Messaggi del 09/07/2008

L'orientamento dell'evoluzione

Post n°12 pubblicato il 09 Luglio 2008 da bioantroponoosfera
Foto di bioantroponoosfera

 Ecco ancora un breve testo di Padre Pierre Teilhard de Chardin che fa parte dell'opera principale del gesuita francese: Il Fenomeno Umano

Sul fatto generale che vi sia una evoluzione, tutti gli studiosi, abbiamo detto, sono ora d'accordo. Ma sul problema di sapere se tale evoluzione sia orientata, è ben diverso. Chiedete oggi a un biologo se egli ammette che la Vita , attraverso le sue trasformazioni, vada da qualche parte: nove volte su dieci, egli vi risponderà: «No», — e lo sottolineerà anche con passione. «Che la materia organizzata sia in continua metamorfosi, vi direbbe, e che questa metamorfosi la faccia scivolare col tempo verso forme sempre più improbabili, — è ciò che balza agli occhi. Ma quale scala potremmo trovare per valutare in modo assoluto, o semplicemente relativo, queste fragili costruzioni? Quale diritto abbiamo noi, per esempio, di dire che il Mammifero — fosse pure l'Uomo — è più progredito e più perfetto dell'Ape o della Rosa?... In qualche modo, partendo dalla cellula primitiva, possiamo ordinare gli esseri in cerchi via via più ampi, secondo l'intervallo di Tempo che li separa. Ma al di là di un certo grado di differenziazione, non sapremmo più stabilire, scientificamente, una qualche priorità tra queste varie ideazioni della Natura. Soluzioni diverse, ma equivalenti. In prossimità del centro, tutti i raggi, verso ogni azimut della sfera, sono ugualmente validi. Nulla infatti sembra dirigersi verso qualche cosa».

La Scienza , nelle sue conquiste — e anche, lo dimostrerà, l'Umanità nel suo cammino — segnano il passo in questo momento, perché gli spiriti esitano a riconoscere l'esistenza di un orientamento preciso e di un asse privilegiato di evoluzione. Indebolite da questo dubbio fondamentale, le ricerche si disperdono e le volontà non si decidono a costruire la Terra.

Vorrei poter far capire qui perché, prescindendo da ogni antropocentrismo e da ogni antropomorfismo, mi pare di vedere che un senso e una linea di progresso esistano per la Vita , — senso e linea così ben definiti, che la loro realtà, ne sono convinto, sarà universalmente ammessa dalla Scienza di domani.

In primo luogo, poiché si tratta, nella fattispecie, di gradi di complicazione organica, cerchiamo di trovare un ordine nella complessità. Bisogna riconoscere che l'insieme degli esseri viventi costituisce qualitativamente un labirinto inestricabile se non lo si esamina con un qualche filo che faccia da guida. Cosa accade, dove andiamo, attraverso questo monotono susseguirsi di ventagli?... Certo, nel corso dei secoli gli esseri moltiplicano il numero e la sensibilità dei loro organi. Ma li riducono anche, a causa della specializzazione. E poi, cosa significa, in realtà, il termine «complicazione»?... Esistono tanti modi diversi per un animale di diventare meno semplice. Differenziazione delle membra? dei tegumenti? dei tessuti? degli organi sensoriali? — Secondo il punto di vista adottato, sono possibili diversi tipi di alternative. Tra queste molteplici combinazioni, ne esiste forse una più vera delle altre, — una che conferisca all'insieme dei viventi una coerenza più soddisfacente, sia rispetto a se stesso, sia rispetto al Mondo in cui la Vita è inclusa?

Ritengo che, per rispondere a questa domanda, sia necessario ritornare un po' indietro e riprendere le considerazioni con cui ho tentato, in precedenza, di definire le reciproche relazioni tra Esterno ed Interno delle Cose. Dicevo allora che l'essenza del Reale potrebbe pur essere rappresentata dall'«interiorità» che l'Universo contiene in un dato momento; e in questo caso, l'Evoluzione non sarebbe in fondo nient'altro che un accrescimento continuo di questa Energia «psichica» o «radiale» nel corso della Durata, sotto l'Energia meccanica o «tangenziale», praticamente costante alla scala delle nostre osservazioni (p. 67). Qual è del resto, aggiungevo, la funzione particolare che lega sperimentalmente l'una all'altra, nei loro rispettivi sviluppi, le due Energie, radiale e tangenziale del Mondo? Ovviamente l'organizzazione: l'organizzazione, i cui progressi successivi si accompagnano interiormente, come possiamo constatare, a un accrescimento e a un approfondimento continuo di coscienza.

Ribaltiamo ora (senza entrare in un circolo vizioso, ma per semplice aggiustamento di prospettiva) questa proposizione. Ci troviamo imbarazzati nel distinguere, tra le innumerevoli complicazioni subite dalla Materia organica in ebollizione, quelle che rappresentano semplici differenziazioni superficiali da quelle (ammesso che ne esistano) che corrisponderebbero a un raggruppamento rinnovatore della Stoffa dell'Universo? Ebbene, cerchiamo soltanto di appurare se, tra le varie combinazioni tentate dalla Vita, alcune non sarebbero per caso organicamente associate a una variazione concreta dello psichismo negli esseri che la realizzano. Se così fosse, — e se la mia ipotesi è giusta — sono proprio quelle, senz'ombra di dubbio che, nella massa ambigua delle trasformazioni banali, rappresenterebbero le complicazioni per eccellenza, le metamorfosi essenziali — cerchiamole e seguiamole. È probabile che esse ci conducano da qualche parte.

