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Potrei congiungere il polpastrello del mio pollice a quello del mio indice e avanzerebbe aria attorno al tuo omero. Mentre ti guardo struggendomi, mi chiedo come possa guardarti tua madre e sopravvivere alla tua sottrazione. Mi chiedo in quale abisso di anestesia può sprofondare un dolore quando si fa insopportabile.
Io non riesco nemmeno a chiuderle quelle dita, spero, in qualche remota piega del mio sentire, che i miei occhi sbaglino misura. Io non riesco nemmeno ad arrivare in fondo alla galleria di immagini rimanendo ad occhi asciutti, per la rabbia e l'impotenza.
E so che domani scriveremo ancora di sciocchezze e di nullità, di speculazioni filosofiche, artistiche, economiche, di cronache e di vanità amorose. Sarò io la prima a innalzare un calice di piacevoli vuote e inutili parole, ma stasera rimane lo sgomento e la piaga. Rimane quel fremito sottopelle che tende i nervi e chiede voce.