aurelioderose

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DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Uscirà quest'anno

edito dalla ROGIOSI

Delle Opere e degli Artisti

della Cappella Sansevero



 

LINO ESPOSITO




Ritratto che mi fece Lino Esposito
nei corridoi dell'Accademia
16/1/57

 

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RACHMANINOV CONCERTO NO. 3 - OLGA KERN - PART 1

 

RACHMANINOV CONCERTO NO. 3 - OLGA KERN - PART 2

 

RACHMANINOV CONCERTO NO. 3 - OLGA KERN - PART 3

 

 

Beniamino De Rose cugino di nonno Luigi

Post n°241 pubblicato il 17 Giugno 2012 da aurelioderose
 

Don Beniamino De Rose conforta i fratelli Bandiera 

     Dopo la fucilazione, le salme furono prima sepolte nella Chiesa di Sant'Agostino e poi nel Duomo di Cosenza. Nel giugno del 1867 i resti dei fratelli furono definitivamente trasferiti a Venezia nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Ad accompagnarli vi furono Don Beniamino De Rose e due patrioti liberali cosentini: Domenico Frugiuele e Salvatore Comodeca.

 
 
 

Statistiche

Post n°240 pubblicato il 17 Giugno 2012 da aurelioderose

 
 
 

Incontro con Achille Picardi

Post n°239 pubblicato il 16 Giugno 2012 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

-Aurelio De Rose, Bruno Genovese, Achille Picardi- 

-giugno 2012- 

 

(la foto in alto è del gennaio 1955)

 
 
 

In Ricordo di Maria Pirozzi

Post n°238 pubblicato il 09 Giugno 2012 da aurelioderose
 

 
 
 

Augusto De Rose "Studio di nudini"

Post n°237 pubblicato il 08 Giugno 2012 da aurelioderose
 

 
 
 

"Per ricordare Maria Pirozzi"

Post n°236 pubblicato il 07 Giugno 2012 da aurelioderose
 

Ercolano "Una Magnolia ed una Targa per Maria Pirozzi" 

 
 
 

"Cugini ad Ercolano"

Post n°235 pubblicato il 07 Giugno 2012 da aurelioderose
 

Gianpiero, Adriano, Claudio, Aurelio

 
 
 

Ponte ad Ercolano

Post n°234 pubblicato il 07 Giugno 2012 da aurelioderose
 

Targa Ponte ad Ercolano

 Ercolano sul Ponte realizzato da Adriano De Rose 

 

 

 
 
 

"Traslazione corpo San Gennaro" part.

Post n°233 pubblicato il 05 Giugno 2012 da aurelioderose
 

Traslazione di San Gennaro (part.) 1936

in San Gennaro ad Antignano (Na)

 di Vincenzo Meconio 

 
 
 

"Traslazione corpo San Gennaro"

Post n°232 pubblicato il 05 Giugno 2012 da aurelioderose
 

Traslazione di San Gennaro (1936)

in San Gennaro ad Antignano (Na)

di Vincenzo Meconio

 
 
 

Il Maestro Notte e gli emergenti degli anni 50

Post n°231 pubblicato il 12 Aprile 2012 da aurelioderose
 

Augusto De Rose, Emilio Notte, Armando De Stefano- 1952

 
 
 

Ritratto di Megael -2010

Post n°229 pubblicato il 09 Aprile 2012 da aurelioderose

 
 
 

Renato Barisani

Post n°228 pubblicato il 24 Marzo 2012 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