Posto in questi termini, il problema si risolve immediatamente. Sì, certo, negli organismi viventi esiste un meccanismo prescelto per l'attività della coscienza; è sufficiente guardare in noi stessi per scoprirlo: si tratta del sistema nervoso. Noi cogliamo concretamente una sola interiorità al Mondo: la nostra, in modo diretto; e contemporaneamente, per immediata equivalenza, grazie al linguaggio, anche quella degli altri. Ma abbiamo le migliori ragioni di ritenere che esista, anche negli animali, una certa interiorità, approssimativamente commisurabile alla perfezione del loro cervello. Cerchiamo dunque di suddividere i viventi in base al grado di «cerebralizzazione». Cosa succede? — Un ordine, l'ordine stesso che noi desideravamo, si stabilisce, — ed automaticamente.

Iniziamo con un richiamo a quella regione dell'Albero della Vita che conosciamo meglio, perché è tuttora particolarmente vivace, e anche perché ne facciamo parte: la Branca dei Cordati. In questo insieme, si manifesta un primo carattere che la paleontologia ha da tempo posto bene in luce: ed è che il sistema nervoso, mediante balzi considerevoli, si sviluppa e si concentra progressivamente di Strato in Strato . Chi non conosce l'esempio di quei giganteschi Dinosauri la cui massa cerebrale, irrisoriamente piccola, rappresentava unicamente un susseguirsi di lobi dal diametro di gran lunga inferiore a quello del midollo nella regione lombare? Simili condizioni ricordano quelle che prevalgono, in aree inferiori, negli Anfibi e nei Pesci. Ma se passiamo ora al livello superiore, ai Mammiferi, che cambiamento!

Nei Mammiferi, vale a dire questa volta, all'interno di uno stesso Strato, il cervello è in media molto più voluminoso e con un numero di circonvoluzioni ben maggiore che un qualsiasi altro gruppo di Vertebrati. Tuttavia, a un esame più accurato, quante disuguaglianze ancora, — e soprattutto quale ordine nella distribuzione delle differenze! Anzitutto, una gradazione che segue la posizione dei Bioti: nella natura attuale, i Placentati sono, cerebralmente, più progrediti dei Marsupiali. E poi, una gradazione che segue l'età all'interno di uno stesso Biote. Si può dire che, nel Terziario inferiore, i cervelli dei Placentati (ad esclusione di alcuni Primati) sono sempre relativamente più piccoli e meno complicati che non a partire dal Neogeno. Lo si può constatare in modo assoluto nei phyla estinti, — quali i Dinoceratidi, mostri forniti di corna il cui cranio non superava di molto, per le ridotte dimensioni e per la spaziatura tra i lobi, lo stadio raggiunto dai Rettili del Secondario. Lo stesso vale per i Condilartri. Ma questo fenomeno si osserva addirittura all'interno di una stessa stirpe . Nei Carnivori dell'Eocene, per esempio, il cervello, ancora alla fase marsupiale, è liscio e ben separato dal cervelletto. Sarebbe facile allungare l'elenco. In linea generale, qualunque sia la radiazione scelta su di un qualsiasi verticillo, purché abbastanza lungo, è raro non poter osservare che esso, con il trascorrere del tempo, porta verso forme sempre maggiormente «cefalizzate».

Passiamo ora a un'altra Branca, quella degli Artropodi e degli Insetti. Stesso fenomeno. Qui, avendo a che fare con un altro tipo di coscienza, la stima dei valori è meno facile. Tuttavia il filo che ci guida sembra ancora solido. Da un gruppo all'altro, da una età all'altra, queste forme psicologicamente così lontane subiscono, come noi, l'influenza della cefalizzazione. I gangli nervosi si raggruppano. Si localizzano e si sviluppano nella parte anteriore, nella testa. E, di pari passo, gli istinti si complicano. E appaiono contemporaneamente (ritorneremo ancora sull'argomento) straordinari fenomeni di socializzazione.

Potremmo continuare all'infinito quest'analisi. Ma ciò che ho detto è sufficiente a indicare con quale facilità, se il filo è afferrato dalla parte giusta, la matassa si lascia districare. Per ovvie ragioni di comodità i naturalisti sono indotti a classificare le forme organizzate in base a certe variazioni negli elementi ornamentali oppure a certe modificazioni funzionali dell'apparato osseo. La loro classificazione, che segue processi ortogenetici riguardanti la colorazione delle ali, o la disposizione delle membra, o il disegno dei denti, è in grado di individuare i frammenti, o persino lo scheletro di una struttura nel mondo vivente. Ma poiché le linee così tracciate esprimono solo alcune armoniche secondarie dell'evoluzione, l'insieme del sistema non assume né volto né movimento. Al contrario, non appena la misura (o parametro) del fenomeno evolutivo viene ricercata nell'elaborazione del sistema nervoso, non solo la moltitudine dei generi e delle specie acquisisce un ordine, ma l'intera rete dei loro verticilli, dei loro strati, delle loro branche, si erge come un fascio vibrante. Non solo una ripartizione delle forme animali secondo il loro grado di cerebralizzazione coincide esattamente con i modelli imposti dalla Sistematica, ma conferisce inoltre all'Albero della Vita un rilievo, una fisionomia, uno slancio nei quali è impossibile non riconoscere l'impronta della verità. Una coerenza così perfetta, — e, aggiungiamo pure, tanta facilità, tanta inesauribile fedeltà e tanta potenza evocatrice in questa coerenza, — non possono essere effetto del caso.

