Creato da pff58 il 31/08/2007
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Post n°867 pubblicato il 31 Agosto 2012 da pff58
DIECI DOMANDE PER IL DISCERNIMENTO PERSONALE 1. Cosa mi aspetto dalla mia partecipazione a questo pellegrinaggio? 2. Voglio cambiare, attraverso questa esperienza, qualcosa di me? Come penso di riuscirci? 3. Di quello che mi aspetto di vivere lungo la Via Francigena che cosa mi attira di più? Cosa non mi piace o mi spaventa? 4. Cosa mi ha spinto la prima volta a pensare di intraprendere questo pellegrinaggio? Questa motivazione è ancora valida? Oppure sta cambiando? 5. Quali conoscenze e valori mi attendo di incontrare lungo la Via Francigena? 6. Quali difficoltà personali mi aspetto di vivere? 7. Quali difficoltà di relazione mi aspetto di vivere? 8. Com’è – oggi – la mia fede in Cristo e nella Chiesa? Penso che il pellegrinaggio mi aiuterà a crescere? In che modo posso valorizzarne al meglio le potenzialità? 9. Cosa sento importante per me di ciò che i Vescovi hanno scritto nel loro Messaggio? 10. Porto con me alcune intenzioni di preghiera per persone care (vive o defunte) e per qualche problema degli uomini del nostro tempo? Sono disposto ad offrire con gioia le fatiche e i disagi del cammino per dare valore alla mia intercessione? |
Post n°866 pubblicato il 26 Agosto 2012 da pff58
Nel 3° millennio, una proposta di cammino per centinaia di chilometri? SI!
E perchè a Roma e lungo l'antica Via Francigena?
Ma perchè proprio a piedi?
E poi, ritornato a casa?
VAI E VEDI! |
Post n°865 pubblicato il 25 Agosto 2012 da pff58
E il pellegrino chi è allora? |
Post n°864 pubblicato il 24 Agosto 2012 da pff58
Ma noi pellegrini che ci rifacciamo a quel San Giacomo non dobbiamo e non possiamo perdere di vista la prospettiva che è e rimarrà il sale dei Cammini. |
Post n°863 pubblicato il 23 Agosto 2012 da pff58
I Cammini non sono una moda anche se sono diventati, purtroppo, di moda. |
Post n°862 pubblicato il 22 Agosto 2012 da pff58
Dawn ha impiegato anni per fare i conti con la sua infanzia. E per mettere a fuoco ciò che fino ad allora le era apparso confuso, inconfessabile perfino a se stessa: suo padre, la persona che avrebbe dovuto più di ogni altra proteggerla, ne aveva manipolato la personalità, nascondendo dietro un matrimonio falso e infelice la sua omosessualità praticata con zelo. Fuori dal buio, la mia vita con un padre gay è un libro scomodo. Appena tradotto per l’Italia da Edizioni Ares (pagine 240, euro 14), nel Nord America Out from Under, dal 2007 solleva dibattiti ogni qualvolta la sua autrice, Dawn Stefanowicz, ne parla in pubblico. Perché i racconti di una donna che fu bambina negli anni Sessanta e adolescente nei Settanta, a proposito di un padre perennemente a caccia di avventure sessuali, disordinato nella scelta dei giovani fidanzati così come nelle relazioni con la moglie, fragile e passiva, e con i tre figli, fanno drammaticamente da contraltare all’attuale percezione delle unioni omosessuali e dei figli che crescono all’interno di esse. Il padre, racconta Dawn nel suo libro, spesso portava a casa gli amici e si intratteneva con loro in salotto, incurante dei figli che sentivano tutto – e talvolta vedevano – dal piano di sopra, pieni di vergogna. O si faceva accompagnare da lei, ragazzina confusa e disprezzata, nelle sue missioni di conquista nei locali notturni più equivoci della Florida e della California. |
Post n°860 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da pff58
Tentazioni di Gesù http://www.youtube.com/watch?v=CsVNlzrdMGQ&feature=related Il Perdono
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Post n°859 pubblicato il 23 Ottobre 2011 da pff58
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Post n°858 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da pff58
La sentenza della Corte europea di giustizia di martedì, che ha sancito il divieto di brevettabilità per l’utilizzo di embrioni umani a fini industriali e commerciali, ha aperto un’essenziale questione antropologica e giuridica: l’embrione è soggetto di diritto? «È talmente vera la soggettività giuridica dell’embrione che è prevista in una specifica norma nella direttiva europea del 1998», risponde Andrea Stazi, docente di Diritto comparato presso l’Università europea di Roma. «La sentenza della Corte di Lussemburgo fa riferimento a questa norma, e ci fornisce un’importantissima interpretazione estensiva del concetto di embrione, includendo anche gli ovuli non fecondati quando contengano un nucleo di cellule umane». La Corte Ue interpreta il diritto comunitario per assicurarsi che venga applicato nello stesso modo in tutti i Paesi dell’Unione. Questo determina che la sentenza sia destinata a connotare in maniera rilevante l’ordinamento comunitario. È facilmente prevedibile infatti che, pur facendo riferimento nello specifico a questioni di brevettabilità, questa interpretazione possa avere ricadute su altri temi. «La dottrina giuridica e i tribunali – continua Stazi – dovranno riconsiderare la nozione di embrione alla luce di