaggiare al di sopra della propria fisicità; un astrarsi dalle banali consapevolezze del vivere quotidiano, alle quali purtroppo si è  indissolubilmente legati, per esplorare in quegli elementi della natura “vitali”,  quelle che sono le linfe fondamentali e rigenerative. Queste iniziali motivazioni del cammino pittorico della Motti che era proseguito nella “ pacata ” proposizione di quelle forme reali rappresentative della ” creazione”. Quei i fiori e quelle piante che l’affascinavano tanto da doverli descrivere e analizzare: assumono ora, in queste ultime opere, una modificazione nell’intercalarsi di “ graffiate stille vermigli ” come simbolica oggettivazione di un tangibile ferita subita.  

Rubini, quei rossi vermigli, che sostanziano il come l’elemento natura:  radioso nei già « dilatati lampi di gialli ed azzurri » e pieni di una luminosità che tendeva ad accompagnare e proteggere il contesto proposto, venga ora macchiato da “ lacerazioni “ che proprio in virtù d’essere stati ” una perduta intimità personale ”, hanno sempre più pressante la necessità d’essere manifestate, come costante esclusiva ferita.

E, quei “ fiori dell’anima” che nella mostra romana, apparivano di volta in volta nelle felci come nella glicine; nei rododendri come nelle petunie, nei grappoli azzurri-lilla delle papillonacee, così come la placenta di quelle farenogame; sempre più rappresentative di un desiderio di protezione del proprio seme rigenerativo - come segnale inconsciamente vissuto -; appaiono oggi attraversati da questi “ tormenti ” che segnano e fermano, nell’attimo descrittivo, quello svanito…. di un interiore e riservato tragitto di vita .

Aurelio De Rose prtesentazione mostra Milena Motti 20/4/2008    

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

          Filiberto De Rose             1911- 1968        e i suoi divertismant

Post n°161 pubblicato il 08 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

Seguendo le orme paterne e degli altri fratelli che si dedicarono alla pittura anche mio padre Filiberto di dilettava alla relalizzazione di varie composizioni: per lo più paesaggi ed in particolari quelli che aveva vissuto in Africa Orientale quando nel 1935 si arruolò e partì per quella guerra di conquista. L'arruolarsi era l'unico modo di sopravvivere a quanto accadeva in quel periodo soprattutto in famiglia in quanto ultimo di sette figli che non ancora aveva trovato una sistemazione e senza un domicilio (nonno Luigi si risposò con una sua alunna) ritrovò in quell'arruolarsi l'unico modo di sistemazione. Le altre composizioni che inserirò saranno quelle di immagini fantasiose e di marine. Di questi piccoli riquadri che disegnava su qualsiasi cartoncino e/o  foglietto  che si ritrovava tra le mani ne riproduco alcuni che mostrano una capacità non comune.

















 
 
 

              Luigi De Rose

Post n°159 pubblicato il 06 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

Dalle ricerche che sto effettuando delle opere realizzate da Luigi De Rose (1871-1937) ne ritrovo alcune attraverso Google .
La prima è questa :
Due monumenti artistici di Bagnoli Irpino
. by Luigi de Rose
BooK; Italian -Publisher: Napoli, Tipografia delle Industrie, 1912. 
La seconda é in :
Pergamena 1911 - Arte in Calabria tra 800 e Novecento. Dizionario degli artisti calabresi. pag. 74
la terza  riprende la notizia in:
"L'Accademia Cosentina e la sua biblioteca" pag. 162
"Monumento a Telesio" di Achille D'Orsi . Testo della pergamena che accompagnò l'evento della posa della prima pietra venne dettata da Giuseppe Storino; mentre la fattura artistica fu opera di Luigi De Rose, cosentino, docente nell'Istituto di Belle Arti di Napoli. La riproduzione fotografica della pergamena si può ammirare nella sezione chiusa della biblioteca. Cfr. IV Centenario di Bernardino Telesio, in "Il giornale di Calabria" a X,n.17,27/4/1911 pag. 1-3 

 
 
 

            Augusto De Rose                 1925-1987

Post n°158 pubblicato il 06 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose




Affresco "L'esaltazione della Giustizia"
Palazzo di Giustizia Santa Maria Capua Vetere

 
 
 

               Luigi De Rose                 1871-1937

Post n°156 pubblicato il 05 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose




Luigi De Rose- Autoritratto-  

 
 
 

      Vincenzo Meconio       ritratto a matita     a Filiberto De Rose

Post n°155 pubblicato il 05 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose




 Ritratto a  Filiberto De Rose 7/1/1944

 
 
 

     Alcuni Giudizi Critici      su Mario D' Albenzio

Post n°153 pubblicato il 04 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

Ho visto nascere questi pezzi. Ne ho scoperto, giorno dopo giorno la trama elegante ed ironica; ho aperto per primo



un dialogo di attesa con i simboli e le strutture contrastanti ed essenziali. Mario D'Albenzio opera il recupero di una realtà passata, che esprime in brani di sinopie estenuate chiuse nella struttura impietosa della verità di oggi. Il messaggio è fermato nei ritmi precisi e geometrici di gabbie aeree ed inesorabili. E' proprio quell'impiantito a scacchi - area sacra di antica accettazione - che espone il problema iniziatico al rito di evocazione. Pure una sorta di aperta tolleranza permea questi reperti di memoria e li affranca dalla patina del tempo evidenziandoli con le rigorose pause dei bianchi vasti e luminosi. L'Operazione cromatica essenziale è portata alla levità di uno “strappo” che narra ectoplasmi evocati da un moderno poeta malato d'alchimia. L'architettura di questo universo è perfetta e giusta nel suo iterarsi d'amore e di richiamo con una armonia perduta e ritrovata che affascina. E' proprio questa metafisica nuova ad inserire queste opere nella discus­sione asuale del problema figurale, con un misticismo materiato di stu­pore. Il tempo è quello attuale: i blocchi, le gabbie, le scacchiere hanno la ferma presenza del nostro “oggi” e quegli alberi piccoli e lontani, nei fondi, non scadono a forma di nostalgia, bensì affermano la continua speranza dell'uomo di buona volontà.me sempre. Nel mistero aperto e pure difficile dell'Arte come linguaggio d'Amore
da  uno scritto di Mario Buonoconto


 
 
 

        Una delle tante            Pergamene

Post n°152 pubblicato il 04 Aprile 2008 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose







Luigi De Rose era noto anche per la ottima realizzazione di  pergamene. Ne ricavo questa da una vecchia foto, che all'ingrandimento rivela per chi e per quale motivo era stata realizzata e così recita: 
Al Cav. Uff. Avvocato Ciro Fontana che con calda e sapiente parola nel Consiglio Provinciale di Basilicata nella tornata del 3 Ottobre 1905 sostenendo la necessità del nuovo tracciato della strada Albano Marsico i contrastati interessi locali pel pubblico bene difese. I Cittadini di Marsicovetere e Calvello riconoscenti offrono- Ottobre 1912-

 
 
 
 
 
 
 

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