Tra le infinite modalità in cui si disperdono le complessificazioni vitali, la differenziazione della sostanza nervosa spicca, così come la teoria lo faceva prevedere, come una trasformazione significativa. Conferisce un senso, — e di conseguenza dimostra che vi è un senso nell'Evoluzione.

 Pierre Teilhard de Chardin

Il fenomeno umano , tr. it. di Fabio Mantovani, Queriniana, Brescia 20012 , pp. 133-137.

La foto pubblicata ritrae Teilhard a Giava durante  la campagna  di scavi che ha portato alla scoperta dell'Uomo di Giava.

 
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Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 09 Luglio 2008 da bioantroponoosfera

 

IL FENOMENO TEILHARD

di Yves Coppens

     Al  punto in cui sono giunte le no­stre conoscenze in Paleontolo­gia  generale,   sembra  sorpren­dente che l'Africa non sia stata subito individuata  come  la  sola  regione del mondo in cui lo studioso può ricercare, con qualche probabilità di successo, le tracce della specie umana.

Cosi si esprimeva, con una straordina­ria chiaroveggenza, Pierre'Teilhard de Chardin nel settembre 1954 a New York.

Meno di cinque anni dopo avrebbe ini­ziato in Africa orientale la più grande avventura paleontologica di tutti i tempi: lungo 2.000 chilometri di faglia, là dove i sedimenti si accumulano come intrappo­lati, si sarebbero avvicendate otto grandi spedizioni internazionali, cioè più di 500 persone, per quindici anni, raccogliendo centinaia di migliaia di ossa fossili, tra cui centinaia di resti di ominidi. La storia della specie umana si arretrò allora con­siderevolmente e si parla ormai di ante-datare di quattro milioni di anni l'appari­zione dell'uomo, di tre milioni di anni quella dei primi utensili, di circa due mi­lioni di anni quella delle prime costruzio­ni e di un milione e mezzo di anni i primi riti.

Non posso fare a meno di immaginare quale grande felicità deve essere stata per Pierre Teilhard de Chardin il fatto di vivere in questa epoca abbastanza re­cente.

Se ho iniziato con questa profetica ci­tazione e con un breve bilancio di quanto abbiamo scoperto e appreso dopo la morte di Teilhard, è certo per collegare l'insieme delle conoscenze degli anni '50 con quelle che ci apprestiamo ad acqui­sire, ma è anche per ricordare che Teil­hard fu anzitutto un paleontologo.

    Egli ebbe il suo colpo di fulmine per la Paleontologia al Museo di Storia Natura­le di Parigi.

«Vi ricordate del nostro primo incontro verso la metà di luglio del 1912? — scri­veva egli a Marcellin Boule — Quel gior­no, verso le 2, venni timidamente a suo­nare alla porta, che più tardi avrei attra­versato tanto spesso, del laboratorio di piazza Valhubert. Eravate esattamente alla vigilia (sacra!) della partenza per le vacanze, occupatissimo. Mi riceveste malgrado ciò. E... mi proponeste di veni­re a lavorare da voi, alla scuola di Gau-dry, alla vostra scuola. Ed ecco come, nello spazio di cinque minuti, m'imbar­cai in quella che da quel momento sareb­be stata la mia esistenza, la ricerca e l'avventura nel campo della Paleontolo­gia umana. Mai, credo, la Provvidenza mi è stata cosi vicina nella vita...».

E Pierre Teilhard de Chardin va a stu­diare per undici anni, con grande assi­duita, le famose collezioni dell'Istituto di Paleontologia del Museo.

Se la sua partenza per la Cina nel 1923 segna l'inizio di lunghissimi giorni all'e­stero e di numerosi viaggi in tutto il mondo, questa vita molto attiva non gli impedirà, ad ognuno dei suoi passaggi da Parigi, di venire a lavorare in questa grande istituzione del Jardin des Plan-tes, dove aveva ricevuto, a trentun anni, lo «shock da fossili».

Oltre alla sua vita di pensatore e di scrittore nonché di prete, Teilhard ha dunque vissuto una vita assolutamente riempita di Paleontologia. Quando si consulta la lista dei suoi lavori scientifi­ci, ci si accorge che la sua produzione è quella di un eccellente ricercatore, come se non avesse fatto altro: da 5-6 a 12-13 articoli o memorie all'anno, un totale dipiù di 250 titoli in una quarantina d'anni di ricerche.

Vi si scorge l'abituale slittamento del­la Paleontologia da una parte verso la Geologia, per cominciare dal contenente per comprendere da dove viene il conte­nuto, e dall'altra verso la preistoria, per­ché attraverso il tempo e i suoi depositi si cerca sempre, coscientemente o no, l'Uomo.

E Pierre Teilhard de Chardin ha cosi bene compreso tutto questo che il primo Istituto di ricerca che egli ebbe l'occa­sione di fondare fu, nel 1940, a Pechino, con Padre Leroy, un Istituto che chiamò di «Geobiologia» (La Terra e la Vita).

