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Messaggi del 02/11/2006

Messaggio N° 199202-11-2006 - 19:13

Due punto zero: e se Internet cambiasse?


Il famigerato web 2.0 esiste davvero? Diverse opinioni si scontrano senza tregua. Proviamo ad individuare i principali temi del mutamento, dalla semantica alla separazione tra grafica e contenuti, dal superamento del soggetto in favore dell’oggetto, dai web services allo scontro epocale tra qualità e quantità. Opportunità mai viste nella storia nell’uomo possono trasformare chiunque in cineasta, enciclopedico, giornalista, fotografo. In Italia se ne è accorto qualcuno?

Tutti gli addetti ai lavori parlano di web 2.0: è solo una terminologia alla moda, un make-up della rete oppure stiamo assistendo a cambiamenti profondi? Possiamo già osservare alcuni mutamenti in atto, alcuni dei quali permessi dalla diffusione della banda larga (che è comunque un privilegio di parte degli abitanti del pianeta), altri dipendenti da un modo diverso di pensare e scrivere il web.
Le novità possono essere divise in questi punti:

· nascita del web semantico
· separazione netta tra grafica e contenuti
· passaggio dal soggetto all’oggetto
· diffusione dei web services
· scontro tra qualità e quantità.

Per web semantico si intende una scrittura delle pagine web che permetta con facilità estrema la reperibilità delle informazioni.
Al momento io scrivo un articolo, ed un motore di ricerca deve individuare le parole chiave richieste all’interno di questo testo. E’ quindi fondamentale associare al testo un altro file, contenente una serie di metadati (tags) scritti secondo una grammatica fatta di regole condivise.
E’ proprio la scrittura di questa comune grammatica l’ostacolo principale. Al momento – e solo per il giornalismo - è molto diffuso un criterio semplice, che divide le notizie in titolo, testo, link, categoria. Se si definisse un dizionario condiviso per ogni settore, dalla farmacia al turismo, sarebbe facilissimo scambiarsi informazioni e risulterebbe pressoché superato il metodo di ricerca con le parole chiave da inserire in un modulo.
E’ fondamentale realizzare la divisione tra grafica (formattazione) e contenuto (testo). Una pagina web sarebbe così divisa in tre file: testo (xhtml), file dei metadati (xml) e file della formattazione (css).
Il primo contiene il testo e poco altro, il secondo tutti gli elementi che consentano la facile reperibilità del contenuto (ad esempio: di cosa si parla, in quale settore, in quale lingua, quali gli argomenti trattati, chi è l’autore, quale la sua posta elettronica, e così via…) e l’interscambio delle informazioni, il terzo file contiene tutte le informazioni che riguardano la grafica.
Solo l’informatica permette questa divisione, finora impossibile (se stampo un giornale, formattazione e contenuto non solo sono indivisibili sulla carta stampata, ma vengono automaticamente associate l’una con l’altro dal lettore).
Conseguenza diretta di questa separazione è il passaggio di importanza dal soggetto all’oggetto. E’ una svolta epocale, dalle conseguenze ancora difficili da comprendere, forse la vera grande conquista del web 2.0.
Finora conoscevamo il post del mio sito, l’articolo di Repubblica.it e quello della CNN, l’editoriale del New York Times on line. Li conoscevamo in questi termini perché li andavamo a leggere sui rispettivi siti, che a loro volta erano identificabili attraverso una serie di elementi puramente grafici, dal set dei colori alla font dei caratteri.
Oggi io posso già leggere un articolo di repubblica.it su un qualsiasi aggregatore html (come Google News) o RSS, ed insieme a quello leggo tanti altri articoli. Conta quindi il contenuto (l’oggetto) e non il soggetto (la testata), che tende a diventare sempre meno importante.