 

al PAN

"Una Personale di Renato Barisani"

di Aurelio De Rose

Sabato 4 ottobre 2008 è stata inaugurata nella Project Room al primo piano del PAN-Palazzo delle Arti Napoli (Palazzo Roccella via Dei Mille 60) una Personale di Renato Barisani, a cura di Julia Draganovic e Olga Scotto di Vettimo con interventi  a catalogo anche di Enrico Crispolti, Stella Cervasio e Stefano de Stefano. Questa rassegna é un omaggio ai novant'anni che Renato Barisani compierà il prossimo mese di novembre e presenta una selezione delle Sue più recenti opere: ovvero, ne ripercorre gli ultimi quindici anni di attività, con 16 dipinti, 4 sculture di grandi dimensioni e circa 15 gioielli (collane e anelli anche di periodi precedenti). Tutte opere che tendono ad individuare ed evidenziare alcune costanti nelle più attuali genesi della ricerca del Maestro. Infatti: questa appare sempre innovativa nella connessione tra le opere scultoree e quelle pittoriche sia, nella concezione funzionale dello spazio così come nei volumi e nelle partiture cromatiche. Elementi che determinano il valore dell'oggettualità e di quanto ad esso circostante, nella tridimensionalità che le caratterizza, determinandone le significazioni. Questa quindi, di Palazzo Roccella, testimonia, ancora una volta il Suo minuzioso percorso di ricerca.

In Barisani la particolare espressione di costruzione pittorica, lo configura non solo nell'ambito della cultura artistica napoletana: e questo sin dagli anni cinquanta, ma lo colloca tra i pochi che hanno avuto un processo di continuità che è andato sempre più determinandosi e definendosi; in particolar modo nelle tensioni emesse dall'elemento oggettuale. Composizioni che non hanno alcun limite né nel disegno né nel tempo d'espressione: entrambi contigui alla propria esistenza. Piani di strutturazioni architettoniche che spaziano, oltre la propria dimensione che, surrogati dalla manifestazione cromatica, ne definiscono valori luministici nelle tonalità assumendo una crescente e vibrante definizione lirica. Materia, che appare in nuclei ben definiti e, nella loro comunicabilità si offrono come palpabili e sensibili poetiche. Indagine quindi sempre viva che non lascia, nelle strutture, alcun segno di ripetitività enunciativa sia nella propria funzione declaratoria che nei valori non solo ideogrammatici proposti. Tempo e spazio, questo in particolare delle ultime opere, che s'intersecano non più nella costante del rigore geometrico ed appaiono quindi, nella disposizione visiva, come metamorfosi ragionate del proprio sentire.

Una costruttività che pone come elemento essenziale la formulazione della materia cromatica; che assume un valore connesso al proprio senso linguistico: ovvero ne è sostanzialmente partecipe nella declaratoria che vuole esprimere determinandosi nelle oggettualità che si modulano nelle superfici, in una essenziale coniugazione. Forme oggetto quelle di Renato Barisani, che nella contiguità d'altre espressioni d'identiche e sostanziali valori, occupano lo spazio senza prevaricarlo divenendo funzionali alla loro scena propositiva.

Non è qui il caso di andare a ritroso nella lunghissima attività del Maestro che parte dal lontano concretismo del "Gruppo Sud" del 1947; al materico dell'informale così come all'immaginario geometrico. Ma è sintomatico che il percorso sempre costante e privo di tentennamenti, Egli l'abbia attraversato nella continuità di una ricerca, come accennato, sia formale che espressiva che si può sintetizzare nella molteplici e concrete proposizioni, anche nella scultura, così come nelle realizzazione di "monili" . Una attività che non ha mai avuto pause di oscillazioni avveniristiche e alla cui base vi è la qualità degli insegnamenti, soprattutto nel rigore del ritmo costruttivo ricevuto e maturatosi sin dall'età giovanile: quella ad esempio in scultura di Marino Marini del quale ne fu discepolo.

E' in definitiva quello di Barsisani,  un mondo intriso d'atmosfere di luminosità dalla quale non è estranea la propria città: Napoli, che è appunto un districarsi di sentieri spesso cullati nella luce e intersecati da mille atmosfere che variano nelle diversificazioni anche cupe che offre. Strutture modulari che non potevano quindi non coinvolgerlo ed alle quale Egli offre "valori" di logiche costruttive; che a volte e molto spesso cozzano con la realtà vissuta. E'a mio avviso quella del Maestro, un voler contrapporre ad una caotica realtà vissuta un proprio pacato rigore descrittivo.