In Paleontologia umana ha seguito as­sai da vicino, a partire dal 1929, la mag­gior parte dei grandi lavori in questa ri­cerca. Durante i suoi lunghi soggiorni in Cina, ha partecipato agli scavi dei due famosi giacimenti di Chukutien, vicino Pechino, accanto a Davidson Black, Georgo Barbour, C.C. Young e Pei Wen-Chung nonché allo studio propriamente detto dei resti del «sinantropo», accanto a Franz Weidenreich. Nel 1935 e nel 1938 si è recato a Giava per visitare con Ralph von Koenigswald i famosi luoghi del Pi­tecantropo di Trinil e di Sangiran e poi è andato a studiare, anche questa volta in due riprese, nel 1951 e nel 1953, le grotte dell'Australopiteco, nell'Africa del sud, sotto la direzione di Revil Mason, Van Riet Lowe e John Robinson.

Le attività della preistoria non sfuggo­no evidentemente all'interesse di padre Teilhard; quando cerca dei fossili, ricer­ca egualmente le tracce dell'Uomo ed è per questo che è stato portato a scoprire siti paleolitici e neolitici in Cina, in India, in Birmania, a Gibuti, in Etiopia e a visitarne molti altri e tentare una sintesi.

 Quanto ai suoi lavori di geologia, sono numerosissimi e importatnti; è facile comprendere come Teilhard s'interes­sasse innanzi tutto allo studio fonda­mentale della struttura dei depositi; pen­so che ha dovuto scrivere sulla geologia di tutti i siti che ha dovuto studiare o visitare, da Jersey a Giava e naturalmen­te dappertutto in Cina.

Che cosa emerge dunque da tutta que­sta considerevole opera scientifica, che non è che una parte della produzione e del pensiero di Pierre Teilhard de Char-din? È soprattutto un'opera sulle scienze del passato: la paleontologia, la geolo­gia, la preistoria. Ed è un'opera sulla ter­ra. Teilhard corre per il mondo con in mano il martello del geologo, si precipita dove affiora un sintomo della struttura profonda della terra e non teme né i chilometri, né i climi, né gli uomini. Col­pito nel 1947 da infarto del miocardio, scrive in un appunto datato nel mese di luglio: «il mattino... del 1° giugno, crisi cardiaca... Poi degenza in ospedale... È una svolta nella mia vita. Rinuncia forza­ta alla vita attiva sul terreno. Oggi, pro­prio a quest'ora, dovrei essere in volo per Johannesburp».

È poi un'opera di sintesi a tutti i livelli. Qualsiasi scoperta fortuita, qualsiasi analisi di un fenomeno, d'un fossile, d'un oggetto preistorico costituisce pre­testo per la compilazione di un lavoro d'insieme sui problemi che ne derivano. E poi, su un altro livello, Pierre Teilhard de Chardin collega naturalmente in mo­do perfetto i suoi lavori sulla geologia a quelli sul contenuto degli strati studiati, sui fossili e sulle pietre tagliate; ed anco­ra su di un altro livello, uno dei lati origi­nali del suo pensiero è quello di conside­rare l'Uomo, la Vita nel suo ambiente terrestre e cosmico e di collegare quindi i fenomeni che appaiono come troppo isolati nella loro partecipazione alla evo­luzione generale dell'Universo.

È un'opera di portata internazionale, si potrebbe dire mondiale, non parlo dell'o­pera in se stessa, che si rispecchia nel­l'universale, ma del modo in cui è stata trattata. Pierre Teilhard ha lavorato in Europa, in Asia, in Africa, in America; è vissuto venti anni o quasi in Cina e colla-borato a lungo con C.C. Young, Pei Wen-Chung, Yang Kieh, H.C. Chang, è vissuto negli Stati Uniti, partecipando ai lavori della Fondazione Wenner Gren per le ri­cerche antropologiche. Ed infine, segna­lerei ancora un aspetto della sua opera, che non è comune ma che però non è tra i minori: si tratta di un'opera scientifica ma anche poetica.

«Alcune migliaia di milioni di anni fa — egli scrive a proposito dell'origine della Terra — un brandello di materia for­mato da atomi particolarmente stabili si staccò dalla superficie del sole. E, senza spezzare i legami che lo univano e tutte le altre cose, ma mantenendosi ad una giusta distanza dall'astro genitore per riceverne i raggi con una intensità me­dia, questo brandello si agglomerò, si arrotondò, prese forma...» E sull'origine dell'Uomo: «Quando per la prima volta, in un essere vivente, l'istinto ha preso coscienza di se stesso, è tutto il mondo che fa un passo avanti. Silenziosamente vi ha fatto il suo ingresso l'Uomo».

Questo testo è un riassunto della relazio­ne presentata dall'autore al colloquio in­temazionale dell'Unesco tenutosi a Pari­gi dal 16 al 18 settembre 1981.

