Bibliofilo arcano

Lucia Albani 6 sonetti

Riporto qui di seguito, ordinati alfabeticamente, in base al primo verso, sei dei 31 sonetti conosciuti di Lucia Albani Avogadro, riportati nelle sue Rime.

01. (Pag. 56, sonetto X)

Afflitto, et mesto cuor colmo d'affanni,
Passato è 'l tempo homai di dar ricetto
A quei dolci pensier, che con diletto
Temprar solcano i tuoi gravosi danni;

Passata è quella speme che con vanni
Spediti, e lievi, et pieni d'alto affetto
Poggiar ti fea al ciel, ch' hor t'è interdetto,
Et ti nodriva con soavi inganni:

Nulla t'avanza altro che pianger sempre,
Biasmando il tuo destin crudele, ingrato,
Che ti mantien in si penosa vita;

Adunque chiedi homai a morte aita,
Acciò ch'ella tue pene scemi, et tempre,
Et ponga fin al tuo infelice stato.



02. (Pag. 70, sonetto XXIV)

- Alma, fia mai che 7 mio si lungo pianto
Si volga in riso, e 'n lieti, i tristi giorni?
Fia mai che dopo tanta pioggia torni
Il vago sol da noi bramato tanto?

- Deh non sperar mentre questo fral manto
L'amanta, et cuopre, et qui in terra soggiorni,
Altro haver mai che pene, affanni, et scorni,
Perché al Ciel piace il tuo languir cotanto.

- Dunque che tardi a non tornarti homai
Al loco d'onde uscisti, alma gradita,
Sciogliendone ambidue da tanti guai?

Volesse pur chi teco m'ha unita
Cui non piace, né vuol, che co' suoi strai
Morte ti spenga in l'età si fiorita.



03. (Pag. 55, sonetto IX)
In morte della S.ra Antonia Avogadra di Marenci.

Alma gentil, che 'n così acerba etade
Presaga del tuo ben si lieta al cielo
Prendesti volo, sciolta da quel velo,
Che qui fu essempio di vera honestade,

Pon mente dalle belle ampie contrade.
Ov'hor senza provar caldo, né gelo
Assisa stai piena d'ardente zelo
Contemplando l'eterna alma beltade,

Quanti per te sospir, quanti lamenti
Quante lagrime ogn'hor spargono al vento
Il mesto padre e 'l tuo fedel consorte;

E impetra dal Signor, che i suoi tormenti
Acqueti homai, e il lor desir contento
Renda de la tua bona, et lieta sorte.



04. (Pag. 71, sonetto XXV)

Ben fu infelice, et sfortunato il giorno,
Ch'habitar venni in questa valle piena
D'amaro pianto, poi ch'hora serena
Veder mai non dovea, ma doglia, et scorno.

Tutte le stelle in ciel facean sogiorno,
Che producon tra noi tormento, et pena;
Phebo la luce sua vaga, et amena
Non mostrò fuor cinto de nubi intorno.

Il pianto mio, e i legami ove avolta
Primieramente fui, presagio vero
Fur de 'l miei mali, et di mia servitute;

Così dal dì ch'io nacqui di salute
Mi fu in tutto ogni via precisa, et tolta.
Colpa del mio destili crudele, et fiero.



05. (Pag. 50, sonetto IV)
A messer Giovanni Bressani.

Bressan, che con tua dotta penna honori
Et lodi me, tal che di notte oscura
Mi rendi luce risplendente, e pura,
Dandomi con tuoi versi eccelsi honori,

Già potrei coronar di verdi allori
Il capo mio, et senza mortal cura
Seder col choro, ch'a ria morte fura
Chi gli consacra il stil, la lingua, e i cuori,

S'aggiunto fusse il vero a quelle rare
Lodi che tu mi dai; ma pur mi giova
Che cosi svegli il mio debil' ingegno.

Che la tua musa al fin possa lodare
Me veramente, né a ciò far la mova
Sovverchio amor, ma qualche effetto degno!



06. (Pag. 74, sonetto XXVIII)

Contra il pietoso Enea giamai sì irata
Non fu l'alma Giunon, o contra il forte
Hercole, che vincendo l'aspra sorte
Fé sua fama appo ognun chiara, et lodata,

Quanto è ver me di sdegno, et ira armata
L'empia fortuna, che del grave, et forte
Mio duol si pasce, et vive di mia morte,
Tal che niuna è di me più sconsolata.

Ne può il mio stratio, et la mia dura pena,
Né 'l mio chieder mercè piegar unquanco
La sua indurata, et dispettosa voglia;

Anzi la cruda ognhor con magior lena
Ver me s'aventa, onde per tanta doglia
Il misero mio cuor, lassa, vien manco.