Conta quindi la reputazione su internet, che si costruisce tramite la capacità di essere presente sui luoghi che contano in rete (da Google a Delicious, per fare degli esempi) o dalle preferenze degli utenti, che creano quella moderna forma di passaparola che prende il nome di network sociale e virtualmente associa un punteggio ad ogni oggetto.
Un giornalista di avanzata età, cresciuto con l’ordine professionale, la tessera, il direttore responsabile, si trova spaesato in un mondo dove chiunque, anche un non professionista, può avere molti (o moltissimi) più lettori di lui purché abbia qualcosa di interessante da dire e la capacità/volontà di farlo.
I blog non sono più dei semplici diari on line ma software sempre più sofisticati capaci di comunicare con gli aggregatori e tra loro stessi, scambiandosi elementi e creando un nuovo modo di fare informazione.
Cambia anche il modo di fare comunicazione alternativa, ed in fondo diventa tutto più facile. Conta la capacità di aggregare gli oggetti di informazione e di proporli ad un pubblico sempre più vasto, anche attraverso i dispositivi mobili. In poche parole, se mi mettono tra le mani un aggregatore RSS, ho per esempio le notizie fornite dal Corriere della Sera e quelle fornite da ilsitoalternativo.it.
Oggi scelgo le prime perché mi fido di più della testata che conosco, domani sceglierò semplicemente le notizie più interessanti.
Altro punto fondamentale è la diffusione dei web services, cioè la capacità delle piattaforme web di comunicare tra loro, facendo domande ed ottenendo risposte. Se voglio aggregare una serie di servizi sul mio sito, non ho più bisogno di installarli fisicamente su un’unica macchina, ma posso utilizzare servizi distribuiti diffusi potenzialmente su tutto il globo.
Le potenzialità sono enormi, dal turismo alla medicina al giornalismo fino ai servizi pubblici. I web services sono strettamente legati ad una semantica che permetta di individuare con precisione l’informazione desiderata.
Ultimo punto, lo scontro tra quantità e qualità che si svolge parallelo a quello tra soggetto ed oggetto. Tre esempi: Wikipedia, Flickr e YouTube.
Abbiamo una enciclopedia libera che cresce con i contribuiti aperti dei collaboratori volontari, potenzialmente tutti gli utenti del web.
Wikipedia ha ottenuto grandi elogi e feroci critiche, tutte incentrate sulla qualità dei contenuti (nessuno ha avuto nulla da dire sulla quantità dei contribuiti). Su Wikipedia si sono scatenate lotte sui temi politici e su quelli d’attualità, a colpi di post successivi e non autorizzati, e si sono moltiplicate le richieste di un controllo a monte sugli interventi.
Discorso simile per i contenitori di video on line. La crescente capacità degli hard disk permette ad alcuni fornitori di servizi di ospitare in maniera illimitata i filmati degli utenti. Flickr fa la stessa cosa per le fotografie.
Su Google Video oggi è possibile trovare clip scadenti fatti da adolescenti nella cameretta così come film indipendenti che hanno scoperto all’improvviso un canale distributivo insperato, gratuito e potentissimo. Coloro che erano abituati al controllo alla fonte, a decidere cosa si deve vedere, leggere, ascoltare e cosa no, si trovano spiazzati ed agitano la bandiera della qualità, piangendo su notizie che non hanno fonti, fotografie scattate da amatori, filmati di teen ager brufolosi, mp3 che non pagano la SIAE, voci d’enciclopedia non compilate da accademici e tutto ciò che pur venendo prodotto da “abusivi” si trova con piena cittadinanza accanto ad autori con la patente. Un oceano delle opportunità che lascia perplessi, entusiasti, timidi, euforici. Se questo è il web 2.0, non è roba per chi ama le vie di mezzo. Sono possibilità che ancora non sono state imbrigliate da multinazionali e governi. Ma per quanto tempo ancora?