YVES COPPENS, professore al Museo di storia naturale (Musée de l'Homme). a Parigi, è membro del Comitato esecutivo dell'Unione internaziona­le delle scienze antropologiche ed etnologiche, presidente della commissione per lo studio dei primi ominidi dell'Unione internazionale delle scienze preistoriche e protostoriche. Ha diretto importanti missioni antropologiche al C/ad (1960-1966) e in Etiopia, Giacimenti dì Orno, (1967-1976) èdi Afar, (1972-1981). Tra i suoi scritti segnaliamo Origines de l'Homme (Libreria «Mu­sèo do l'Hommou, Par/gì. 1976 1980). nitro al .si/o contributo a /'Hifìloire gtìrirtralo fio l'Alricjuo (Unn uco Jttunt! Atrlciuti, Stock, f'ittìtil. IfMIO}.

 

 

 

 

 

 
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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 09 Luglio 2008 da bioantroponoosfera

Teilhard de Chardin: le ragioni di un interesse

E probabile che cinquanta anni dalla morte di Pierre Teilhard de Chardin rappresentino un intervallo di tempo sufficientemente lungo perché ci si possa accostare al pensiero e alle opere dello scienziato gesuita francese con una prospettiva equilibrata, capace di riconoscere sia le perplessità che alcuni punti della sua elaborazione intellettuale hanno suscitato nei decenni trascorsi, sia le profonde intuizioni e il valore di sintesi, inedita e feconda/ contenuti nella sua visione cristiana del cosmo, del lavoro umano e della vita.

Il dovere di informazione impone il ricordo delle disposizioni disciplinari di cui egli fu oggetto in vita all'interno della Compagnia di Gesù, che gli causarono la sospensione dall'insegnamento di materie di carattere filosofico-teologico con la conseguente richiesta di non pubblicare saggi sui medesimi temi. Vari anni dopo la. sua morte, ormai nel 1962 e in contemporanea con l'avvio dei lavori del Concilio Vaticano II, un Mohitum dell'alierà Sant'Uffìzio dichiarava in un breve comunicato (cfr. AAS 54 (1962), p. 526) che le sue opere di natura filosofica e teologica, a differenza di quelle di carattere scientifico nel cui merito non si entrava, contenevano ambiguità e gravi errori. Si può ragionevolmente ipotizzare che gli errori in questione (non menzionati dal comunicato) si riferissero alla possibilità, di dare luogo ad una visione panteista della presenza di Dio nel cosmo, ad una insufficiente separazione ontologica fra materia e spirito nella descrizione della evoluzione della materia fino alla comparsa della vita e dell'uomo, ad una probabile concezione determinista dell'Incarnazione, nonché ad una erronea comprensione della storicità del peccato originale. Al tempo stesso non si può non registrare che molte idee del pensatore francese avevano già influito sull'elaborazione teologica di non pochi autori del XX secolo e si erano ormai rese presenti in quadri interpretativi certamente ortodossi. Nel 1966, in un discorso sulle relazioni fra scienza e fede, papa Paolo VI parlava di Teilhard come di uno scienziato che aveva saputo, scrutando la materia, trovare lo spirito, e che aveva dato una spiegazione dell'universo capace di rivelare in esso la presenza di Dio, la traccia di un Principio Intelligente e Creatore (cfr. Allocuzione , 24.2.1966, Insegnamenti , IV (1966), pp. 992-993). Il 12 maggio 1981, in una lettera inviata dal card. segretario di Stato Agostino Casaroli a mons. Paul Poupard, Rettore dell' Institùt Catholique di Parigi, a motivo del centenario della nascita del paleontologo francese, si affermava che in lui «una forte intuizione poetica del valore profondo della natura, una acuta percezione del dinamismo della creazione e un'ampia visione del divenire de! mondo si coniugano con un incontestabile fervore religioso». Nella medesima lettera si aggiunge inoltre che «senza dubbio i nostri tempi non lasceranno cadere, al di là delle difficoltà dei concetti e delle deficienze di espressione del suo audace tentativo di sintesi, la testimonianza di una vita unificata, quella di un uomo conquistato dal Cristo nelle profondità del suo essere, e che ha avuto la preoccupazione di onorare allo stesso tempo la fede e la ragione, anticipando così una risposta all'appello di Giovanni Paolo II "Non abbiate paura, aprite, spalancate le porte a Cristo"» ( Insegnamenti , IV,1 (1981), pp. 1248-1249). Una breve nota pubblicata sull'Osservatore Romano dell'I 1 luglio dello stesso anno dalla sala stampa della Santa Squestione non andava considerata una "riabilitazione" del gesuita francese, né dovevano considerarsi risolti gli aspetti problematici presenti nel suo pensiero.

Fin qui gli eventi. Sufficienti perché il credente che desideri accostarsi alle opere di Teilhard lo faccia dall'interno di un quadro teologico nel quale una precisa conoscenza dei principali contenuti della Rivelazione non solo lo protegga dall'estrapolare o dal fraintendere il pensiero dell'Autore, ma possa addirittura aiutarne una comprensione matura, chiarendo ciò che nel linguaggio esperienziale e mistico del pensatore gesuita potrebbe restare dogmaticamente incompiuto. Sarà probabilmente il tempo a dirci, come avvenuto in occasione di altri autori, se una nuova contestualizzazione del pensiero di Teilhard potrebbe mutarne il sobrio ma significativo giudizio disciplinare, e su quali aspetti della sua sintesi intellettuale i Pastori della Chiesa vorranno eventualmente intervenire, se lo riterranno opportuno, con ulteriori indicazioni.

