Creato da: franco_rovati il 03/03/2009
Come stiamo cambiando.

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"La democrazia è cancerogena e gli uffici sono il suo cancro"

W. Burroughs

"La parola 'democrazia' mi destava una insofferenza fisica, come l'odore stantio dei vecchi cassetti; sentivo nell'aria un odore di muffa, di umida miseria, un odore di cavoli lessi nelle scale della nuova società come in certe vecchie portinerie, un odore di farisei."

Leo Longanesi

“[An upside down flag is] an international distress signal. It means ‘we’re in a whole lot of trouble, so come save our ass b’cause we don’t have a prayer in hell of saving ourselves.’” - Sgt Hank Deerfield, from In the Valley of Elah.

 

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« ASPETTANDO LA PRIMA DECI...PREVIDENTI NELLA CRISI »

SENZA LA SFERA DI CRISTALLO

Post n°56 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Tag: crisi

di Paolo Manasse - www.lavoce.info

Prevedere una crisi significa individuare un insieme composito di segnali di vulnerabilità associati a un'elevata probabilità del suo verificarsi. Attraverso l'utilizzo di particolari modelli quantitativi si può ad esempio monitorare la vulnerabilità dei paesi emergenti a crisi bancarie e di liquidità. Importanti segnali di allarme sembrano essere un elevato tasso sui depositi e una forte crescita del rapporto tra crediti non esigibili e prestiti del settore bancario. Come è accaduto in alcuni paesi dell'Europa dell'Est.

Era probabilmente inevitabile: in tutto il mondo la crisi finanziaria ha messo in crisi gli economisti. Imputati per non averla prevista, per averne sottovalutato i segnali inequivocabili (a posteriori), per aver creduto nella fanfaluca dell’autoregolamentazione dei mercati e nella capacità dei prezzi di rispecchiare i rischi delle attività finanziarie. Insomma, Dio avrebbe creato gli economisti solo per far fare bella figura ad astrologi e meteorologi. 

IL RISCHIO NEI PREZZI

Ma cosa significa “prevedere” una crisi, ad esempio l’insolvenza di uno stato sovrano, o di ampia parte del sistema bancario? Significa, a mio avviso, individuare un insieme di segnali di vulnerabilità (early warnings), nell’economia, nella politica, nei bilanci di stati, governi, banche, imprese e famiglie, che sono associati a un’elevata probabilità del verificarsi della crisi.
Ecco allora la tipica obiezione: se i prezzi di mercato riflettono in modo efficiente l’informazione disponibile, prevedere le crisi, ad esempio l’insolvenza di un debitore, è un gioco da ragazzi (si fa per dire). La “vera” probabilità di crisi può essere ricavata dai prezzi di mercato.
La figura 1 mostra le probabilità di insolvenza implicite nei premi pagati sui credit default swaps (Cds) sui titoli di stato italiani per contratti con maturità di 1, 5 e 10 anni.  Come è accaduto per molti paesi giudicati “vulnerabili”, la diffusione della crisi finanziaria originata negli Stati Uniti ha fatto aumentare vertiginosamente la percezione della nostra rischiosità. Nel caso dell’Italia le probabilità d’insolvenza incorporate nei Cds sono triplicate tra settembre 2008 e gennaio 2009, per poi tornare poco sopra ai livelli iniziali nel giro di pochi mesi. Èragionevole pensare che, in così poco tempo, la solvibilità della Repubblica italiana abbia subito oscillazioni tanto vistose? L’estrema volatilità dei prezzi delle attività finanziarie suggerisce che questi non sempre siano una guida affidabile della vulnerabilità alle crisi.

SEGNALI D'ALLARME

L’Associazione bancaria italiana ha da circa un anno lanciato un’iniziativa, l’Abi Country Risk Forum, volta a monitorare la vulnerabilità dei paesi emergenti a crisi bancarie e a crisi di liquidità. L’iniziativa prevede l’utilizzo di modelli quantitativi che ho elaborato seguendo una metodologia di machine learning, più comunemente impiegata in campi quali la ricerca biomedica, il controllo di qualità, la scoperta di frodi, le applicazioni militari, e recentemente applicata alle crisi di debito sovrano e alle crisi in conto capitale.  Quest’approccio consente di selezionare, tra un numero elevatissimo di variabili economiche e politiche, quella manciata di sintomi (cioè quelle combinazioni d’indicatori, gli early warnings, e le loro soglie critiche) che sfociano con elevata frequenza nell’evento catastrofico (la crisi), e di identificare diverse tipologie di crisi.  Sulla base di questi indicatori, è poi possibile calcolare, per ciascun paese e anno considerato, la probabilità che si verifichi una crisi l’anno successivo.
Il modello per le crisi bancarie offre spunti interessanti.
Il più importante segnale di allarme nei paesi emergenti risulta essere un elevato tasso sui depositi (superiore al 16 per cento), che probabilmente riflette la percezione di rischio di insolvenza/illiquidità delle banche e che anticipa una corsa agli sportelli, ovvero riflette un tasso di inflazione elevato.  La vulnerabilità del sistema bancario è in altri casi segnalata da una forte crescita del rapporto tra crediti non esigibili e prestiti. Infine, una diversa tipologia appare caratterizzata dalla vulnerabilità alle crisi di cambio e ha il suo sintomo in un basso rapporto tra le riserve internazionali e il Pil (inferiore al 2 per cento). 
I “segnali” individuati dal modello anticipano correttamente (vedi tabella 1) 75 delle 105 crisi del campione e lanciano “falsi allarmi”, cioè prevedono erroneamente una crisi, nel 25 per cento degli episodi “tranquilli”.

Dunque, quali sono i paesi emergenti maggiormente esposti al rischio di una crisi bancaria? La tabella 2 qui sotto riporta le previsioni del modello, stimato con dati fino al 2008, per gli anni 2009-2010. Per questi paesi gli indicatori segnalano una probabilità di crisi di circa tre volte superiore alla media del campione. Tra i paesi identificati, molti appartengono all’Europa dell’Est. In particolare è interessante rilevare che Lettonia, Polonia e Serbia hanno negoziato, tra dicembre 2008 e oggi, prestiti a beve termine (Standy By Arrangement, Flexible Credit Line) con il Fondo monetario internazionale, mentre la Guinea usufruisce di prestiti per l’aiuto allo sviluppo (Poverty Reduction and Growth Facility).
Come sempre, gli algoritmi statistici non possono sostituire la valutazione ragionata del singolo caso. Tuttavia, costituiscono uno strumento complementare importante per mettere in luce regolarità, ed eccezioni, empiriche alquanto complicate.

 
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