Scritto da : sunking77

Messaggio N° 199102-11-2006 - 17:55

UNA MORTE VIOLENTA

immagine“All’alba del 2 novembre 1975 veniva trovato, abbandonato nel vasto squallore dell’idroscalo di Ostia, a pochi chilometri da Roma, un corpo esanime, un “sacco di stracci” come lo ha definito una testimone oculare, un uomo martoriato, con le ossa spezzate e il volto tumefatto quasi irriconoscibile. La testa fracassata dalle bastonate, il corpo straziato dalle ruote di un’automobile…”  (tratto da Il Castoro di Serafino Murri) 


Siamo nelle vicinanze del mare e quella testa e quel corpo sono di Pier Paolo Pasolini, poeta, romanziere, filologo, critico e regista cinematografico, ma soprattutto colui che ha ridato un volto alle periferie romane, le cosiddette borgate, e voce al sottoproletariato urbano, restituendogli dignità e ragione di esistere. Regalando emozioni e momenti di vita vera. Ed è stato trucidato su una specie di campo di calcio abbandonato, a lui che piaceva così tanto giocare a pallone…

“È morto un poeta – urlò Moravia dopo la sua morte – e di poeti veri nella storia ne nascono uno o due ogni cent’anni!”. È triste ricordarsi di Pasolini solamente in occasione dell’anniversario della sua morte, perché magari rientrando a casa tardi e accedendo il televisore rivediamo la faccia malandrina e butterata di Accattone o quella bonaria e inconfondibile di Mamma Roma.

Dal romanzo “Una vita violenta”:

Il “Quo Vadis” era bello lungo, e quando che finì e Tommaso e Irene uscirono dal “Garbatella”, era già scuro che pareva notte alta. Il baretto sulla piazzetta davanti al cinema luccicava come un brillocco, con tutti i suoi tubetti al neon, e la Garbatella intorno era un mucchio di luci sperse nella notte. Le cricche dei giovanotti erano aumentate, e chi a cavalcioni di un motorino si preparava a andare dentro Roma, e chi ci tornava, tutti schiamazzando e facendo il quarantotto.

di: pigilli

Messaggio N° 199002-11-2006 - 16:52

Il velo islamico e l'integrazione




Partiamo con dire che L'obbligo del “velo” viene reclamato oggi a gran voce in Italia dalla setta dei fondamentalisti dell’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) come uno dell’elemento fondamentale dell'islam, ma c’è anche da considerare che in ogni epoca è stato contestato anche dall'interno stesso del mondo musulmano.

Nel IX secolo a Bagdad un Imam sosteneva che il Corano prescriveva il velo solo alle donne di Maometto e che ogni donna che si velava il volto commetteva la colpa di prendersi per la sposa di Maometto ed era punibile con 80 colpi di frusta.

Il velo non costituisce un simbolo di libertà, così come non è solo simbolo religioso ma politico. Insomma il velo non è un precetto del Corano.

Del resto il velo favorisce l'esclusione delle donne le quali si ritrovano senza diritti, esse sono di conseguenza sottomesse favorendo il contrasto che si riferisce all'uguaglianza fra uomini e donne stendendo un muro di separazione sia tra i musulmani stessi che tra i musulmani e le altre religioni trovandosi in opposizione alle politiche di integrazione che faticosamente si cerca di attuare ogni giorno.

C’è da dire che il velo assume ruoli diversi in base alle diverse culture ma per quella islamica è simbolo di appartenenza religiosa. Ma coprendo le spalle, la testa, anche il volto per intero, diventa un grosso ostacolo all'integrazione.

Secondo la Costituzione Italiana: esiste già una legge che vieta di coprirsi il viso e rendersi quindi così non identificabili. La legge c'è e va fatta rispettare

C’è da porsi anche una domanda di quale Islam si parla? Cominciamo con l'integralismo, che non consiste nel portare la barba o vestire un chador: ma in un mondo libero ognuno deve essere libero di vestirsi come crede per cui l'essenza dell'integralismo non è nel modo di vestire e ancor meno nella stretta osservanza del culto.