È con questo spirito che invitiamo i visitatori del Portale di Documentazione Interdisciplinare a leggere i commenti ed i brani che offriamo in occasione del 50° della scomparsa di Pierre Teilhard de Chardin. Ne abbiamo in particolare proposti tre, tratti da La scienza e Cristo , da // fenomeno umano e da L'ambiente divino. L'editoriale di Jean-Michel Maldamé mette già in luce alcuni dei principali meriti del gesuita scienziato. Desideriamo qui soltanto sottolineare che Teilhard sarà il primo ad offrire una lettura cristiana della lunga storia evolutiva del cosmo, della vita e dell'uomo, dopo che l'Ottocento aveva fatto di quella medesima evoluzione uno dei principali argomenti per scalzare ogni progettualità e intenzionalità creatrice nell'interpretazione della natura. Questa capacità di rilettura, fortemente cristologica, influirà non poco sulla teologia successiva consentendo di chiarire i rapporti fra storia del cosmo e storia della salvezza, e di affermare una convergenza fra cristianesimo e umanesimo, preparando in alcuni autori, fra cui H. de Lubac, la proposta di sintesi più mature e credibili, capaci di ispirare alcune delle pagine più significative del Concilio Vaticano II.

Uno speciale interesse lo suscitano le riflessioni, risalenti al 1927, contenute nel suo Le milieu divin. Si tratta dei primi scritti in cui Teilhard de Chardin parla della necessità di santificare le realtà terrene, di trasformare il cosmo e riportarlo a Dio attraverso la perfezione del lavoro umano. «Il nostro lavoro ci appare soprattutto come un mezzo per guadagnarci il pane quotidiano. Ma la sua virtù definitiva è ben più alta: per suo tramite perfezioniamo in noi il tema dell'unione divina [...]. Perciò artisti, operai, scienziati, qualunque sia la nostra funzione umana, noi possiamo, se siamo cristiani, precipitarci verso l'oggetto del nostro lavoro come a un varco aperto verso il supremo completamento dei nostri esseri» (tr. it. Brescia 2003, pp. 38-39). Per Teilhard, la materia, il mondo, non allontanano da Dio, ma possono condurre a Lui se si riconosce il loro ruolo nel piano della creazione. Il mondo e no* solo il tempio, In particolare il lavoro umano realizzato con perfezione, è il luogo dell'incontro con Dio: «Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile; ma ci aspetta ad ogni istante nell'azione, nell'opera del momento. In qualche maniera, è sulla punta della mia penna, del mio piccone, del mio pennello, del mio ago. È portando sino all'ultima perfezione naturale il tratto, il colpo, II punto al quale mi sto dedicando, che coglierò la Meta ultima cui tende il mio volere profondo» (p. 39).

Teilhard de Chardin è preoccupato del fatto che i cristiani, ai quali si raccomanda spesso solo di "offrire" il lavoro, senza aiutarli a comprenderne il profondo significato di contributo alla trasformazione di una materia e di un mondo che deve essere

ordinato in Cristo a Dio, corrano il rischio di condurre una "doppia vita". «Nonostante la pratica della retta intenzione e della giornata quotidianamente offerta a Dio - egli afferma - la massa dei fedeli cova oscuramente l'idea che il tempo trascorso in ufficio, nel proprio studio, nei campi o nella fabbrica sia sottratto all'adorazione. Certo è impossibile non lavorare. Ma è anche impossibile proporsi quella profonda vita religiosa riservata a coloro che hanno il tempo di pregare o predicare tutto il giorno. Nella vita, alcuni minuti possono essere recuperati per Dio. Ma le ore migliori sono sperperate o per lo meno svalorizzate dalle cure materiali. - Oppressi da questo sentimento moltissimi cattolici conducono in realtà una doppia vita, o una vita impacciata: hanno bisogno di abbandonare la veste umana per ritenersi cristiani, e solo cristiani di secondo ordine» (p. 40).

Egli si adopererà per mostrare tuta la necessità del compito di «divinizzare l'impegno umano». E ricorderà ai cristiani: «nel lasciare la Chiesa per la città rumorosa, non avrete altro che la sensazione di continuare ad immergervi in Dio» (p. 41). Se amiamo Dio, si chiede Teilhard, «lo stesso lavoro della nostra mente, del nostro cuore, delle nostre mani — i nostri risultati, le nostre opere, il nostro opus — non sarà forse, in qualche modo, anch'esso "eternato", salvato?» (p. 32). E ancora: «Come temere che l'occupazione più banale, più assorbente oppure più affascinante, ci costringa ad uscire da Lui? - Ripetiamolo: in virtù della Creazione e ancor più dell'Incarnazione, niente è profano quaggiù per chi sa vedere» (pp. 40-41). Siamo di fronte a prospettive nuove, ad intuizioni che sorgeranno in modo indipendente anche in altri autori di quei medesimi anni, contribuendo alla progressiva affermazione di una visione cristiana che rivaluta la dignità spirituale del lavoro e la legittima autonomia della creazione, preparando così il terreno a riflessioni che anche il Magistero della Chiesa farà sue a partire dal Concilio Vaticano II. Basterebbe forse solo questo per guardare a Teilhard de Chardin con motivato interesse.

