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Elena Balletti Riccoboni

Post n°404 pubblicato il 11 Dicembre 2013 da livieroamispera
 

Lettera di Elena Balletti Riccoboni al signor abate Antonio Conti gentiluomo viniziano, sopra la maniera di Monsieur Baron nel rappresentare le tragedie franzesi.

Introduzione

La Lettera della signora Elena Balletti Riccoboni al signor abate Antonio Conti gentiluomo viniziano, sopra la maniera di Monsieur Baron nel rappresentare le tragedie franzesi (d’ora in avanti Lettera) apparve nel tomo XIII della Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici stampata in Venezia, appresso Cristoforo Zane, nel 1736 (pp. 495-510) per iniziativa del monaco camaldolese Angelo Calogerà (Padova 1696 - Murano 1766). La Raccolta, avviata nel 1728, nasceva sotto gli auspici di un giornalismo intellettualmente agguerrito, europeista e insoff erente verso l’erudizione seicentesca e provinciale: dalle pagine del primo tomo Calogerà lanciava il suo programma in favore di una cultura moderna e scientifica, aprendo il proprio periodico a un centinaio di corrispondenti disseminati in Italia e all’estero. Il carteggio di Angelo Calogerà non documenta uno scambio diretto con Antonio Conti né con Elena Balletti, anche se è lo stesso erudito camaldolese a dichiarare la propria ammirazione per Luigi Riccoboni nel breve profi lo autobiografico consegnato alla Vita. Probabile dunque un contatto diretto, forse agevolato dalla mediazione di Scipione Maffei o ancor meglio di Ludovico Antonio Muratori, con i quali agli inizi degli anni Trenta Calogerà intrattenne intensi scambi epistolari.
Figlia d’arte (aveva debuttato nella compagnia di Francesco Calderoni), ma dotata di una notevole cultura letteraria per un’attrice di teatro, Elena Virginia Balletti (o Baletti, o Balleti, o Balletty: Ferrara 1686 - Parigi 1771) aveva sposato nel 1706 Luigi Riccoboni, partecipando con intelligenza e sensibilità al progetto di riforma del repertorio drammaturgico avviato dal marito; interprete contesa tra Scipione Maffei (che le affidò e forse ideò per lei il personaggio di Merope nell’omonima tragedia), Pier Jacopo Martello e Antonio Conti, nel 1716 aveva seguito il marito Luigi Riccoboni a Parigi: attrice, poetessa e autrice teatrale, Balletti, in arte ‘Flaminia’, aveva trasformato la sua dimora parigina in uno dei più vivaci salotti della capitale in fatto di teatro, frequentato da Francesi ed esuli italiani, tra cui lo stesso Antonio Conti. Al gentiluomo veneziano, Elena indirizzò, oltre alla lettera che qui si pubblica, una più ambiziosa missiva: Lettre à m. l’abbé C*** au sujet de la nouvelle traduction du poème de la Jérusalem délivrée du Tasse (Paris, 1725 e Paris, P.-N. Lottin, 1725) che, discutendo criticamente della traduzione francese di Jean-Baptiste Mirabaud della Liberata tassiana, finiva con il rimproverare ai cugini d’oltr’alpe un’insufficiente conoscenza della letteratura italiana, ed in particolare di quella teatrale, riconoscendo di contro un singolare merito all’Athalie e al Britannicus di Racine.

La Lettera su Baron, edita nel 1736, risale verosimilmente al 1720, quando Baron ultrasessantenne tornò a calcare le assi del palcoscenico della Comédie-Française; al 1720 riconduce anche il riferimento, interno alla missiva, ai quattro anni trascorsi dall’insediamento degli Italiens a Parigi (cfr. infra: «Monsieur Baron mi ha detto la prima volta e la sola che ho avuta seco conversazione ch’egli aveva presa quella maniera di declamare senza scostarsi dalla natura dopo che aveva sentita la truppa italiana, che già sono quattr’anni è ritornata in Parigi»). E tuttavia la datazione non può non sollevare qualche perplessità solo a considerare tanto il ritardo di sedici anni rispetto alla data di composizione, quanto il tempo trascorso dalla scomparsa del dichiarato bersaglio polemico, Michel Baron, morto il 22 dicembre del 1729. L’uno e l’altro elemento lasciano affi orare il dubbio che in gioco, più che l’effettiva ‘maniera’ di Baron, ci sia una ben più concreta aspirazione: la rivendicazione della troupe italiana al diritto di misurarsi con la drammaturgia tragica, cui lo stesso Luigi Riccoboni guardava come ad un traguardo professionale.

Ed è forse questa sinergia tra i coniugi Riccoboni l’aspetto che più risalta dalla Lettera, che rispetto ai capitoli Dell’arte rappresentativa, come anche all’Histoire du théâtre italien e alle tarde Pensées sur la declamation di Lelio, integra e supplisce ai silenzi della trattazione storica o genericamente attoriale. La Lettera infatti, nell’analizzare minutamente la recitazione tragica di Baron per come era emersa dalla rentrée del 1720, consente un confronto ravvicinato più che tra la reale arte performativa francese ed italiana, tra i rispettivi principi estetici cui si ispiravano le due compagnie; da un lato la stilizzazione declamatoria, artistica, dei Francesi; dall’altro la naturalezza classicistica degli Italiani. Nel rigettare l’omaggio di Baron ai comici italiani, dai quali il Francese aveva dichiarato di aver appreso la sua ‘declamazione naturale’, Balletti delinea lo stile tragico italiano, improntato a una compostezza classica sul piano della prossemica, a una dizione oratoricamente sostenuta su quello vocale, a una preparazione storico-estetica dal punto di vista dell’interpretazione complessiva. Il tutto calato in un discorso drammaturgicamente attento a distinguere i generi (tragedia classica, tragedia moderna ma d’ambientazione classica, tragedia moderna di ambientazione moderna, tragicommedia, tragedia passionale, commedia), i ruoli degli attori (protagonista e comprimario) e la dinamica testuale.

a cura di Valentina Gallo (fonte anonima)

 
 
 
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