Teilhard de Chardin
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L'orientamento dell'evoluzione
Ecco ancora un breve testo di Padre Pierre Teilhard de Chardin che fa parte dell'opera principale del gesuita francese: Il Fenomeno Umano
Sul fatto generale che vi sia una evoluzione, tutti gli studiosi, abbiamo detto, sono ora d'accordo. Ma sul problema di sapere se tale evoluzione sia orientata, è ben diverso. Chiedete oggi a un biologo se egli ammette che la Vita , attraverso le sue trasformazioni, vada da qualche parte: nove volte su dieci, egli vi risponderà: «No», — e lo sottolineerà anche con passione. «Che la materia organizzata sia in continua metamorfosi, vi direbbe, e che questa metamorfosi la faccia scivolare col tempo verso forme sempre più improbabili, — è ciò che balza agli occhi. Ma quale scala potremmo trovare per valutare in modo assoluto, o semplicemente relativo, queste fragili costruzioni? Quale diritto abbiamo noi, per esempio, di dire che il Mammifero — fosse pure l'Uomo — è più progredito e più perfetto dell'Ape o della Rosa?... In qualche modo, partendo dalla cellula primitiva, possiamo ordinare gli esseri in cerchi via via più ampi, secondo l'intervallo di Tempo che li separa. Ma al di là di un certo grado di differenziazione, non sapremmo più stabilire, scientificamente, una qualche priorità tra queste varie ideazioni della Natura. Soluzioni diverse, ma equivalenti. In prossimità del centro, tutti i raggi, verso ogni azimut della sfera, sono ugualmente validi. Nulla infatti sembra dirigersi verso qualche cosa».
La Scienza , nelle sue conquiste — e anche, lo dimostrerà, l'Umanità nel suo cammino — segnano il passo in questo momento, perché gli spiriti esitano a riconoscere l'esistenza di un orientamento preciso e di un asse privilegiato di evoluzione. Indebolite da questo dubbio fondamentale, le ricerche si disperdono e le volontà non si decidono a costruire la Terra.
Vorrei poter far capire qui perché, prescindendo da ogni antropocentrismo e da ogni antropomorfismo, mi pare di vedere che un senso e una linea di progresso esistano per la Vita , — senso e linea così ben definiti, che la loro realtà, ne sono convinto, sarà universalmente ammessa dalla Scienza di domani.
In primo luogo, poiché si tratta, nella fattispecie, di gradi di complicazione organica, cerchiamo di trovare un ordine nella complessità. Bisogna riconoscere che l'insieme degli esseri viventi costituisce qualitativamente un labirinto inestricabile se non lo si esamina con un qualche filo che faccia da guida. Cosa accade, dove andiamo, attraverso questo monotono susseguirsi di ventagli?... Certo, nel corso dei secoli gli esseri moltiplicano il numero e la sensibilità dei loro organi. Ma li riducono anche, a causa della specializzazione. E poi, cosa significa, in realtà, il termine «complicazione»?... Esistono tanti modi diversi per un animale di diventare meno semplice. Differenziazione delle membra? dei tegumenti? dei tessuti? degli organi sensoriali? — Secondo il punto di vista adottato, sono possibili diversi tipi di alternative. Tra queste molteplici combinazioni, ne esiste forse una più vera delle altre, — una che conferisca all'insieme dei viventi una coerenza più soddisfacente, sia rispetto a se stesso, sia rispetto al Mondo in cui la Vita è inclusa?
Ritengo che, per rispondere a questa domanda, sia necessario ritornare un po' indietro e riprendere le considerazioni con cui ho tentato, in precedenza, di definire le reciproche relazioni tra Esterno ed Interno delle Cose. Dicevo allora che l'essenza del Reale potrebbe pur essere rappresentata dall'«interiorità» che l'Universo contiene in un dato momento; e in questo caso, l'Evoluzione non sarebbe in fondo nient'altro che un accrescimento continuo di questa Energia «psichica» o «radiale» nel corso della Durata, sotto l'Energia meccanica o «tangenziale», praticamente costante alla scala delle nostre osservazioni (p. 67). Qual è del resto, aggiungevo, la funzione particolare che lega sperimentalmente l'una all'altra, nei loro rispettivi sviluppi, le due Energie, radiale e tangenziale del Mondo? Ovviamente l'organizzazione: l'organizzazione, i cui progressi successivi si accompagnano interiormente, come possiamo constatare, a un accrescimento e a un approfondimento continuo di coscienza.