Particolarmente significative sono alcune delle opere presenti a questa rassegna - e qui ne offriamo due esempi- che contrappongono appunto, la continuità di ricerca formale, al valore cromatico contiguo allo spazio: (foto 1 ) "Vesuvio" 2007- tecnica mista su tela  fissata su legno ; così come (foto 2) " Vuoti articolati" 2008- ferro verniciato painted iron 154 x 171 x 52 cm. Opere concettualmente definite nel "vuoto" circostante. Vuoto rappresentativo del desiderio d'una mancata espressione linguistica: valore della "parola inesistente" che si riscontra, soprattutto in questo nostro tempo, ed è sinonimo di una incomunicabilità latente .

 

 

 
 
 

Gabriele Marino

Post n°227 pubblicato il 24 Marzo 2012 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

"Un cinquantennio di dedizione all'arte"

di Aurelio De Rose

Quando vi è da scrivere sugli amici, subentra sempre una sorta di reticenza dovuta soprattutto al “come dirne” per non incorrere in una retorica di enunciazioni e di suggestioni che, ai più, apparirebbero come “forzature” dovute, appunto a quel rapporto d’intesa, sociale, politico e innanzitutto culturale che intercorre. Cercherò quindi di fare del mio meglio per tracciarne sinteticamente un “ritratto”.Con Gabriele, ci unisce un cinquantennio che parte da quel crogiuolo che fu l’Accademia di Belle Arti di Napoli tra gli anni 50 e 60; mai più qualitativamente ritrovato, sia per le personalità artistiche che avevano il compito d’insegnare, che per quanti apprendevano. In quei tempi figure come Notte, Ciardo, Brancaccio…e più giovani artisti di rilievo che con essi coadiuvavano e che si imporranno successivamente: Armando De Stefano, Augusto Perez, Augusto de Rose, Carmine Di Ruggiero, Giuseppe Pirozzi. Ci unisce in oltre, l’amicizia comune con Mario Buonoconto che fondeva in se, non solo una capacità declamatoria inimitabile ma, soprattutto, una edotta conoscenza della storia così come dell’arte e del costume della nostra terra. Probabilmente, ne sono più che convinto, fu proprio quest’affinità all’affabulazione di Mario a legarci e, pur se gli eventi della vita ci porteranno ad avere lunghi periodi di mancati incontri, maturerà in entrambi l’interesse al “dire” di memorie da riportare alla luce: propri di quei lunghi oratori del Buonoconto. Percorso quello dello studio del proprio tessuto d’origini che per Gabriele, andrà di pari passo con l’insegnamento ed una instancabile continua ricerca pittorica. Certo, quest’ultima apparirà nel tempo prevalente ma non certa priva di quell’analisi di scrittura che, ignota a molti, navigherà contemporaneamente alle immagini. Grafica e pittura che seguiranno negli eventi di novità susseguitesi, sia pure in un interesse conoscitivo, una propria linearità propositiva. Certo non esenti dell’influenza di alcune linee guida, rilanciate nelle arti figurative e in particolare la Pop Art che non mancheranno nei suoi dipinti ma saranno interpretate attraverso una personale “crittografia” che a monte ne tracciava il percorso di osservazioni e di analisi, con il risultato d’essere mai esente da quei riferimenti d’appunti della memoria. Cammino, quello di Gabriele che non ha mai avuto attimi di sospensione variando in numerosissimi campi della comunicazione visiva e narrativa che per lui sono, ancora oggi, necessarie variabili d’ “intrusione” nelle quali si addentra pienamente cosciente d’offrire sia un linguaggio composto da strutture figurative, trasferite come necessaria immaginazione; sia rapportandosi ad una manualità costruttiva oggettuale, come nelle ceramiche, che hanno nello stesso tempo, dal gesto iniziale al completamento realizzato, eguale significato di voler offrire quanto più possibile le sue mnemoniche, ed a volte fantastiche astrazioni. Quelle che conserva in se da sempre e che in questo cinquantennio, anche di differente nostro cammino, l’ho spesso visto perseguire.

