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BAMBINI SOLDATO!!!

Post n°10 pubblicato il 29 Novembre 2008 da baliano300
 

LA DIFESA DEL LORO FUTURO E UNA PROMESSA DI PACE...

Sono una cinquantina i conflitti armati attualmente in corso nel mondo. Si stima che oltre mezzo milione di bambini, in più di 87 paesi, siano reclutati nelle forze armate governative o in gruppi armati paramilitari e non governativi. Oltre 300 mila di questi ragazzi combattono attivamente in 41 paesi 300.000  bambini e  ragazzi che stanno ora combattendo in una delle tante guerre che insanguinano il mondo. Centinaia di migliaia sono invece quelli che potrebbero, in ogni momento, essere arruolati - non sempre volontariamente - negli eserciti regolari o nelle file di qualche gruppo armato. La maggior parte di questi soldati bambini ha tra i 14 e i 18 anni, ma numerosi sono quelli di età inferiore (10 - 13 anni) e vi sono testimonianze di reclutamenti di bambini ancora più giovani. L’aumento di questo fenomeno ha varie cause. Le armi leggere che vengono utilizzate sono facilmente trasportabili e utilizzabili anche da bambini, dopo soli pochi giorni di addestramento. I ragazzi inoltre si assoggettano più facilmente degli adulti alla disciplina militare, non pretendono paghe, difficilmente disertano, e sono facilmente sacrificabili

Un fenomeno che coinvolge anche le bambine

Il problema dei bambini soldato scavalca i confini di genere.
Benchè la maggior parte dei bambini soldato sono maschi, anche le ragazze rappresentano un numero significativo.
Circa il 30 % delle forze armate mondiali che impiegano bambini soldato hanno nelle proprie file delle bambine
...

 
Rispondi al commento:
sonofortunata
sonofortunata il 05/12/08 alle 16:49 via WEB
Sono stati strappati alla loro terra, alle loro famiglie, quando avevano appena cinque, sei anni al massimo. Rubati, come fossero oggetti, nei villaggi del nord-est dell’Uganda, poi trascinati nelle foreste, addestrati dai guerriglieri all’uso delle armi, alla disciplina marziale e all’omicidio, lontani da una vita che era già poco serena. Sono scomparsi per anni, fino quando la loro terra, nel cuore dell’Africa, non se li è ripresi per ricominciare a pulsare, a produrre frutti che poi diventavano semi, e semi che diventavano vita. A traghettarli, dall’inferno della guerra alla pace della comunità, non sono state le autorità ugandesi ma un uomo solo, un prete, presidente della Commissione per la Giustizia, la Pace e i diritti umani della diocesi di Arua, ai confini con la Repubblica democratica del Congo. Si chiama Emmanuel Maria Vura, ma nel suo villaggio, isolato a centinaia e centinaia di chilometri dalla capitale Kampala, tutti lo chiamano padre Natalino. Nel 2002, alla ripresa degli scontri tra i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) e l’esercito governativo dell’Uganda, Natalino ha deciso di cominciare la sua pericolosa missione: rischiando più volte la vita si è spinto nella foresta, fino alle roccaforti dell’Lra per liberare i bambini soldato che i guerriglieri avevano sequestrato durante le loro razzie nei villaggi del nord. Una missione che sembrava impossibile.Un uomo solo contro i seguaci di Joseph Kony, il feroce capo dell’Esercito di resistenza, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, responsabile di oltre 20 anni di guerra, devastazioni, centinaia di morti ed esecuzioni sommarie, nonché del rapimento di almeno 20mila bambini catturati per diventare killer o schiavi sessuali, prima in Uganda - fino al 2006, fino alla fine ufficiale di una guerra mai completamente sedata - poi in Congo, da qualche mese nuova frontiera di scontri con altri soldati e altre etnie.Eppure, padre Natalino è riuscito a poco a poco ad avvicinare alcuni generali, e a conquistare, anno dopo anno, spedizione dopo spedizione, decine e decine di bambini soldato. Nel 2002 erano 80, oggi sono arrivati a 800. «Trattavo direttamente con alcuni guerriglieri», ha spiegato a l’Unità il prete: «a volte attraverso la mediazione di un loro ex ufficiale. Per raggiungerli, per entrare nei loro campi a volte ero costretto a percorrere dei lunghi sentieri a carponi, per non vedere e poi riconoscere il tragitto. Per liberare i ragazzi non usavo denaro ma parole: cercavo di farli ragionare». Ma la libertà era solo il primo passo, e forse neanche il più complicato. Dopo, ai bambini diventati ormai adolescenti o appena maggiorenni, toccava rituffarsi nella vita normale dei villaggi: come reduci in famiglia, se padre e madre erano stati graziati dai guerriglieri, oppure, nella maggior parte dei casi, come orfani nella comunità, nella diocesi. Era dunque necessaria una catarsi: dimenticare orrore, sangue e violenze sessuali per tornare a studiare e lavorare. La terra da arare, allora, poteva diventare la leva del riscatto. Ma per farlo, per riconquistare il cuore ammalato dei ragazzi e addolcire la forza della natura, occorrevano strumenti tecnici e personale adeguato, mezzi e competenze, sementi, macchine e formazione professionale: in due parole, uomini e denaro. Stavolta, un prete, da solo, non poteva bastare. Né tanto meno potevano essere utili finanziamenti e donazioni da bruciare subito, come paglia al fuoco. Per sfidare l’indifferenza dello Stato e la normalità della miseria serviva un progetto serio e articolato, serviva spargere la voce e trovare qualcuno disposto ad aiutare i bambini di Arua, a credere in loro investendo finanziamenti mirati e a lungo termine.E l’aiuto è arrivato, nel 2005, dall’Italia. Ad ascoltare e sostenere concretamente Natalino è stata la Fata Assicurazioni, la Compagnia del Gruppo Generali specializzata nel settore agricolo ed ambientale, già impegnata in attività di carattere umanitario. Da allora in avanti, accanto alla missione del prete, che continua ancora a salvare gli orfani dalla foresta, è nata una vera e propria società agricola, una cooperativa che sfama e offre lavoro a migliaia di persone, e coltiva oltre 3560 ettari di terreno.
 
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