Ribaltiamo ora (senza entrare in un circolo vizioso, ma per semplice aggiustamento di prospettiva) questa proposizione. Ci troviamo imbarazzati nel distinguere, tra le innumerevoli complicazioni subite dalla Materia organica in ebollizione, quelle che rappresentano semplici differenziazioni superficiali da quelle (ammesso che ne esistano) che corrisponderebbero a un raggruppamento rinnovatore della Stoffa dell'Universo? Ebbene, cerchiamo soltanto di appurare se, tra le varie combinazioni tentate dalla Vita, alcune non sarebbero per caso organicamente associate a una variazione concreta dello psichismo negli esseri che la realizzano. Se così fosse, — e se la mia ipotesi è giusta — sono proprio quelle, senz'ombra di dubbio che, nella massa ambigua delle trasformazioni banali, rappresenterebbero le complicazioni per eccellenza, le metamorfosi essenziali — cerchiamole e seguiamole. È probabile che esse ci conducano da qualche parte.
Posto in questi termini, il problema si risolve immediatamente. Sì, certo, negli organismi viventi esiste un meccanismo prescelto per l'attività della coscienza; è sufficiente guardare in noi stessi per scoprirlo: si tratta del sistema nervoso. Noi cogliamo concretamente una sola interiorità al Mondo: la nostra, in modo diretto; e contemporaneamente, per immediata equivalenza, grazie al linguaggio, anche quella degli altri. Ma abbiamo le migliori ragioni di ritenere che esista, anche negli animali, una certa interiorità, approssimativamente commisurabile alla perfezione del loro cervello. Cerchiamo dunque di suddividere i viventi in base al grado di «cerebralizzazione». Cosa succede? — Un ordine, l'ordine stesso che noi desideravamo, si stabilisce, — ed automaticamente.
Iniziamo con un richiamo a quella regione dell'Albero della Vita che conosciamo meglio, perché è tuttora particolarmente vivace, e anche perché ne facciamo parte: la Branca dei Cordati. In questo insieme, si manifesta un primo carattere che la paleontologia ha da tempo posto bene in luce: ed è che il sistema nervoso, mediante balzi considerevoli, si sviluppa e si concentra progressivamente di Strato in Strato . Chi non conosce l'esempio di quei giganteschi Dinosauri la cui massa cerebrale, irrisoriamente piccola, rappresentava unicamente un susseguirsi di lobi dal diametro di gran lunga inferiore a quello del midollo nella regione lombare? Simili condizioni ricordano quelle che prevalgono, in aree inferiori, negli Anfibi e nei Pesci. Ma se passiamo ora al livello superiore, ai Mammiferi, che cambiamento!
Nei Mammiferi, vale a dire questa volta, all'interno di uno stesso Strato, il cervello è in media molto più voluminoso e con un numero di circonvoluzioni ben maggiore che un qualsiasi altro gruppo di Vertebrati. Tuttavia, a un esame più accurato, quante disuguaglianze ancora, — e soprattutto quale ordine nella distribuzione delle differenze! Anzitutto, una gradazione che segue la posizione dei Bioti: nella natura attuale, i Placentati sono, cerebralmente, più progrediti dei Marsupiali. E poi, una gradazione che segue l'età all'interno di uno stesso Biote. Si può dire che, nel Terziario inferiore, i cervelli dei Placentati (ad esclusione di alcuni Primati) sono sempre relativamente più piccoli e meno complicati che non a partire dal Neogeno. Lo si può constatare in modo assoluto nei phyla estinti, — quali i Dinoceratidi, mostri forniti di corna il cui cranio non superava di molto, per le ridotte dimensioni e per la spaziatura tra i lobi, lo stadio raggiunto dai Rettili del Secondario. Lo stesso vale per i Condilartri. Ma questo fenomeno si osserva addirittura all'interno di una stessa stirpe . Nei Carnivori dell'Eocene, per esempio, il cervello, ancora alla fase marsupiale, è liscio e ben separato dal cervelletto. Sarebbe facile allungare l'elenco. In linea generale, qualunque sia la radiazione scelta su di un qualsiasi verticillo, purché abbastanza lungo, è raro non poter osservare che esso, con il trascorrere del tempo, porta verso forme sempre maggiormente «cefalizzate».