 
 
 

Gerardo di Fiore “PARNASSUS”

Post n°226 pubblicato il 24 Marzo 2012 da aurelioderose
 
Foto di aurelioderose

“Un sogno infantile”
di Aurelio De Rose
Presso la “Franco Riccardo Artivisive”, in Piazzetta Nilo 7, si è inaugurata ieri giovedì 28 aprile la personale di Gerardo Di Fiore. “Parnassus” è il titolo che sintetizza questo evento. Ma quale significato ha voluto dare Di Fiore, che è stato titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli, a questa intitolazione? Leggiamolo. Parnassus è indubbiamente una “ispirazione poetica” e da essa ne derivano la totalità delle opere realizzate per questa personale ad eccezione delle riproposizioni sia del “Il riposo di Bacco” del 2006 che di “Oxigen” del 2003. E’ questo evento, una sorta di narrazione immaginifica, della quale Di Fiore, assumendo la veste di quel personaggio fiabesco del quale accenneremo dopo, spettacolarizza un infantile sogno poetico e surreale, immaginando e quindi particolarmente concretizzando, un personale globalizzato “Père-Lachaise” (il cimitero francese che raccoglie le spoglie dei massimi esponenti della cultura di quella terra). In questo “luogo sacro”, come lo era quello nell’antichità per gli “dei”, inserisce trenta lapidi che recano i nomi di altrettanti artisti viventi. Quelli rappresentanti anche un “quid intellettivo ed ispiratore”, dal quale lo scultore napoletano ha ricavato, nel corso della carriera, elementi di analisi e riflessione. Il primo impatto alla mostra é quindi una installazione che si manifesta e sviluppa, sostanzialmente e significativamente diversa dalle tante banalità che spesso ci vengono propinate. Questa Sua significativa interpretazione, rappresenta anche: un giuoco ironico della vita e della morte con quest’ultima che, in questo caso, diviene “leggera” particolarmente per la materia che utilizza: soffice e sostanzialmente non “eterna”. Quella gommapiuma che può anche volare in alto sottraendosi ai destini terreni che Di Fiore modella da sempre con maestria. Sostanzialmente però, tutto ciò ha anche come merito propositivo, quello della denuncia dell’effimero “protagonismo mercantile” che vige nella società che viviamo. Ovvero quello che espone ogni forma di cultura, non più ad un valore di analisi estetica ma, esclusivamente a quello mercantile. Notificazione questa, che nel contesto di un “registro ironico”, che è alla base ricorrente delle Sue opere, si sviluppa e viene ancor più sottolineata anche attraverso le successive fasi di queste ultime opere realizzate ed esposte. Di Fiore infatti riesce a riscrivere con la materia che gli è congeniale questo suo sogno e, per renderlo forma narrativa, assume come innanzi si accennava, la veste di Parnassus: attore girovago e narratore fantastico. Come tale, cerca di portare agli spettatori, con un tema d’immaginazione e creatività, questa che appare una sarcastica magica fiaba. Fiaba, che ancor più offre significato all’ironia che caratterizza l’intera mostra estrinsecandosi, poi, anche nelle successive oggettualità esposte. Queste, si evidenziano infatti in “C’è posta per Troia” e, nel “Guardando ai nuovi mercati”. Nella prima, in chiave quotidiana, appare una sorta di “bacheca condominiale” (che a nostra interpretazione richiama anche il seicentesco e tragico “monumento infame”). Nelle caselle, di quello che è il corpo dell’ omerico “equino d’insidie”, sono inserite delle teste di guerrieri che attendono ignari l’evento. In tal modo Di Fiore vuole testimoniare, simbolicamente, le continue minacce che possono pervenire attraverso tutte le forme di comunicazione. Con questo “contenitore d’insidie” ha infatti inteso individuare e porre in evidenza, quelle “notificazioni” sempre pronte a manifestarsi ad ogni istante della nostra vita quotidiana. Contemporaneamente, se ci si riferisce all’antico simulacro, evidenzia la evidente continua attesa di superamento della precarietà che vive la nostra città. Nella seconda, l’elemento mercantile è sintetizzato, in forma meno ludica ed ironica. Questo perché, giustamente, la soggettività alla quale si riferisce: quella della mercificazione dei corpi soprattutto giovanili, si evidenzia ed appare sempre più come spettacolarizzazione e, in un andamento profluvio e costante della società non può non suscitare che sdegno in quanti lottano per le creatività ignorate. A queste ultime Di Fiore soprattutto lancia, anche attraverso questo “fiabesco itinerario”, il monito di non intorbidirsi nell’apparenza d’essere ma di lottare perché venga affermato il vero talento.