questa posizione ufficiale della Corte di giustizia, che ha fissato con chiarezza un’interpretazione autentica della norma». «L’interpretazione della Corte è destinata ad avere un’efficacia veramente pervasiva, anche al di là del caso specifico», commenta Filippo Vari, professore straordinario di Diritto costituzionale. «Con questa sentenza, veramente epocale, la Corte supera la visione fondata sul soggetto di diritto, affermando che l’embrione è essere umano e come tale portatore della dignità tipica degli esseri umani che è uno dei princìpi fondamentali e fondanti dell’Unione europea». Ma non è tutto. Per Vari con questa decisione si sgombra anche il campo da tutte quelle teorie capziose che volevano introdurre distinzioni tra le varie fasi dell’embrione così da poterne giustificare l’utilizzo. «E’ stata riconosciuta continuità all’essere umano, arrivando fino alle sue primissime fasi», spiega Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato. «In questo modo, qualificando in termini sempre più completi l’essere umano, se ne è ampliata la sfera di protezione». Qual è la ratio della sentenza? «I brevetti sono procedimenti legali per garantire l’esclusiva all’inventore di un nuovo ritrovato o procedimento tecnico – continua Gambino –. Abbiamo quindi chiaramente a che fare con cose, con applicazioni, non con soggetti, esseri umani. Dire che non si può brevettare ciò che viene dalla vita significa riconoscere che non sono cose, ma enti dotati di soggettività giuridica. Di qui a dire che sono soggetti di diritto, quindi, il passo è breve». Una parte consistente della dottrina giuridica europea aveva già dimostrato una spiccata sensibilità verso la tutela dell’embrione, ora ampiamente recepita dalla Corte. Non va però dimenticato che questo riconoscimento non estende il divieto anche al fare ricerca utilizzando o distruggendo embrioni umani ma vieta solo la brevettabilità dei risultati. La decisione si pone come importante paletto per disincentivare le lobby farmaceutiche, ma, più realisticamente, dirotterà gli investimenti verso quei Paesi che non hanno un’opportuna normativa a tutela dell’embrione. Molti anche ieri gli interventi dal mondo politico e accademico. Mario Mauro, capogruppo Pdl al Parlamento europeo, ha commentato che «sull’inviolabilità dell’embrione umano la Corte ha stabilito un principio fondamentale nel rispetto di quello che dovrebbe essere un concetto etico alla base della ricerca». Sulla stessa linea anche Domenico Di Virgilio, vicepresidente dei deputati del Pdl, già presidente dell’Associazione medici cattolici italiani: «Il riconoscimento della piena dignità dell’embrione umano è per noi medici cattolici impegnati in politica fonte di estrema emozione e soddisfazione». Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, rileva come «il principio ha una grande portata simbolica oltre che una conseguenza pratica: vietare lo sfruttamento significa ribadire che non contano soltanto i risultati che si possono raggiungere, ma che è decisivo come vengono raggiunti». Anche l’Osservatore Romano saluta la decisione della Corte come un fatto positivo ed esprime l’auspicio che questo riconoscimento di diritti finora spesso ignorati possa trovare conferme anche in altri ambiti. |
Post n°857 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da pff58
Una due, tre, tante volte. Troppe. Gli ultimi istanti di Gheddafi tracimano dai canali tv e inondano il web. Il volto è di un moribondo prima e di un morto poi. Il sangue è il suo sangue. I libici che si affollano e gli danzano attorno non sono attori. Anzi sì, ma non professionisti. Come tutti: una telecamera con la lucina rossa del record, o un videofonino puntato, sono un richiamo irresistibile davanti al quale esibirsi. Anche il più incolto e illetterato intuisce, in quell’attimo, di far parte della storia. E non si tira indietro. Una, due, tre, infinite volte. Quando la misura è colma? Forse quando un sussulto etico, o un residuo di pietas, suggeriscono che è ora di smettere? No. La parola fine verrà proclamata dall’implacabile curva dell’audience che comincia a scivolare all’ingiù. Diritto di cronaca? Dovere di mostrare "la verità"? Tremebonde foglie di fico. Quando hai esibito lo scempio del rais una volta – avvisando il pubblico di ciò che sta per aggredirlo sul video e dandogli il tempo e la libertà di cambiar canale – la seconda non è già più cronaca e nulla aggiunge all’informazione, ma è spettacolo. È puro e furbo show acchiappa-pubblico. E chi rimane accalappiato non è quasi mai l’amante perverso del sangue, né un media-sadico. Molto spesso è una persona normale fatalmente ipnotizzata dall’orrore: non lo cerca, ma se glielo sbattono in faccia non sa sottrarre lo sguardo. I Mot (Masters of television) lo sanno e se ne approfittano. E l’eccezione di Tv2000, e dei pochissimi altri che possano esserci sfuggiti, non basta a rincuorarci. Evidentemente l’orrore di piazzale Loreto non ci basta né ci ha insegnato nulla. Recidivi e cinici. Così la tv italiana ha perso la sua guerra di Libia. |