Creato da: Blog_Magazine

Blog Magazine

Il Blog Ufficiale della Community di Libero

Area personale

- Login

Cerca in questo Blog

 
trova
 

Archivio messaggi

  << Aprile 2006 >>  

Lu Ma Me Gi Ve Sa Do

           1   2 
 3   4   5   6   7   8   9 
 10   11   12   13   14   15   16 
 17   18   19   20   21   22   23 
 24   25   26   27   28   29   30 

Guarda le immagini del Mese

I miei Blog Amici

Leggi e diffondi

Scrivi anche tua.gif
 
Citazioni nei Blog Amici: 397

Chi può scrivere sul blog

Solo i membri di questo Blog possono pubblicare messaggi e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.

RSS (Really simple syndication) Feed Atom

BlogMagazine

Top 100 Italia di BlogItalia.it e Technorati

Cunctator

Free Hit Counter Code

Messaggi del 25/04/2006

Messaggio N° 1826 25-04-2006 - 00:28

I sette fratelli Cervi: 25 aprile 1945.

Il 25 aprile del 1945, le donne, i bambini e i vecchi della famiglia Cervi di Campegine, in provincia di Reggio Emilia, andarono a festeggiare, con la morte nel cuore, la liberazione dell'Italia.
Portavano in braccio le foto dei loro sette giovani uomini trucidati il 28 dicembre del 1943 dai fascisti.
Un lamento silenzioso, dignitoso, l'Italia era libera ma loro non avevano più i sette maschi della famiglia, nonostante ciò volevano festeggiare ugualmente, perché per quella libertà erano morti i loro uomini.
Per chi ha voglia di ricordare, suggerisco un libro molto intenso, povero e grezzo nella forma ma forte e denso di contenuti, scritto da un contadino, il papà di quei sette figli ammazzati senza processo, colpevoli di aver ostacolato con la parola un regime in cui non credevano.
Il libro si intitola “I miei sette figli” scritto da Alcide Cervi, più famoso come papà Cervi, e curato da Renato Nicolai, con prefazione di Sandro Pertini.
E' inutile ora ricordare tutta la vicenda di Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore, perché se n'è abbondamente scritto e ne è stato tratto anche un film.
E' meglio lasciare la parola allo strazio di papà Cervi mentre ripensa a quel giorno in carcere quando i suoi figli lo salutarono per andare a Parma ad affrontare il processo ed invece furono fucilati.

“Dopo che avevo saputo, mi venne un grande rimorso. Non avevo capito niente, e li avevo salutati con la mano, l'ultima volta, speranzoso, che andavano al processo e gliela avrebbero fatta ai fascisti, loro così in gamba e pieni di stratagemmi. E invece andarono a morire. Loro sapevano, ma hanno voluto lasciarmi l'illusione, e mi hanno salutato sorridendo: con quel sorriso mi davano l'ultimo addio. (...) Ben meritato è il rimorso, per me superbioso, che vi credevo intoccabili dalla morte. E se anche in carcere lo dicevo, che potevate essere morti, il sangue non ci credeva, e si ribellava. Ma i padri e le madri sono fatti così, adesso lo capisco. Pensano che loro moriranno, che anche il mondo morirà, ma che i loro figli non li lasceranno mai, nemmeno dopo la morte, e che staranno sempre a scherzare coi loro bambini, che hanno cresciuto per tanti anni, e la morte è un'estranea. Che ne sa la morte dei nostri sacrifici, dei baci che mi avete dati fino a grandi, delle veglie che ho fatto io sui vostri letti, sette figli, che prendono tutta una vita. E tu Gelindo, che eri sempre pronto alla risposta, ora non mi conosci più e non mi rispondi? E tu, Ettore, che nell'erba alta dicevi: non ci sono più. Ora l'erba alta ti ha coperto tutto, e non ci sei più. E tu, Aldo, tu così forte e più astuto della vita, ti sei fatto vincere dalla morte?
Maledetta la pietà e maledetto chi dal cielo mi ha chiuso le orecchie e velati gli occhi, perché io non capissi, e restassi vivo, al vostro posto! Niente di voi sappiamo più, negli ultimi momenti, né una frase, né uno sguardo, né un pensiero. Eravate tutti e sette insieme, anche davanti alla morte, e so che vi siete abbracciati, vi siete baciati, e Gelindo prima del fuoco ha urlato: - Voi ci uccidete, ma noi non morremo mai!(...)
Un gappista, il 27 dicembre, fece giustizia del segretario fascista di Bagnolo in Piano. I gerarconi della provincia si riunirono funebramente la notte stessa davanti al morto, e giurarono vendetta: - Uno contro dieci, - gridavano quelli che avevano imparato dai tedeschi. Il federale legge un elenco di nomi, ma qualcuno suggerisce un'idea: - Fuciliamo i sette fratelli Cervi. - Buona l'idea, il camerata è intelligente, e si decide così.
Infatti li portano al Poligono di tiro, e sulla arena si fa avanti Don Stefano, quello che avevano conosciuto in carcere, e gli chiede se vogliono confessarsi. I miei gli rispondono che non hanno peccati da pentirsi, e i fascisti sono contenti, perché hanno gran fretta. Il capoplotone chiede ai militi chi vuole avere l'onore di sparare, e un milite di nome Vulcano dice: chiedo l'onore, e così altri, finché bastano.
Don Stefano, in seguito, ha detto che i miei sono morti da cinici, e invece lui è sopravvissuto da cinico, perché il suo posto di cristiano era con gli innocenti, e non con i carnefici.
Ma ormai, quello che è fatto è fatto.”

Inutile ricordare che nonostante l'uccisione dei sette figli poi, il 10 ottobre 1944, i “gerarconi” fecero pure bruciare la casa dei Cervi (sempre papà Cervi: A quella data eravamo due vecchi, quattro donne e undici bambini), l'accanimento contro questa famiglia non conosceva limiti.
Ma poi venne il 25 aprile 1945 e finalmente la tortura ebbe fine.

Ecco vorrei dedicare questo scritto, che racchiude il dolore di tante famiglie italiane, anche la mia, alla memoria di mio nonno paterno, confinato in Calabria per anni, perché comunista; a suo cugino, ammazzato a bastonate a Parma, perché comunista; al mio bisnonno che pur di non fare la tessera fascista perse il lavoro e per mangiare pescava nel canale Crostolo; al mio nonno materno a cui furono bruciati i campi e dovette scappare da Novara, perché socialista; al nonno del mio ragazzo, padre di otto figli, che fu freddato a fucilate dal "gerarcone" di un comune limitrofo davanti alla moglie e ai suoi bambini, con la scusa di essere un partigiano, ma che in realtà aveva il solo difetto di aver prestato soldi proprio a quel gerarca prima della guerra.
A tutti i morti civili di tutte le guerre stupide e ignoranti.

-----------------------------------------------------------------

Riferimenti bibliografici:
Cervi A., Nicolai R., I miei sette figli
, Editori Riuniti, Roma, 1980.
Cervi M., Non c'era tempo di piangere, CGIL, Camera del lavoro territoriale di Reggio Emilia, 1994.

suede68


<< Giorno prec. Giorno succ. >>

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963