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Messaggi del 09/02/2007

Messaggio N° 2117 09-02-2007 - 11:25

BULIMIA

Mezzanotte e trenta. L'ora che temo di più, il momento che mi terrorizza. Avverto una strana sensazione che viene su, prima piano piano, poi veloce e urgente e che parte dal centro del mio stomaco. Non si ferma lì, risale verso i polmoni, la gola, la bocca e si fissa in qualche parte del mio cervello. Non riesco a stare ferma. Incomincio a contorcermi sulla sedia che  sopporta il mio peso, a stropicciarmi le mani, a battere i piedi nervosamente, con un ritmo sempre più forte. Non sono passati neanche due minuti e, senza sapere come, mi trovo in cucina a fissare  con rancore misto a voluttà lo sportello bianco del frigo. A volte, indugio sulla soglia, simile ad una drogata che ritarda il momento dell'iniezione, per far aumentare il mio piacere . Penso anche "dai Rosalinda, non fare la scema. Devi perdere trentacinque chili, lascia perdere". Ma il pensiero non fa che aumentare la mia ansia. Mi dico anche "e mangia, allora, mangia fino a scoppiare  e andare in mille pezzi" e mi vedo a pezzi, proprio a pezzi, sul pavimento. Le mie membra sono disseminate su tutta la superficie della cucina, frammiste a cibo  non digerito, sangue e merda. Ma anche questo serve a poco, rinvia la mia urgenza solo di qualche secondo, la corona, la premia, la coccola.

Ecco, lo sportello è aperto. Mi sto ingozzando. Afferro subito qualunque oggetto commestibile, anche se prediligo i formaggi e i dolci. Ma anche la maionese, la margarina, le uova crude, persino la frutta.
La furia dura poco, serve a placare lo stimolo, quel gatto rabbioso che mi esplode in pancia. Poi incomincio a selezionare gli alimenti con metodo, quasi con amore. Mi preparo un panino, taglio i pomodori, apro un barattolo di ceci o di lenticchie, mi servo una gran fetta di torta. In quei momenti non cucino mai. Solo l'idea di preparare un piatto di spaghetti mi fa venire il voltastomaco. Non mi va di investire tempo nel cibo, è il cibo che mi deve investire, che deve placare la mia sensazione interna.

La dottoressa che mi cura mi ha detto che ci sono due forme di bulimia nervosa: quella in cui si vomita - è una forma di anoressia - e quella in cui s'ingerisce cibo per colmare carenze interne. Appartengo senza dubbio al secondo tipo, anche se mi sfuggono le mie carenze.
Ho due genitori affettuosi e disponibili, un fratello appena un po' invadente, mi hanno allattata fino a sette mesi, ho vissuto una vita priva di conflitti evidenti. Almeno fino ai vent’anni. Poi conobbi Giorgio, ma non ho neanche voglia di ricordarlo.
Insomma, la mia esistenza è andata via tranquilla, fino a quando  non ho avvertito quegli strani colpi di spillo nella pancia, che  all'inizio mi sembravano desideri di altra natura.
Ho cominciato ad ingrassare. Non sono mai stata un fuscello. Un metro e settantadue per sessantotto chili. Quando raggiunsi i settanta, incominciai a preoccuparmi e mi feci prescrivere la prima dieta. Sono riuscita a sopportarla per tre mesi, calai di quattro chili, ma fu come prendere la rincorsa per spiccare un salto altissimo.

Con una velocità stupefacente arrivai a settantacinque, ottanta, ottantacinque. L'ago della bilancia mi sembrava il tachimetro di un'auto che accelera con una progressione costante.. Lo specchio mi restituiva l'immagine di una ragazza gonfia che faticava sempre di più a nascondere il grasso dentro la sua complessione robusta. Ingrassavo come un uomo, mettevo ciccia sulla pancia, lo stomaco e il sedere. Assomigliavo a un uovo dilatato nel mezzo. Arrivata ad ottantotto chili, decisi di prendere in mano la situazione e mi recai in un centro svizzero specializzato in dimagrimento. Mi trattennero  per due settimane, mi fecero perdere a forza otto chili. Mi obbligavano, quegli aguzzini, a fare docce gelate, bagni turchi, massaggi rilassanti e mi somministravano una dieta di ottocento calorie al giorno, ma, arrivando a casa decisi con rabbia di riprendermeli in una settimana. Ci riuscii in undici giorni e da allora non ho più smesso di aumentare.

Amo il mio grasso, il mio strato protettivo. Almeno in questo, la terapia della dottoressa mi è servita. Mi faccio schifo, ma sono contenta di riuscire così a difendermi dagli attacchi esterni, dalle insidie portate dagli altri. E' come se avessi una corazza che mi isola dalle cattiverie, dall'infinita meschinità del mondo.  Mi dispiace solo sentire quella sensazione strana che mi obbliga, senza sapere come, a entrare in cucina, aprire il frigo e ingozzarmi con i rimasugli del giorno.

Vorrei rimanere così, in un attesa congelata, per tutta la mia vita. Proprio ieri l'ago della bilancia si è fermato, dopo qualche leggera oscillazione, a centodue chili. Ero spaventata e confusa, disgustata e incredula, poi, senza sapere perché, sono scoppiata a piangere.

E non riuscivo più a fermarmi.

tratto da : http://www.writer-racconti.org

di: falco58dgl


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