Giuseppe Tanzella-Nitti

Spunti bibliografici:

H. de Lubac , // pensiero religioso di Teilhard de Chardin (1962), Jaca Book, Milano 1983; L. Galleni , Teilhard de Chardin, Pierre , in "Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede", Urbaniana Univ. Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 2111-2124; R. Gibellini , Teilhard de Chardin, l'opera e le interpretazioni, Queriniana, Brescia 1995 3 ; R. Latourelle , Teilhard de Chardin , in "Dizionario di Teologia Fondamentale", Cittadella, Assisi 1990, pp. 1207-1216.

© 2005 Documentazione Interdisicplinare di Scienza e Fede

 

 
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L'eredità di P. Teilhard de Chardin a 50 anni dalla sua scomparsa

Post n°15 pubblicato il 09 Luglio 2008 da bioantroponoosfera

 Teilhard de Chardin ha rivestito un ruolo di grande importanza nella coscienza cristiana della metà del ventesimo secolo. Come è noto, egli non potè però svolgerlo all'interno di istituzioni ove, grazie alle sue competenze,.avrebbe avuto il diritto di sedere,, cosa che gli avrebbe permesso di esercitare una certa autorità di pensiero anche all'interno della Chiesa. La diffusione frammentaria e contrastata delle sue opere ha fatto di questo autore una figura per molti problematica, ed una fonte di vive discussioni. A distanza di mezzo secolo dalla sua morte, la sua opera appare oggi in una luce più serena. Senza essere per questo "teilhardiani" (cioè senza far parte dei suoi discepoli incondizionati), è oggi possibile fare un elogio dello scienziato francese, .elencando qui brevemente sette punti dai quali emergeranno i tratti caratteristici, assieme anche ai limiti, della sua opera geniale.

1.        L'opera di Teilhard de Chardin ha voluto rispondere ad una
delle più grandi angosce del suo tempo, proveniente proprio dalla
cultura scientifica. I principi della termodinamica avevano mostrato
l'ineluttabile sviluppo dell'entropia nel tempo con il conseguente
livellamento dì tutte le cose verso un futuro cosmico indifferenziato.
SI   tratta   di   una   visione   generatrice   di   pessimismo,   che   può
annoverarsi fra le cause del cinismo e del nichilismo caratteristici
della post-modernità. Teilhard de Chardin ha superato questa prova
rilevando come l'evoluzione cosmica mostri anche, nonostante tutto,
un "muoversi verso" che ha condotto lo sviluppo del cosmo verso il
mondo dello spirito (designato dal neologismo "noosfèra"), e come,
una   volta   superata   la   soglia . rappresentata   dall'ominizzazione,
l'avvento della coscienza sia stato e resti irreversibile. Anche se i
prodotti della materia e le forme primarie di vita spariscono, l'opera
dello spirito rimane. Così la comparsa dell'uomo diviene il momento
decisivo dell'avventura della vita. Questo è il messaggio di speranza
che ha motivato la sua ricerca e organizzato il suo pensiero. Bisogna
sottolineare, a proposito di questo punto, che questa visione ricca di
speranza la si può ritrovare, pienamente confermata, nel Concilio
Vaticano II.

2.        Per mettere in pratica un tale progetto, Teilhard de Chardin ha
elaborato una filosofia della natura di stile aristotelico, in certa
rottura con la visione statica propria, dell'età arcaica. Anche se
l'opera scientifica di Teilhard de Chardin può risultare datata, la sua
intuizione di fondo trova ancor oggi un'applicazione esemplare sia in
geologia, che in geografia e in paleontologia. Questa filosofia della
natura non è stata invalidata. In particolare "la legge di complessità
crescente" resta una chiave per comprendere la natura dei viventi,
considerati come degli organismi strutturati per essere autonomi e
per perdurare nell'essere. Tale filosofia della natura non ignora i
risultati   della- scienza   e  in   particolare   la   visione, evolutiva  del
concatenamento delle specie in uno stesso albero filogenetico, nel
quale cui l'uomo occupa un posto decisivo.

3. La visione della natura- di Teilhard de Chardin è, senza dubbio,
profondamente cristiana perché egli l'ha fondata su quei testi del
Nuovo Testamento di respiro e dimensione cosmici. D'altra parte
Teilhard. si basa sui testi in cui San Paolo riconosce la dimensione universale della redenzione (cfr. Rm 2,22-23), ma soprattutto sul passo della lettera ai Colossesi in cui è scritto che il Figlio di Dio è colui per mezzo del quale, e in vista del quale, tutte le cose sono state create Coi 1,15-18)^ Quindi Teilhard riprende it testo'del' vangelo di Giovanni in cui Cristo dice: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» ( Gv 12,32). In questa frase, la parola "tutto" può essere .estesa oltre la sola umanità. II Cristo .è colui che attrae a sé tutta la creazione, guidandone il movimento verso il suo compimento. Se Teilhard è stato rimproverato di cadere nel difetto del concordismo e, rimprovero più pertinente, di disconoscere il carattere tragico del male, è al tempo stesso evidente che la sua visione ha avuto il merito di restituire a Cristo il posto centrale che gli spetta in un orizzonte cosmico derivante anche dalle scienze. Questa lezione è stata accolta dalla Chiesa che, alla fine dell'anno liturgico celebra la solennità Gesù, Re dell'universo.