 
 
 

da "Concerto per pianoforte"

Post n°225 pubblicato il 22 Marzo 2012 da aurelioderose

Concerto per pianoforte op. 1/79  “prima.. Stazione”

 

Sono quarantanove i passi di questo cammino giornaliero.

Trenta centimetri in movimento retto, parallelo;

per poi registrare con riferimenti partitari,

- causale- gruppo- conto- sottoconto-.

Per un dare o l’avere: per entrate ed uscite.

E le facce di verdi, di gialli e terre bruciate,

m’accompagnano con il rombo di ferro

che sintonizza - all’aprirsi o al chiudersi -

di un involucro zeppo di cartevalori.

E al di fuori,

tuona il tempo grigio di una giornata qualunque.

Inverno  afoso.

Ho tolto la chiave alla toppa,

e le sbarre fanno rima

 al carcere più affollato del mondo

mentre il cielo lampeggia

tra sibili di vagoni in arrivo, nei ritardi allagati.

Questa,  è la mia prima “Stazione” !

 

 

 
 
 

Concerto per pianoforte

Post n°223 pubblicato il 22 Marzo 2012 da aurelioderose
 

Testo poesie

 
 
 

Anticaglia

Post n°221 pubblicato il 12 Marzo 2012 da aurelioderose
 

Napoli non é solo "Gomorra" e i deprecabili spettacoli di "monnezza". E' soprattutto un luogo ricco di monumenti che troppo spesso gli stessi napoletani ignorano e, chi li governa, non ha provveduto a renderli in uno stato di decente visibilità. L'autore, così come per le fontane, le chiese ed i palazzi, anche con questo testo cerca di accompagnare il lettore nel: Decumano Superiore, che da sempre viene indicato come :" L'Anticaglia ", anche per i resti del teatro greco-romano che vide Nerone esibirsi.

 
 
 

Eduardo Palumbo gli “Aviogrammi e la musica”

Post n°220 pubblicato il 02 Marzo 2012 da aurelioderose
 

 

di Aurelio De Rose

 