Passiamo ora a un'altra Branca, quella degli Artropodi e degli Insetti. Stesso fenomeno. Qui, avendo a che fare con un altro tipo di coscienza, la stima dei valori è meno facile. Tuttavia il filo che ci guida sembra ancora solido. Da un gruppo all'altro, da una età all'altra, queste forme psicologicamente così lontane subiscono, come noi, l'influenza della cefalizzazione. I gangli nervosi si raggruppano. Si localizzano e si sviluppano nella parte anteriore, nella testa. E, di pari passo, gli istinti si complicano. E appaiono contemporaneamente (ritorneremo ancora sull'argomento) straordinari fenomeni di socializzazione.
Potremmo continuare all'infinito quest'analisi. Ma ciò che ho detto è sufficiente a indicare con quale facilità, se il filo è afferrato dalla parte giusta, la matassa si lascia districare. Per ovvie ragioni di comodità i naturalisti sono indotti a classificare le forme organizzate in base a certe variazioni negli elementi ornamentali oppure a certe modificazioni funzionali dell'apparato osseo. La loro classificazione, che segue processi ortogenetici riguardanti la colorazione delle ali, o la disposizione delle membra, o il disegno dei denti, è in grado di individuare i frammenti, o persino lo scheletro di una struttura nel mondo vivente. Ma poiché le linee così tracciate esprimono solo alcune armoniche secondarie dell'evoluzione, l'insieme del sistema non assume né volto né movimento. Al contrario, non appena la misura (o parametro) del fenomeno evolutivo viene ricercata nell'elaborazione del sistema nervoso, non solo la moltitudine dei generi e delle specie acquisisce un ordine, ma l'intera rete dei loro verticilli, dei loro strati, delle loro branche, si erge come un fascio vibrante. Non solo una ripartizione delle forme animali secondo il loro grado di cerebralizzazione coincide esattamente con i modelli imposti dalla Sistematica, ma conferisce inoltre all'Albero della Vita un rilievo, una fisionomia, uno slancio nei quali è impossibile non riconoscere l'impronta della verità. Una coerenza così perfetta, — e, aggiungiamo pure, tanta facilità, tanta inesauribile fedeltà e tanta potenza evocatrice in questa coerenza, — non possono essere effetto del caso.
Tra le infinite modalità in cui si disperdono le complessificazioni vitali, la differenziazione della sostanza nervosa spicca, così come la teoria lo faceva prevedere, come una trasformazione significativa. Conferisce un senso, — e di conseguenza dimostra che vi è un senso nell'Evoluzione.
Pierre Teilhard de Chardin
Il fenomeno umano , tr. it. di Fabio Mantovani, Queriniana, Brescia 20012 , pp. 133-137.
La foto pubblicata ritrae Teilhard a Giava durante la campagna di scavi che ha portato alla scoperta dell'Uomo di Giava.
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" La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto. Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori? Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva. E' una distinzione illusoria. La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente, la Verità "
"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.
Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno... Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)
" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando... E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto... Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro. Manovra impossibile e fatale. La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide. Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936)
Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio. "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)
" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.
Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.
Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?
Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)
" Nel Cuore della Materia.
Un Cuore del Mondo,
Il Cuore d' un Dio"
(da Le Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)