4.  Per sviluppare questa grandiosa visione, che si snoda tra i testi
biblici e i risultati scientifici, Teilhard de Chardin ha utilizzato un
linguaggio   nuovo,   ricorrendo   a   neologismi.   Spesso   ha   voluto
collocarsi sul piano della metafora per liberarsi della visione statica,
allora dominante nella filosofia della natura, di un certo spiritualismo
che disprezzava i beni terreni e il mondo materiale, e di una teologia
rinchiusa in un linguaggio scolastico.

Questa sua scelta ha incontrato difficoltà ad essere ben compresa sia da quei teologi formati nello spirito di una metafisica classica, sia dagli autori specificamente materialisti. Sia gli uni che gli altri hanno denunciato la sua mancanza di rigore, nata dall'esigenza di voler creare qualcosa di nuovo. Il Padre Hehri de Lubac ha saputo mostrare la perfetta ortodossia del pensiero del suo confratello gesuita, che assumeva il rischio di usare un linguaggio nuovo.

   5. Il ruolo di Teilhard de Chardin non può essere riduttivamente
visto solo in rapporto al dialogo tra le scienze della natura e la
teologia dogmatica. Egli resta un maestro spirituale. Infatti, dando
alla persona umana il posto centrale nella storia del cammino della
vita verso lo spirito e collocando l'amore come motore essenziale
della marcia del cosmo "in avanti", Teilhard de Chardin ha saputo
rendere onore alla tradizione cristiana in cui il concetto di persona
gioca un ruolo essenziale. Così la sua opera si è ricongiunta con i
temi fondamentali della vita spirituale. Il suo trattato, pensandoci
bene, va letto come uno dei grandi testi.di teologia spirituale del
ventesimo secolo e ne mantiene sempre l'attualità. Il suo pensiero
continua ad aiutare coloro che vogliono raggiungere Dio con tutta la
ricchezza   della   propria   umanità   e  nella  veridicità   della   propria
condizione, caratterizzata dalla precarietà e dal peso che la vita reca
con sé. È grazie a questa dimensione spirituale che Teilhard de
Chardin ha compiuto la sua missione di gesuita, maestro spirituale,
purificato nel crogiolo della sofferenza. Le sue note sulla preghiera,
sull'amore e sull'irradiamento del Cristo, sono sempre una fonte di
nutrimento spirituale per molti fedeli, desiderosi di inserire la loro
speranza verso il futuro, nella realtà della loro vita.

6.Se alla metà del ventesimo secolo, Teilhard de Chardin ha dato
a molti cristiani, segnati dalla cultura scientifica, uno spazio per
collegare la propria visione scientifica con la fede cristiana, il ruolo
del suo pensiero sembra essere cambiato, a distanza di 50 anni. E lo
è perché vi sono stati mutamenti nella sensibilità religiosa. Nei Paesi
più sviluppati, assieme ai processi di secolarizzazione, assistiamo
all'emergenza di una spiritualità che mescola senza discernimento le
diverse   tradizioni   spirituali   d'Oriente   e   d'Occidente.   A   motivo
dell'impiego che egli fa di concetti come energia, coscienza, amore,
che gli permettono di. unificare la sua visione del mondo, il pensiero
di Teilhard viene oggi richiamato da quelle correnti che si rifanno al
New Age . Nonostante ciò, bisogna constatare che il suo senso della persona umana e della singolarità del Cristo permettono a molti dì tornare al Vangelo e di riallacciarsi ad una vita di preghiera indirizzata ad un Dio trascendente, santo e vivo.

L'irradiamento della sua opera prende così una nuova strada che è molto utile nel contesto della mondializzazione. I suoi propositi sulla "noosfera" danno a coloro che gioiscono della mescolanza di culture e popoli, degli elementi per vedervi la realizzazione di quella umanità fraterna-di cui i! Vangelo ci ha mostrato tutta l'esigenza.

7. Infine, sul piano dell'interazione tra scienza e fede, Pierre Teiihard de Chardin resta una figura esemplare. Un certo numero di punti del suo pensiero, è vero, restano in questione e necessitano importanti chiarimenti anche di natura teologica. Se Teiihard non ha potuto conoscere gli sviluppi della scienza della seconda metà del ventesimo secolo, i suoi punti di vista non sono stati contraddetti. Un punto, però, si distacca dalla visione scientifica oggi dominante: Teiihard non ha acconsentito alla teoria "sintetica" dell'evoluzione, nejla quale le mutazioni casuali continuano ad avere un ruolo determinante, perché egli teneva di più all'ortogenesi. Questo termine indica la presenza di una finalità nell'evoluzione, iscritta nel movimento della vita in tensione verso una realizzazione più alta. Qui c'è un punto decisivo di conflitto tra una visione riduttiva della natura e la visione cristiana legata alla nozione di Provvidenza. Su questo punto Teiihard, che non può essere sospettato di disprezzo di fronte alla scienza, è ripreso dai suoi discepoli che intendono opporsi al razionalismo e al positivismo.. Egli ricorda a tutti le esigenze di una visione cristiana della creazione, nella quale l'uomo occupa un posto unico ed in cui tutto è orientato verso il Cristo.

(n.d.r.)....Segue una breve nota biografica di Teilhard che tralasciamo.

  .  Jean-Michele Maldame 

Institute Catholique de Toulouse, France

© 2005 Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede

 

 
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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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