    Della sua città natale Eduardo Palumbo. ha ereditato la passione per la luce, le cromie solari e la musica. Abbandonando Napoli, per le contraddizioni e le difficoltà d’inserimento soprattutto nel campo dell’insegnamento e, trasferitosi negli anni ’60 nella Capitale, non poteva che alimentare sempre più quel sentimento sopra citato per il viscerale amore rappresentato dal vissuto e dai luoghi. Di questi ultimi, particolarmente faceva propri, quelli delle tonalità sempre radiose e vibranti. Radiosità e vibrazioni che si ricollegano poi a quella musicalità acquisita nell’animo e nella mente. Tali da scaturire, in un identico amore per le armonie correlate tra elementi della natura e note del pentagramma. Note, ascoltate sin dalla tenera età: perché al pianoforte si dilettavano sia il nonno che la madre, come era d’uso in molte case della media borghesia napoletana ancora in quel tempo, nutrendo e plasmando, soprattutto le giovani età. Consuetudine che acuivano, in quanti serbavano non solo amore verso la pittura ma, particolarmente in questi, la necessità di materializzare le espressioni cromatiche attraverso l’ascolto di quelle musicalità che più si addicevano alla propria sensibilità. E Palumbo, infatti, nel corso della sua più che cinquantennale vita d’artista, non ha mai tralasciato di porsi, nel susseguirsi delle narrazioni e, mediante la strutturazione del suo indiscindibile “segmento cromatico”, alla attenta modulazione delle sonorità che l’accompagnavano nell’impegno gestuale che, appunto, lo ha caratterizzato. Infatti i vari “cicli” che man mano ha elaborato hanno tutti,- anche se alcuni specificatamente indicati,- un legame, direi visibile, con le sonorità ascoltate. Non vi è un’opera che Eduardo, maestro ma, in particolare amico che spesso ricalca con me nei ricordi una Accademia ormai lontana per vitalità e personaggi, che non sia stata realizzata ascoltando o semplicemente “cullato dal sottofondo” di brani dei massimi esponenti di quell’arte. Antonìn Dvoràk e lo cito in particolare, perché personalmente compongo ed ultimo i miei testi con il sottofondo delle note dei più significativi autori della “classica” e tra questi quello straordinario composto dall’autore ceco: quel Requiem che nei suoi maestosi picchi di straziante umanità e dolore mi fa ricollegare, nel visionarle, a molte delle opere di Palumbo. Ma le connessioni, tra queste ad esempio: ( foto 1: “Danza del fuoco”, tecnica mista su tela, 24x30) e, tant’altri maestri della musica  intramontabile sono ampie, ed i legami s’intravvedono anche ad occhi ignari,  in tutte le tele realizzate. Segni grafici che nell’alternarsi delle modulazioni cromatiche e nei loro slanci riconducono, appunto, a quei pentagrammi pieni di crome e biscrome, di diesis e bemolli che si alternano nelle sette note vitali. Qui, nei suoi quadri, bozzetti o fogli sparsi messi alla base dell’idea, non sfugge l’identica stesura che pone un musicista al pentagramma e se a questi manca ma, si intuisce il tono cromatico, non altrettanto al Nostro accade. Quegli elementi, basilari alla composizione si mescolano e producono il particolare segmento che poi lo contraddistingue. Segmento che in analogia a quello delle opere capogrossiane rivelano invece. non solo l’assenza di quelle staticità ma altresì una infinita gamma di “sonorità pittoriche” che, come si diceva all’inizio provengono dalla molteplicità d’innesto tra luce e colore acquisita nei luoghi di nascita e di status giovanile vissuto.  E’ come se Palumbo  avesse dentro, nel profondo del suo soffio vitale, la musicalità prodotta dal vento, dalla luce, dall’aria e, padrone del proprio “gesto”, non fa altro che aprirsi a quelle armonie per tramutarle e visibilmente ascoltarsi: vibrando con esse, con il risultato che  i “tratti delle sue geometrie” si tramutano in proprie “sinfonie”. Tra l’altro proprio per questo viscerale connubio con le musicalità di Bach, Stravinsky, Mahler Debussy, Haydn, Ciaikovskij, Berlioz, Ravel, ai quali aggiungerei la struggente nudità della musica di Satie ed i più recenti Frisina, De Pirro, ha trovato quel rapporto di rispondenze che tramuta in “visioni astratte” ma, sensibilmente conformi a quello spazio infinito, che si crea nell’ascolto. Quello che sale su nell’aria e coinvolge la passionale sensibilità umana. Eduardo Palumbo si è appunto nutrito e si nutre di quelle emotività e, le ha poste e le pone all’ascolto nella visione. E, quel suo cammino di dinamicità pittorica, composta nelle tessiture dai personali arabeschi cromatici, ripercorre tratti di vita e di sensazioni; tali da divenire anche allo sguardo profano: raggi di musicalità. Lo spunto per le riflessioni succitate, vien dato dalla mostra inaugurata il 18 febbraio e visibile fino al 24 marzo 2012, presso la galleria “Il Tempo Ritrovato” in Roma. Mostra per il ciclo “Il Vento e la Libertà” dal titolo: “Il linguaggio specchio della società” curata da Daniela Vaccher nella quale, oltre alle opere di Palumbo sono esposte opere di Ariela Bӧhm, Patrizia Molinari.

 

"Danza del fuoco"

questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano ROMA del 24/02/2012

 
 
 
 
 
 
 

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