Putroppo gli integralisti islamici rifiutano la libertà dell'altro, anche dello stesso musulmano, che si veste e pensa diversamente. Ogni integralista, con turbante o senza, si considera infallibile per cui agisce e si comporta come Il tutore di Dio. Per questo l'integralismo ed il fondamentalismo costituiscono una vera e propria minaccia rivolta non solo verso l'Occidente, ma verso l'Islam stesso.

Una Costituzione liberale e democratica riconosce sia la libertà religiosa come punto cardine nel rispetto di una minoranza, come quella islamica, sia il diritto di avere i propri luoghi di culto contribuendo alla crescita dell' identità islamica facendole assumere forme più consapevoli e mature.

La difesa della propria identità diventa un modo di rifugiarsi di fronte a tutte le paure che i processi di globalizzazione provocano, ma i timori creati da tali problemi reali rende difficile l’integrazione stessa delle popolazioni islamiche nella nostra società.

In Italia sembra che in troppi non si accorgano che una cultura come quella islamica non si adatta facilmente ad una civiltà liberale come la nostra.

In troppi non hanno inteso che il multiculturalismo non è un perfezionamento del pluralismo proprio della società aperta e liberale ne tanto meno rappresenta la negazione e la distruzione: ma bisogna accettare che essi costituiscano all'interno di una società pluralista identità culturali separate e chiuse minando alla radice il pluralismo e minaccia la società aperta.

In Italia se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e quei diritti che costituzionalmente spettano a tutti i cittadini senza eccezioni, non ci si può appellare ai principi della legge islamica per esigere spazi o prerogative giuridiche speciali quali, per esempio, le scuole coraniche, nascondendosi dietro al cosiddetto multiculturalismo..

di:
ladeadeiventi

Messaggio N° 1989 02-11-2006 - 16:42

Sanità e i suoi tanti errori di vita

La Denuncia parte proprio dai medici attraverso l’Associazione Italiana di Oncologia Medica.

Potrebbe andare bene se errare è umano, ma se lo sbaglio porta a fare in modo di rimettere la salute del malato, allora è il caso di passare ai  fatti con seri provvedimenti,se si pensa poi all’alto tasso di mortalità quotidiana che viene denunciata dai medici stessi.

Per quanto ci sono tantissimi medici che meriterebbero un monumento per la loro bravura, onestà e professionalità,ma ahimè questi si possono contare sulle dita di una mano. Di conseguenza,e purtroppo però ci sono altrettanti personaggi, se non la maggior parte, che brillano per incompetenza e disonestà. Diagnosi e cure completamente sballate, fatture mai rilasciate, interventi non necessari fatti solo per spillar quattrini.

C'è da dire che in Italia ci sono anche strutture ospedaliere (poche) veramente efficienti, ma sono sempre troppe le strutture carenti di strumenti o servizi per i malati.

Si fanno errori in sala operatoria o nei reparti, per cattiva organizzazione; ci sono diagnosi sbagliate o tardive; si confondono farmaci dai nomi simili. Tutti errori che possono essere evitati se il personale assunto lavora con dedizione e coscienza e se ci sono tutti mezzi a disposizione dei medici.

A questo punto mi chiedo ma è proprio giusto che le denuncie in primis partono tutte da Striscia La Notizia? Non metto in dubbio che i servizi di Striscia non siano utili, e no dobbiamo nemmeno aspettare che siano 90 morti quotidiani a causa di errori commessi da persone incompetenti.

Personalmente essendo cresciuta in un ambiente ospedaliero, non perché ci sono stata male, ma perché avendo un papà che ha lavorato per quasi 40 anni in ospedale e quindi per poterlo vedere passavo da lui e ne ho viste tante e tutte le maniere, per cui mi astengo da giudizi pesanti.

di:
ladeadeiventi


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